E se un giorno fossimo costretti a riciclare ogni goccia d’acqua come fanno gli astronauti sulla ISS (Stazione spaziale internazionale)? Oppure: che conseguenze avrebbe una guerra che iniziasse fuori dall’atmosfera terrestre, invisibile ma letale? Domande che sembrano uscite da un romanzo di fantascienza. Eppure, sono questioni reali, urgenti, quotidiane, che riguardano da vicino il presente e il futuro della nostra specie. Lo spazio, oggi, non è più solo un sogno a occhi aperti: è una frontiera strategica, tecnologica ed economica. E proprio per questo merita di essere raccontato. Nasce così Countdown – Dallo spazio alla Terra, il programma oggi in onda dalle 18.40 su Sky TG24, che condensa riflessioni, testimonianze e visioni sul presente e il futuro dell’esplorazione spaziale. A guidarlo è Emilio Cozzi, giornalista, divulgatore e voce brillante della nuova narrazione scientifica italiana. Con lui abbiamo esplorato non solo i contenuti della serie, ma anche le domande che la ispirano: perché investire nello spazio quando abbiamo così tanti problemi sulla Terra? Cosa può insegnarci una missione su Marte sul nostro modo di vivere qui, oggi, adesso? Nel corso dell’intervista ci ha parlato di entusiasmo, di memoria, di sovranità tecnologica, di Space Force e Starlink, di intelligenza artificiale, persino di patate resistenti alle condizioni marziane. E, sì: ci ha detto anche cosa farebbe, se potesse realizzare un solo sogno legato allo spazio. Spoiler: ci andrebbe. Ma solo con il biglietto di ritorno in tasca.

Countdown – Dallo spazio alla Terra arriva in un momento in cui la space economy è sempre più centrale. Da dove nasce l'idea di questa serie?
L'idea di questa serie nasce da una domanda. Mi spiego. Durante la pandemia, ricordo che scrissi un articolo sul ritorno ai lanci da parte degli Stati Uniti con la Crew Dragon, una missione test. Sotto la notizia, diversi commenti mi scrissero, giustamente: “Ma con tutti i problemi che abbiamo in questo momento, che senso ha mandare persone nello spazio?” E credo che la domanda sia assolutamente legittima. Da quella domanda è partita l'idea di dedicare un approfondimento che raccontasse perché andiamo nello spazio e perché ha molto senso andarci anche se, anzi, soprattutto se, abbiamo problemi gravi. Ho trovato persone particolarmente sensibili all'argomento, in particolare nella produzione di Libero Produzioni Televisive, e da cosa nasce cosa. Abbiamo fatto prima un programma per la Rai che si intitolava Space Walks, e poi siamo approdati a Sky con Countdown, che è un concentrato, in dieci minuti circa, che tenta ogni volta di rispondere a questa domanda: che c'entra la nostra vita quotidiana con lo spazio? E perché lo spazio è così importante per la nostra vita quotidiana? Insomma, Countdown tenta in dieci minuti di dare delle risposte.
Countdown si apre in una data simbolica, che è il 12 aprile, l'anniversario del volo di Gagarin. Quanto conta la memoria storica in un progetto così proiettato verso il futuro?
È importantissimo, perché sostanzialmente lo spazio non è che un cammino progressivo. Come dice Luca Parmitano dell'Agenzia Spaziale Europea, ogni missione non è un traguardo, è una tappa. Ogni volta che andiamo nello spazio, con donne e uomini, o ogni volta che organizziamo una missione spaziale, impariamo cose che prima non conoscevamo. Miglioriamo tecnologie, aggiungiamo scelta, conoscenza. Impariamo anche dagli errori, dai fallimenti, capiamo come evitarli successivamente. La storia è fondamentale nello spazio, perché è quella che ci permette di costruire il nostro futuro. Non potrebbe esserci futuro se perdessimo la consapevolezza e la memoria di quello che abbiamo fatto fino a qui. Partire dal 12 aprile, che è la Giornata Mondiale del Volo Umano nello Spazio, perché celebra l’anniversario del primo volo di Yuri Gagarin, secondo noi è una cosa speciale.
Il dialogo con Paolo Nespoli è molto potente. Dice, come ci ha spiegato in una intervista su MOW: Ssiamo noi ad essere delicati sulla Terra”. Cosa ti ha colpito di più nel suo racconto da veterano dello spazio?
