Se la pigrizia fosse un film, questo sarebbe War of the Worlds su Amazon Prime Video. Magari bastasse mettere Ice Cube e Eva Longoria nel cast per far venir fuori qualcosa di sensato. Il regista, Rich Lee, poi, non si è nemmeno sforzato di farli alzare dalla sedia. La guerra dei mondi è un racconto di H.G. Welles, trasmesso poi da George Orson Welles via radio, questa l’ennesima sua riproposizione. Sicuramente la meno riuscita di ogni tempo, grazie al cielo accolta con uno 0% di gradimento su Rotten Tomatoes. Will Radford (Ice Cube) è un informatico del ministero della difesa americano che si occupa della sorveglianza dei cittadini statunitensi. Ogni tanto butta l’occhio in videocamere nascoste per verificare che la famiglia stia bene. Solo nel suo ufficio, seduto su una sedia, è il comodo vigilante di Washington e di tutto il paese. Ogni tanto si confronta con una collega della Nasa, Sandra Salas (Eva Longoria). Ed è lei che lo informa di eventi atmosferici estremi, mai visti, ancora inspiegabili. Nel frattempo un’organizzazione di hacker, Disruptor, sta cercando di fare breccia nei sistemi governativi: per fare cosa, almeno all’inizio, non è ben chiaro. La “svolta”, però, è la casuale invasione aliena che ne segue. I tripodi già visti a inseguire Tom Cruise nel film del 2005, diventano qui mangiatori di dati, attirati da un sistema frutto della mente folle di un alto funzionario (interpretato da Clark Gregg, anche lui visto solo in versione home office) che ha fatto da esca per gli extraterrestri. Loro vogliono informazioni, Radford cercherà di fermarli, salvando contemporaneamente figli, amici e fidanzati. Patria e famiglia, da buon americano, tranne che per Dio, che sta nel pc.
Dunque Rich Lee non avendo voglia di far nulla ha piazzato tutti i nostri di fronte a una telecamera e li ha fatti parlare freneticamente l’uno con l’altro, provando a creare un “intreccio” che Radford-Ice Cube dovrà risolvere. Un’ora e ventinove minuti di desktop, videochiamate, email, messaggi, click, notifiche di “X”, pacchi Amazon e l’ex uomo del Compton che urla “damn”. La vita di ogni giorno, quindi. L’intento probabilmente era quello di problematizzare il tema della sorveglianza, della pericolosità della trasmissione incontrollata di dati e informazioni, della tendenza a controllare i battiti al minuto della propria figlia incinta e a cercare le password dei social di cugini, nipoti e familiari tutti. L’intento, appunto. O almeno speriamo, perché lo svolgimento del tema è nella migliore delle ipotesi ridicolo, se non addirittura malizioso. Perché da metà in poi questo War of the Worlds diventa una piattaforma nella piattaforma, Amazon che lancia su Amazon Prime Video la consegna via drone, in cui il corriere Amazon diventa l’eroe, dove il buono Amazon da mille euro basta a far correre il pericolo di morte per mano aliena a un passante casuale; diventa, alla fine, un protagonista che dice a un esponente del governo: “Basta controllare cosa compra la gente su Amazon: da ora in poi controlleremo voi”. Insomma, un manifesto programmatico dell’ambizione - magari inconscia - di un Jeff Bezos. “Che bello sarebbe se il controllante diventasse il controllato”. Ma siamo già troppo oltre. Se davvero di manifesto si tratta, questo è probabilmente stilato inconsapevolmente, al massimo product placement. Inconsapevole e dunque grottesco, quando non volutamente ambiguo: è il marketing dell’apocalisse.

