Prendi in mano il programma della Mostra del cinema di Venezia 82 appena uscito e prevedi già una grande edizione. C’è la grande Hollywood, quella di Noah Baumbach, Guillermo Del Toro e George Clooney, di nuovo al Lido dopo lo show sul red carpet dello scorso anno; e c’è la Hollywood ancora più grande, almeno ai box office: in The smashing machine dei fratelli Safdie c’è anche Dwayne Johnson, non esattamente il genere di attore che passa spesso per Venezia. Per quanto riguarda l’Italia, poi, sembra che daremo tutto: Paolo Sorrentino apre con La grazia e fuori concorso (per volere, si dice, sia del regista che di Amazon) parteciperà anche Luca Guadagnino con il suo After the Hunt, un dramma sulle molestie sessuali e il #metoo nelle università Usa. La protagonista del film di Guadagnino sarà Julia Roberts. Altri quattro autori, poi, oltre a Sorrentino, sono in concorso: Pietro Marcello (Duse), Gianfranco Rosi (Sotto le Nuvole), Leonardo di Costanzo (Elisa) e Franco Maresco (Un film fatto Bene). Nella sezione dedicata alle serie, istituita l’anno scorso pur con qualche malessere dei puristi (“di serie, a Venezia, non ne vogliamo”), si segnalano grandi nomi. Tre italiani su quattro. Difficile per i nostri competere con i colossi statunitensi in quel settore. Ma, almeno alla Mostra, i nostri autori trovano spazio.
Marco Bellocchio presenta le prime due puntate di Portobello, incentrata sulla storia di Enzo Tortora e il suo arresto. Bellocchio si porta dietro anche stavolta Fabrizio Gifuni, che interpreterà proprio il conduttore nel 1983, anno del suo arresto. Attesissima, invece, la serie Netflix Il mostro, ideata da Stefano Sollima, lanciatissimo e ormai maestro del genere (e della serialità) dai tempi di Romanzo criminale. Il tema, si sa, è l’assassino di Firenze. Il terzo italiano che vedremo nella sezione è Enrico Maria Artale che porta gli otto episodi di Un prophète ispirato dal film omonimo di Jacques Audiard, regista di Emilia Perez, protagonista nel bene e nel male dell’ultima notte degli Oscar. L’ultimo nome è quello di Hagai Levi, autore di Etty, storia in sei episodi di Etty Hillesum, donna ebrea olandese che ha testimoniato il genocidio e l’occupazione nazista. Il direttore artistico della Mostra, Alberto Barbera, paura non ne ha: né quando si tratta di invitare Woody Allen, contestatissimo al Lido, né se parliamo di apertura nei confronti di Netflix: gli streamer non erano ospiti graditissimi in quel 2018. Sette anni che sembrano un’era geologica se guardiamo ai cambiamenti dell’industria audiovisiva. Stessa cosa per le serie: i festival sono una cosa, la serialità un’altra. Barbera parlò di visione “antistorica” e proseguì per la sua strada. Forse perché consapevole di avere per le mani una serie come M – Il figlio del secolo. È vero, Joe Wright, il regista, è inglese, ma l’impianto decisamente italiano: per interpreti, in primis Luca Marinelli, scrittura (Stefano Bises e Davide Serino erano gli sceneggiatori) e soggetto, il mega-romanzo di Antonio Scurati. Tornano gli italiani al Lido, quindi, non solo nel cinema: alla ricerca dell’eccellenza, pure nelle serie.