Nella stessa puntata ci sarà anche Anthea Comellini. Se Paolo rappresenta la storia, la memoria, la gloria di quanto fatto, Anthea rappresenta la nuova generazione di astronauti. È un’astronauta della riserva astronautica europea. La cosa di Paolo che mi ha colpito di più – e ho la fortuna di conoscerlo abbastanza bene, quindi mi ci confronto spesso – è quell’entusiasmo da bambino che ancora conserva. Sebbene sia stato tre volte nello spazio, sebbene ci abbia passato quasi un anno, guarda ancora lo spazio con la meraviglia di chi lo vede per la prima volta. Secondo me questo è il suo segreto. Ed è anche il segreto di tante persone che lavorano nello spazio. Attraverso Countdown ho la fortuna di lavorare con tante persone che lo spazio lo costruiscono o lo esplorano. E spesso riscontro questa passione fanciulla, nel senso più alto e bello del termine. Una meraviglia davanti al mondo, all’ignoto. Nel caso di Paolo, è ancora più bello, perché parliamo di un uomo che le ha viste tutte, e che ancora quando parla di spazio gli si illuminano gli occhi. Mi ha colpito proprio questo: il suo approccio da “bambino” allo spazio, nonostante l’esperienza.

Elon Musk ha annunciato che sbarcheremo a breve su Marte. Secondo te è possibile?
Entro breve, no. Soprattutto se intendiamo far sbarcare un equipaggio umano, come lui ha promesso. A lungo termine, io spero che ci riusciremo, perché andare su Marte significherebbe aver risolto una serie di sfide tecnico-scientifiche tra le più difficili che l’umanità abbia mai affrontato. Faccio due esempi molto rapidi. Uno, riuscire a mantenere in vita donne e uomini sottoposti a un livello di radiazioni tale da poterli uccidere prima della metà del viaggio. Due, la questione dei mezzi di sussistenza: significa sviluppare tecnologie per coltivare, curare, rigenerare risorse e persino tessuti umani, in modo completamente autonomo. Il viaggio dura 7-8 mesi solo andata. Non puoi “fare rifornimento” a metà. Quindi sì, spero nel lungo termine. Ma a breve no.
Per quale motivo dovremmo andare su Marte?
Domanda bellissima. E in realtà riguarda anche un po’ la Luna. Qualsiasi obiettivo spaziale, soprattutto quelli più difficili, come appunto andare su Marte, oggi rappresenta la meta di massima ambizione suprema delle grandi agenzie spaziali. Ebbene, raggiungere Marte implicherebbe affrontare sfide difficilissime dal punto di vista tecnico-scientifico. Per cui, andare su Marte ci permetterebbe di realizzare tecnologie che inevitabilmente andrebbero ad aiutarci qui, sulla Terra. Per esempio, già oggi, c’è una ricerca dell’Università del Cile che sta tentando di sviluppare una patata in grado di sopravvivere, di essere coltivata su Marte. Che sembra una roba fantascientifica, viene in mente The Martian. Ma pensate: una patata del genere, dove e come potrebbe essere coltivata sulla Terra, visto che resisterebbe a condizioni estreme? Beh, in alcuni posti, per esempio zone remote, per esempio desertiche, o in alcuni luoghi in cui la coltivazione – sebbene difficilissima – sarebbe affrontata in maniera eccelsa. Pensate a un altro esempio: al riciclo delle risorse che un’astronave destinata a Marte dovrebbe garantire. Perché, ripeto, non è che si possa fare rifornimento di cibo, di acqua, a un’astronave che rimane in giro per degli anni. Ebbene, quella perfetta circolarità delle risorse tornerebbe utilissima sulla Terra. Penso, per esempio, all’acqua: a riciclare o purificare l’acqua laddove, per esempio, non ce n’è, oppure dopo una catastrofe ambientale. Questa cosa, per esempio, la stiamo già facendo sulla Stazione Spaziale Internazionale, dove nel 2023 gli astronauti hanno riciclato il 98% dell’acqua a bordo. Acqua a bordo, adesso fa un po’ schifo l’esempio… significava anche sudore e urina. Sulla Stazione Spaziale Internazionale, loro letteralmente rendono potabile il sudore, l’urina che gli astronauti producono a bordo. Queste cose, sulla Terra, sono raffinatissime. Sono meravigliose. Ultimo aspetto della corsa verso Marte – che riguarda anche la Luna, ovviamente – è l’aspetto geopolitico. Mi spiego: andare sulla Luna, andare su Marte, vuol dire essere capaci di farlo. I primi che riescono a farlo dimostrano di avere tecnologie avanzate, e anche un apparato politico certamente più forte e più potente degli altri.
