“Anche essere un uomo può essere molto difficile”: vedendo le sette puntate di Supersex, serie ispirata liberamente alla vita di Rocco Siffredi, mi è tornata in mente questa battuta della prima stagione di Mad Men dove l’autore, Matthew Weiner, mette in evidenza di come la prima vittima della mascolinità tossica e del patriarcato sia proprio il maschio stesso. Se Mad Men iniziava nel 1960, Supersex inizia vent’anni dopo con un pre-pubescente Rocco nella piccola Ortona non meno tossica della Manhattan di Mad Men. Rocco proviene una famiglia umile più e meno disfunzionale di altre, è un bambino introverso che ha due eroi che lo elevano da una quotidianità insopportabile: Supersex (fotoromanzo porno il cui volto era di Gabriel Pontello) e Tommaso, il fratellastro che pare un approdo felice nella vita del bambino, un termine fisso di consiglio in un luogo pieno di dolori e violenza (e chi è cresciuto in provincia sa di cosa parlo). Tommaso cresce e Rocco lo segue a Parigi, così se per Tommaso sono gli anni in cui inizia una china discendente, per il fratello è il momento della ricerca di un’identità a lungo oppressa e il seguente sviluppo del superpotere. Come per ogni eroe, in incognito o meno, il gruppo di zingari che ha pestato a sangue uno dei fratelli di Tommaso e Rocco, Claudio, è il primo “mostro” che Rocco deve affrontare nella sua coming of age, ma non il più pericoloso: il vero villain diventerà Rocco stesso, scisso in una dicotomia lacerante che, forse, solo l’amore, o lo sguardo che ci accoglie, riuscirà a saldare. Sette episodi e tre registi a disposizione per raccontare l’evoluzione da Rocco Tano a Rocco Siffredi: Matteo Rovere (anche tra i produttori con Lorenzo Mieli), Francesca Mazzoleni e Francesco Carrozzini portano il pubblico attraverso il mondo del porno che corre parallelo all’educazione sentimentale di Rocco. In Supersex Rocco è una star mondiale che ha raggiunto ogni soddisfazione professionale ma al contempo rimane un timido figlio e testimone del suo tempo: dall’apogeo del porno classico o analogico (grazie alla diffusione dei videoregistratori) fino al digitale del nuovo Millennio, passando per l’ombra dell’Aids e la battaglia per la rivoluzione sessuale.
In questa avventura, che ha il sapore di una fiaba e la colonna sonora curata fino al più piccolo dettaglio (che sia l’originale scritta da Ralf Hildenbeutel ai pezzi d’epoca come Self Control, Stripped o Stella stai) Rocco si ritrova nella delirante tana del Bianconiglio circondato da un caleidoscopio di personaggi inventati (Lucia interpretata con una cura toccante da Jasmine Trinca) e non, febbricitanti ma non per questo meno umani, pieni di vita: dal super professionale Riccardo Schicchi (Vincenzo Nemolato) al tenero Franco Caracciolo (Mario Pirrello) una delle ragazze Coccodè del programma di Renzo Arbore (Indietro tutta!), passando per l’elegante Moana Pozzi (Gaia Messerklinger) che dalla scelta delle luci alla fotografia ha, in ogni scena, la consistenza di un breve e bellissimo sogno. Dal sogno di ragazzo incarnato da Lucia, passando per la dolce Sylvie (Jade Pedri) il tossico rapporto amoroso con Tina (Linda Caridi) fino a ‘quell’amore che non osa dire il suo nome’ di Rosza, ogni tappa della vita di Rocco, dalla prima all’ultima eiaculazione ha una morale da interiorizzare, una consapevolezza da ingoiare per diventare adulti e uomini, ma non con quella mascolinità distorta dei nostri padri, è una strada di mattoni gialli come quella che porta al palazzo di smeraldo di Oz. Lo sappiamo che la storia finisce bene, ma è di una vita particolare quella che parla Supersex, fatta di seconde occasioni, luoghi inaspettati e tante troppo sofferenze. Il documentario del 2016, Rocco, ci regalava degli aneddoti interessanti ma iniziava dove qui si conclude la storia e lo sappiamo, per ogni supereroe, il pubblico merita di conoscere le origini. Ma una perplessità permane dall’anteprima alla Berlinale: il ragazzino che inizierà la serie forse rimarrà deluso perché il porno, qui, non è pervenuto (potete sempre recuperare l’ultimo bel film di Bruce LaBruce, presentato anche quello alla Berlinale), ed è un peccato non solo perché sarebbe bello per le nuove generazioni (e non solo) avere un educatore sessuale come Rocco (quanti e quali brutte esperienze avremmo evitato tutti) ma perché è ingiusto ridurre un uomo a una dimensione sola.
