Tag, firme, scarabocchi, anarchia, croci celtiche, scritte d'amore, di pace, di guerra, forza Milan, Pisa merda, 800A e bestemmie: i muri delle case sono un diario segreto a cielo aperto da quando esiste il pregrafismo, dalle pitture rupestri nelle grotte alle ville di Pompei, fino ai giorni nostri. Chi la chiama arte, chi libertà di espressione, chi storia, chi degrado. Di Banksy ce n'è uno, ma gli altri non hanno diritto di esprimersi? Se ne potrebbe discutere, ma c'è chi si è spinto oltre. Si fa chiamare Ghost Pitur, è di Brescia, ed è un writer all'incontrario. La sua missione? Cancellare i graffiti. Restituire al muro la sua forma originaria: “Ripulito. Rispettato. Fatto tornare a respirare. Era invisibile, coperto dal rumore visivo dell’abbandono. Adesso è di nuovo parte del paesaggio. Non urla più. Non chiede più attenzione. Esiste. E basta”. Beh, un imbianchino, si dirà. No, perché il suo modus operandi è rubato alla street art: felpa, cappuccio, notte fonda. Rullo e tolle di vernice in mano, il pittore agisce col favore delle tenebre. Una sorta di Batman delle facciate, la sua firma è un bigliettino attaccato al muro con il nastro di carta, altro richiamo alla nobile arte della pittura professionale: “Questo è un atto di amore urbano”. In breve tempo è diventato un eroe dei social: la gente nei commenti si affolla per invitarlo nella propria città, lo acclama, si chiede come finanziarlo. L'idea, in sé reazionaria, è furba e divisiva.
C'è infatti chi lo attacca, che le scritte sui muri sono parte attiva del vissuto urbano, memoria storica della voce popolare, traccia concreta del fatto sociologico più importante: che le città non sono altro che persone, agglomerati di vita. Come si dice: muri puliti e popoli muti. Il pittore fantasma vuole ribaltare questa prospettiva, e lo fa con un manifesto che, a dirla tutta, è un po' confusionario. “Non sono un eroe. Sono un cittadino. Agisco per amore, non per gloria. Il mio è un atto di amore urbano. Pulisco muri imbrattati, cancello il degrado. Lo faccio perché la bellezza è un bene di tutti”. Ci può anche stare, ma il vizio di fondo è che sia lui a stabilire in maniera autoritaria il canone estetico che separa bellezza e degrado. “Credo nella bellezza - continua - La bellezza non è un lusso, ma è parte di come viviamo insieme. Prendersene cura è un atto semplice, che può cambiare il modo in cui guardiamo la città e noi stessi”. La frase sa un po' di fuffa ideologica da influencer, e in effetti lo è. Dire che la bellezza non è un lusso implica che essa debba essere popolare, condivisa, democratica. Allora, perché si stabilisce che la bellezza sia soltanto il muro appena pitturato e non quello deturpato?

“Il mio è un gesto apolitico. Non rappresento nessuno. Nessuna ideologia nessuna bandiera. Solo rispetto per lo spazio urbano. L'arte merita rispetto. Il mio gesto è contro il degrado e l'abbandono. Non contro l'espressione. Resto anonimo. Agisco di spalle, con il cappuccio tirato su. Non cerco identità, lascio solo un'azione concreta”. Se non è contro l'espressione, perché un secondo prima la definisce come degrado? “Bentornato, amico mio! Ora sì che sei uno splendore”, dice a un muro appena ritinteggiato. Ma l'eterno dilemma si ripresenta: pitturare i muri di notte è arte a sua volta - amore urbano - o soltanto una furbata a favore di social? Vero è che i muri coperti dal Pitur erano semplicemente coperti di scarabocchi e firme, tranne una scritta anarchica che ha fatto sospettare simpatie destrorse poi negate dallo stesso antieroe, ma non è altrettanto vero che chi avrà fatto quelle scritte ha agito per emergenza espressiva? E perché non coprire anche i santini di Jorit, Tvboy e degli altri street artist, il cui valore estetico è altrettanto discutibile?
