C'è chi si mette gli occhiali da sole, per avere più carisma e sintomatico mistero, cantava il genio di Franco Battiato nel 1981. C'è chi si è messo un casco in testa, come i Daft Punk. I wrestler lo hanno sempre fatto, poi Liberato, Tha Supreme, il gruppo metal degli Slipknot. Mina, che a un certo punto della carriera ha deciso di eclissarsi. Basta nascondersi, coprirsi o camuffarsi, e il personaggio è pronto per far parlare di sé. Poi c'è anche quell'aspetto che i teorici del marketing chiamano gamification: chissà chi è, chi non è. Diventa un gioco, ma è conclamato e definitivo il fatto che il mistero sia fonte di proselitismo. Ciò che è sconosciuto attira più di ciò che è manifesto. Dove non c'è scoperta, non c'è più relazione. Nell'arte, il nome più importante di chi ha utilizzato questo genere di meccanismi è quello di Banksy. Nessuno sa chi sia, benché le sue opere siano famose in tutto il mondo. Il fatto che Banksy abbia deciso di rimanere nell'ombra lo ha consegnato alla mitologia, e per quanto riguarda le eventuali accuse di sparire per fare marketing, sono vere solo in parte. Che sia anche marketing, questo è innegabile, però su tratta di un'operazione che ha già un doppio giustificativo nelle sue premesse: l'artista si eclissa per far parlare l'opera, e contemporaneamente rimane coerente alla sua natura di street artist sonnambulo, costretto a sbombolettare i muri clandestinamente. Ci sta. Almeno, finché poi non si arriva al punto in cui si gioca soltanto a indovinare chi è l'artista sparito e non si parla più dell'opera. Anche perché, come dicevano le mamme: un bel gioco dura poco; e la faccenda dell'identità di Banksy sta diventando un grottesco gratta e vinci, un gioco in cui speri fiaccamente di vincere, sapendo già che perderai. Il gioco di indovina Banksy è diventato un po' così: tra falsi proclami, attribuzioni di identità indebite o buttate a caso, conferme, smentite e apparizioni in tribunale, adesso addirittura si sta spostando l'attenzione sui sosia dell'uomo il cui volto dovrebbe coincidere con quello dello street artist: Robin Gunningham.
La caccia a Banksy, negli anni, ha portato le persone a ipotizzare di tutto. Anche troppo. Prima si diceva che fosse Robert 3D Del Naja, il musicista dei Massive Attack. Il motivo? Del Naja è di Bristol, e la prima opera di Banksy è apparsa a Bristol. Geniale, no? Consideriamo poi che il musicista era anche lui un'artista di strada, e il cerchio si stringe. Poi ci si è messa anche la statistica, ed è stato visto che durante il tour dei Massive Attack nel 2016, le date coincidevano con la comparsa di alcune opere di Banksy. È fatta? No. Del Naja ha smentito tutto, parlando di esagerazioni. Poi è stato il turno di un altro musicista, Jamie Hewlett dei Gorillaz. Un esperto, anonimo anche lui, notò che il nome di un certo J. Hewlett era presente in tutte le società collegate a Banksy. Poi una responsabile dell'ufficio stampa dell'artista dichiarò che c'era un errore, il nome era Hewlitt, e morta lì. Dopodiché è stato fatto il nome di Thierry Guetta, un altro street artist famoso con il nome di Mister Brainwash. Lo stesso Guetta ha preso parte a un film documentario girato dallo stesso Banksy, intitolato "Exit through the gift shop". Non ci sono altre prove, a riguardo. Poi un altro, che conosciamo benissimo tutti anche qui in Italia. Posate le forbici arrotondate e ripensate ad Art Attack, il programma condotto dal vinilico Giovanni Muciaccia. Fatto? Vi ricordate di Neil, il grande artista? Quello che faceva le opere buttando in terra oggetti di uso comune per poi assemblarli in maniera apparentemente caotica. Poi, il tutto veniva ripreso dall'alto e il risultato era stupefacente. Ecco, lui, Neil Buchanan, che poi era il conduttore della versione inglese di Art Attack. Anche lui è stato Banksy per un po', e anche lui lo è stato senza un motivo. Poi lui, l'uomo decisivo. Robin Gunningham.
Robin Gunningham è stato uno dei primi a essere nominato, ed è l'ultimo a resistere. Il Daily Mail lo aveva già indicato come possibile Banksy nel 2008. Le prove? La somiglianza con una presunta fotografia dell'artista, e il fatto che a scuola fosse bravo nelle discipline artistiche. Sherlock Holmes era inglese, ma non ci spieghiamo il perché, viste le capacità investigative dei suoi conterranei. Su Gunningham sono intervenuti perfino gli scienziati della Queen Mary University di Londra, ma le tecniche utilizzate, tra le quali il geoprofiling, una metodologia investigativa adatta a scovare i criminali, non hanno dato conferme esatte. Nonostante l'insufficienza di prove, però, Gunningham rimane il maggior sospettato. Poi, quando si tratta di queste cose, la gente impazzisce, letteralmente. Il 18 marzo, a Londra, è apparsa una nuova opera di Banksy. Un albero spoglio, davanti a un palazzo di Hornsey Road, e una ragazza che spruzza vernice verde. Il tema è l'ecologia. Ma non facciamo critica d'arte. Il punto è che è stato diffuso un video in cui si vede la presentazione dell'opera. Nel filmato compare un uomo che assomiglia a un incrocio tra Antonello Fassari dei Cesaroni e James May di Top Gear. Notizia bomba: i giornali di tutto il mondo hanno ripreso la somiglianza dell'uomo con Robin Gunningham, quindi con Banksy. È lui o non è lui? Come diceva il tormentone di Ezio Greggio, cerrrto che non è lui. Nemmeno il tempo di una nottata che sono arrivate le smentite. L'uomo ritratto non era colui che potrebbe essere Banksy, ma un imprenditore edile londinese di origini greche, tale George Georgiou. Chissà che adesso non si sposti il gioco verso Robin Gunningham, complicando le cose. Se Georgiou è Gunningham, e Gunningham è Banksy, ma Banksy è Del Naja, e Del Naja è Georgiou, non è che alla fine poi le opere di Banksy non se le fila più nessuno, perché sono tutti impegnati a capire chi è il cosplay di chi?