Infatti, nel tuo ultimo libro, Geopolitica dello spazio, parli proprio di com’è importante oggi leggere lo spazio anche come arena strategica e non solo scientifica.
Brava. È assolutamente così. Nello spazio noi amplifichiamo le attività, le capacità che abbiamo sulla Terra – penso alle telecomunicazioni, penso alla navigazione. Senza il Gps – che abbiamo letteralmente nei nostri cellulari – non si potrebbe raggiungere un posto che non si conosce. E uno dice: "vabbè, chi se ne frega?" No. Non è vero. Senza il Gps, la navigazione aerea mondiale e quella marittima mondiale tornerebbero indietro di 50 anni. Questo è lo spazio: il Gps è una costellazione – peraltro di origini militari statunitense – che oggi noi utilizziamo nella nostra vita quotidiana. Lo spazio è questa cosa qua. Quindi lo spazio amplifica letteralmente le capacità dell’uomo, del genere umano, e ovviamente costituisce anche un asset di potere. Per cui chi controlla lo spazio oggi controlla letteralmente la Terra. Faccio un altro esempio, di cui oggi tutti stanno parlando: i satelliti Starlink, di Elon Musk, che sono satelliti deputati a garantire connettività a banda larga e bassa latenza dall’orbita bassa. Abbiamo visto qual è stato il ruolo dei satelliti Starlink nella guerra in Ucraina. Quei satelliti sono di proprietà privata. Per cui capite che il potere, per esempio, di chi gestisce i satelliti, di chi gestisce reti così importanti, così strategiche, non è solo ed esclusivamente un potere economico: è anche un potere che afferisce alla difesa, è anche un potere militare, e quindi geopolitico.

Quindi sei favorevole a Starlink di Musk in Europa?
Questo è un tema molto spinoso. Ovviamente, l’obiettivo ideale per l’Europa sarebbe diventare autonoma. Quindi, conquistare anche una sovranità spaziale. L’obiettivo a cui l’Europa deve puntare è avere la propria costellazione per la connettività in orbita bassa e bassa latenza. Ci stiamo lavorando: la costellazione si chiamerà IRIS² (Iris Square). Il problema è che siamo piuttosto in ritardo con il suo sviluppo. Teoricamente dovrebbe essere pronta nel 2030-2031. Quindi si pone un problema, che non ho sollevato io, lo ha sollevato il ministro della Difesa, Guido Crosetto, durante un’udienza alla Camera. Se domani mattina dovessimo avere bisogno, per scopi difensivi o comunque per scopi che afferiscono alla difesa – quindi per le nostre forze armate – di garantire una connettività globale in orbita bassa e immediata, oggi l’alternativa migliore, per questioni di performance, disponibilità e funzionamento è Starlink. Non ci sono storie. Questo è un fatto. Ci sono alternative, per esempio la costellazione OneWeb, di un’azienda francese che si chiama Eutelsat, però, per esempio, quella costellazione è costituita da circa 600 satelliti. Starlink ne ha circa 7.000. Che, tra l’altro, aumentano ogni mese. Quindi, se la domanda è: Starlink serve nell’immediato? Sì. La soluzione migliore, oggi, è Starlink. Il mio sogno, il mio ideale, sarebbe che l’Europa diventasse autonoma anche in questo senso. Tra l’altro l’Italia sta sviluppando uno studio di fattibilità preliminare. L’ASI lo sta facendo per conto del governo, per capire se e come l’Italia sarebbe in grado di costruirsi una sua rete nazionale. I risultati dovrebbero uscire o a tarda primavera o all’inizio dell’estate.
Ma quindi, quanto siamo vicini a una vera guerra spaziale?