Il corpo non mente mai ed è questa la lezione che Rocco usa come arma, più che il cazzo, per farsi strada in un mondo che inizialmente lo deride come campagnolo, per imparare a conoscere le persone. Il modo in cui il corpo degli altri reagisce alla sua presenza in parte modellata dal fratellastro Tommaso (in età adulta interpretato da Adriano Giannini). Tra il ruolo del padre amorevole nonché poliziotto psicopatico in Adagio e il tormentato Tommaso in Supersex, è difficile decidere quale sia la sua prova migliore. Così come il talento di Borghi gli permette di replicare in un modo personale e interessante Siffredi, stesso discorso per Saul Nanni (Rocco in gioventù) che tratteggia un quadro di Rocco a noi sconosciuto, ancora “in progress”, quasi sempre silente nel suo essere confuso di fronte a una nuova realtà. Non siamo propriamente d’accordo con Alessandro Borghi quando dice che questo ruolo farà incazzare un po’ di gente, e per questo ha accettato d’interpretarlo; siamo sinceri, in primis non si tratta di un biopic di Marco Mariolini, poi per far davvero incazzare gli italiani dovresti parlare male di Fabrizio Frizzi: è di Rocco Siffredi che parliamo, ossia l’equivalente italiano di Dolly Parton, è il nostro tesoro nazionale e andare contro Rocco, parlare o pensare male di lui, significherebbe voler scuoiare Bambi davanti a una scuola dell’infanzia (sempre che i bambini non la accolgano benevolmente come l’ennesima challenge violenta di TikTok). È vero che ci sono dei commenti stronzi sul web (forse la critica a cui si deve prestare attenzione è chi ha definito Supersex una Suburra soft porn) ma questi retrogradi coi forconi non rappresentano, fortunatamente, una statistica rilevante. Supersex, creato e scritto da Francesca Manieri è un lavoro dove è palpabile l’interesse per l’uomo dietro il mito, il dolore dietro il sorriso, l’eros martoriato dal porno, ma c’è il rischio che diventi (e speriamo di sbagliarci) pura memorabilia per chi è già fan di Rocco, che sia del suo lavoro o del personaggio mediatico degli ultimi anni. Supersex è la storia di un uomo che ha tutto ma si sente fuori posto, figlio di un tempo che oggi viene valutato come tossico. “Si sta liberi solo senza cuore”, così come il mantra che una donna deve portare soldi all’uomo e che l’uomo deve distaccarsi emotivamente dall’amata andando a mignotte, sono tanti degli insegnamenti sbagliati che Tommaso snocciola a un giovane Rocco. Rocco si convince erroneamente che la sua vita e l’amore siano inconciliabili, che l’amore sia un nemico da abbattere, che non sia capace di amare e accettare l’amore che gli viene dato: chissà se Rocco rivedendo la serie capirà quanto è ben nutrita la fila di persone che lo hanno amato, un po’ come la bellissima sfilata dei vivi e dei morti che ci ha regalato Fellini nel finale di 8 ½. Perché fare oggi una serie su Rocco Siffredi? Per dirla con Moana Pozzi nell’intervista con Marzullo, un serie su Rocco era giusto farla perché: “Mi piacerebbe essere eterna, non finire mai”. E così sia, anche per Rocco.