E così sono (quasi) trenta. Saranno trent’anni di carriera, nel 2025, per Silvia Salemi, che nel frattempo si è messa avanti con i lavori. Da qualche settimana, in radio e in digitale, gira “Fiori nei jeans”, il nuovo brano. E da pochissimo è uscita la raccolta “23 ore”, che contiene i brani dell’album “23” (2017), i singoli pubblicati negli ultimi anni e tre canzoni inedite (“per il prossimo anno sono previsti festeggiamenti live speciali, collaborazioni con diversi artisti”, assicura). Ma dov’è, oggi, Silvia Salemi? Questa estate la troveremo in giro con “Voce summer tour”, ma chi è oggi “la ragazzina” che si è sempre fatta valere ed è diventata donna in un ambiente tremendo come quello musicale? Armata, fin dall’inizio, di canzoni. Sempre pretendendo che le venisse dato del lei. “Era il 1995, ho vinto Castrocaro che avevo solo 15 anni, e ho capito presto – mi trovavo a una riunione fra adulti “di una certa esperienza e levatura” – che se non mi fossi fatta rispettare non avrei fatto molta strada”.
In “23 ore” è contenuto un pezzo a cui tieni particolarmente, “Animali umani”. Un pezzo sulla violenza contro le donne che non si presta ad equivoci…
“È un pezzo molto spinto e crudo. Utilizzo termini diretti, anche i miei respiri. Il tema è urgente e a questo proposito faccio un passo indietro. Sento dire: al primo schiaffo scappa. Credo che a quel punto sia già tardi. Prima della violenza fisica può esserci quella psicologica, quella verbale. “Stai zitta”, “stai al tuo posto”, “non vali niente” sono frasi pesantemente svalutanti che aprono scenari di dipendenza percorsi dalla paura. Attenzione, quindi, l’allarme arriva da lontano. In questo brano attiro l’attenzione sulla questione con termini espliciti perché non voglio che un tema simile sia banalizzato. La violenza contro le donne è un tema che non deve mai raffreddarsi”.
Credi ci siano ancora tranelli in cui le donne tendono a cadere? Segnali che non vengono interpretati a dovere?
“Negli anni ho imparato a stimolare nelle mie due figlie una domanda molto semplice da rivolgere a un uomo, a un compagno: com’è il rapporto con tua madre? Può sembrare una sciocchezza, ma credo che molto si giochi lì. Dal rapporto che l’uomo ha con la prima figura femminile della propria vita si possono capire tante cose. Non conosco uomini che trattano male la madre e poi si comportano bene la moglie”.
Fra i pezzi nuovi c’è anche “Fiori nei jeans”, un brano che suona molto contemporaneo…
“Ci siamo aperti a un team di autori giovani e questo evidentemente si riverbera anche sugli arrangiamenti e le sonorità, senz’altro più attuali. Noi artisti dobbiamo evolvere, ma sarebbe inutile, per me, fare la giovanilista. Fare trap e spingere sull’autotune. In questo pezzo c’è una bella convergenza fra un suono attuale e il mio spirito cantautorale di sempre. Cosa che si nota ancora di più in “Amore eterno”, che è una canzone molto cantata. E oggi è difficile trovare cantanti perché l’espressione privilegiata passa per la parola parlata.
Ecco, che rapporto hai con l’autotune?
Pessimo (ride, nda). Lo uso il meno possibile, solo per enfatizzare qualche verso. Vengo da un’altra scuola, ma va bene così. Sarei ridicola facessi diversamente, otterrei l’effetto di Checco Zalone con “Poco ricco”, solo che lui voleva fare ridere, io non ci tengo.
Trent’anni di carriera significa navigare attraverso varie epoche. Scene cambiate, alcune sparite…
“Sono partita con Pippo Baudo e oggi mi sento “madre” di una nuova generazione”.
Qualche cedimento in tre decadi?
“Qualche normale difficoltà, ma non sono mai entrata in crisi perché “non più giovane”. A quarantasei anni ho una credibilità che non ha un ventenne, e viceversa il ventenne sventola una leggerezza che non mi appartiene. Io, da madre, evito di andare in giro con una minigonna inguinale perché sarei ridicola. Ognuno ha il proprio peso, la propria dimensione”.
Quanto ti attira o respinge, quindi, la musica dei giovani?
“Sono pazza per Annalisa, per Elodie. Le trovo bravissime. Cantano benissimo e sono molto sensuali. Donne bellissime che non hanno timore di manifestare la propria avvenenza. Trovo che siano atti emancipatori importanti. E poi nessuna di loro mi sembra finta”.
Ti piace anche Taylor Swift, la popstar definitiva degli ultimi dieci anni?
“Sì, ma c’è anche Dua Lipa. E Adele, che ha venduto milioni di dischi anche quando era sovrappeso. Perché alla fine vincono le canzoni. Se una poi è anche bella, meglio così. In questo momento, ad esempio, sta andando forte un duetto di due donne, una più magra e una più in carne, no? (l’allusione è a “Mezzo rotto” di Alessandra Amoroso e BigMama, nda). Sono le canzoni che contano e ci si può sentire fig*e anche con una taglia in più”.
Ritieni i nomi che hai menzionato dei buoni spot per una femminilità positiva?
“Se lo spot è “mi sento a mio agio con me stessa, con il mio corpo e sono problemi vostri se in tutto questo vedete della volgarità o qualcosa di sbagliato”, allora sì. Ho una bella gamba? Perché non mostrarla? Problemi vostri se vedete qualcosa di offensivo, oltraggioso o pornografico in tutto questo. Perché io canto canzoni pop, non faccio porno. Credo che buona parte del problema siano le lenti con cui ci guardano i maschi. E vi dirò di più: meglio ancora se a mostrarsi è una donna considerata meno “fi*a” delle altre. Ben venga. Mette in mostra le gambe o le spalle, mica i genitali, no? Dov’è lo scandalo? Ma poi quando una è brava a stare sul palco, può fare tutto, nei limiti della decenza. Finora abbiamo parlato di cantanti che non mi sono mai sembrate sopra le righe”.
Aggiungiamo alla lista anche Angelina Mango?
“Sì, bravissima. Nelle sue movenze c’è una meravigliosa ingenuità. Gestisce benissimo la voce, non perde una nota. Eppure si muove tanto”.
Rivedi una Silvia Salemi degli esordi nella musica di oggi?
“Direi di no. Semmai sono io che continuo ad attingere dalle grandi cantanti che negli anni ho osservato e studiato: Ornella Vanoni, Ella Fitzgerald, Madonna, Janis Joplin… Prendo un pezzettino da ognuna di loro, senza voler essere loro”.
E oggi cosa diresti alla Silvia Salemi della prima maturità pop?
“Piccola mia, fortificati tanto. Avevo undici anni quando calcai per la prima volta un palco. Era un concorso locale, ma mi trovai davanti diecimila persone. Questo è un mondo molto duro. Mio padre, compiuti i diciotto anni, mi disse: fatti sempre dare del lei”.
Ti è servito questo consiglio?
“Ricordo una mega-riunione. Manager, produttori, discografici, anche la direttrice di un noto settimanale. Uno di loro, un po’ sprezzante, mi diede del tu, come fossi una bambina. Io gentile, ma assertiva, le chiesi di darmi del lei. Creai la distanza necessaria. Necessaria affinché non venissi mangiata. Mettere qualche distanza, per una donna, è essenziale. Perché, spostandomi su discorsi più seri, “non ce la cerchiamo” (e odio chi afferma questo), ma possiamo ridurre i pericoli mettendo qualche confine”.