Io spero molto poco vicini. La verità è che, sebbene noi non ce ne stiamo rendendo conto, nello spazio le grandi potenze si stanno cominciando ad attrezzare. Per trasformare lo spazio in un presidio. Un presidio non solo da difendere, ma anche da cui partire per le proprie strategie terrestri. Ovviamente mi sto riferendo a Cina, Russia, Stati Uniti. Non è un caso che, durante il primo mandato, Donald Trump abbia istituito la US Space Force. Cioè: una branca delle forze armate deputata al controllo, al monitoraggio e alla difesa dello spazio. Oggi lo spazio è diventato anche un dominio. Anzi: è da qualche anno che la Nato lo ha riconosciuto come un dominio da presidiare, esattamente come il mare, la terra, il cielo e il cyberspazio. Quindi, lo spazio ha anche una dimensione che riguarda la difesa. Eventualmente anche l’attacco di infrastrutture nemiche. E, quindi, la protezione delle proprie infrastrutture. Per dare una risposta breve: Quanto vicini siamo a una guerra stellare? Io spero che siamo lontani. Ma l’eventualità che una delle prossime guerre inizi nello spazio, o inizi dallo spazio, non è remota.
Il contributo di Vitruvian VR apre un’interessante finestra sul rapporto tra simulazione e percezione del reale. Secondo te, strumenti come questi stanno cambiando anche il modo in cui si comunica lo spazio?
Certamente sì. Stanno cambiando il modo stesso di comunicare lo spazio. Anzi, oggi c’è l’esigenza – e strumenti come quelli di Vitruvian, che in realtà sono strumenti simulativi anche per l’addestramento, non sono solo esclusivamente un modo per comunicare – sta cambiando la comunicazione, perché oggi è necessario che le persone comuni, che il cittadino e la cittadina sappiano cosa sta succedendo nello spazio. È necessario, per tutti i motivi che abbiamo detto finora. Perché lo spazio integra letteralmente, anche se non lo sappiamo, la nostra vita quotidiana. L’esempio del Gps, eccetera. E poi perché, nello spazio – lo stavamo dicendo nella domanda precedente, ci si comincia a guardare… non dico in cagnesco, però con un po’ meno fiducia. Per cui: il cittadino deve sapere perché investiamo soldi, anche pubblici, nello spazio. E deve sapere quanto lo spazio è importante. Per cui, oggi, c’è l’esigenza di comunicare lo spazio a tutti. È un po’ questa l’ambizione di Countdown, che vuole essere anche un po’ “pop”, nel suo senso più alto: vuole essere popolare, come racconto. E certamente, qualsiasi strumento, qualsiasi mezzo per rendere più popolare lo spazio è benvenuto. Quindi: la comunicazione è fondamentale oggi.
Quindi l’intelligenza artificiale non ci ruberà il lavoro, ma ce lo renderà diverso, forse anche migliore?
Questo è un altro tema piuttosto difficile, che addirittura arriva nella filosofia. Diciamo che l’intelligenza artificiale, di questo sono sicuro, avrà un impatto mostruoso sulle nostre vite. Anche nello spazio. L’integrazione tra intelligenza artificiale e spazio non dico che sia la prossima frontiera: è la frontiera adesso. E noi stiamo già capendo come integrare, per esempio, i satelliti con l’intelligenza artificiale. La settimana scorsa c’è stata una fusione tra due aziende italiane abbastanza importanti – D-Orbit e Planetek – che andranno a capire come integrare sistemi di intelligenza artificiale nei satelliti, per fare in modo che i satelliti – già dall’orbita – capiscano quali sono i dati più utili da trasmettere, senza trasmetterli tutti. Perché avere una mole gigantesca di dati è come non averne: sono troppi, e ci vorrebbe troppo tempo per capire quali sono davvero importanti. Certamente, l’intelligenza artificiale c’entra con lo spazio e impatterà sulla nostra vita. Io mi auguro però – e qui diventa un discorso da futurologo, e io non lo sono – mi auguro che non impatti troppo sulla nostra vita. E a sentire i grandi esperti, il rischio che impatti troppo... i ripetenti ci sono. Non voglio chiudere la domanda con un messaggio apocalittico. In questo senso sono sicuro che l’uomo – anzi, l’umanità – rimarrà centrale anche nell’era dell’intelligenza artificiale.L’uomo e la donna hanno troppi talenti.Anche quando sbagliano, riescono a tirare fuori cose meravigliose. Pensate alla penicillina, che fu letteralmente il frutto di un errore. Questa cosa umana, grazie al cielo, non credo sarà facilmente replicabile.
Se potessi realizzare un sogno legato allo spazio, quale sarebbe? Tipo mettere piede su Marte, o cosa?
Io andrei su Marte domani mattina. Ma con la certezza di tornare a casa.
