Esistono – senza offesa, vedremo perché - idioti in parlamento? È questa la domanda dalla quale bisogna partire se si vuole ragionare della recente rissa alla Camera dei deputati durante la discussione sull’autonomia differenziata (già dal nome si evince un uso maldestro della lingua) e che ha visto al centro, come un sole, Roberto Calderoli e, come in orbita intorno al Ministro, Igor Iezzi e Leonardo Donno. È proprio sul termine “idiota” che bisogna concentrarsi se si vuole compiere un ragionamento “alto”, linguisticamente, politicamente, filosoficamente. Il lemma “idiota”, applicato al fenomeno leghista, appare in un libro del 2011: L’idiota in politica. Antropologia della Lega Nord, di Lynda Dematteo con la prefazione di Gad Lerner, edito da Feltrinelli. Sia il prefatore che l’autrice tengono a precisare che l’uso del vocabolo “idiota” è usato nel suo senso prettamente storico ed etimologico. Concordiamo. La Dematteo lo usa nel suo significato di “particolare”, in senso contrario a “universale”, ossia di qualcosa che è avvoltolato su sé stesso. In realtà la Dematteo traduce “idiota” in maniera errata – ma così facendo, per così dire, ci illumina ancora di più - poiché “particolare” è il significato di “idioma”. Idiota e idioma: non sono soltanto due termini simili, sono davvero la chiave di lettura dell’idiozia (in senso letterario e linguistico) politica che, vedremo, non è soltanto dei nostri giorni. Idiota, in greco, significava più esattamente, colui che non ricopre cariche politiche, la persone comune, il non colto, il popolaccio (è vero, la “democrazia” nasce in Grecia, ma chi pensa che “democratico” significa una buona marmellata spalmata in maniera egalitaria su tutta la fetta di pane del popolo, sbaglia) e che parlava in “idioma”, ossia un linguaggio “particolare” e non universale che nasceva, per così dire, dalla sua “chiusura” sociale (non mentale, per carità, anche se sappiamo che la lingua fa la società e la società fa la mente, almeno nello zoon politikon che, secondo la definizione di Gottfried Benn è “un uomo di mer*a”). L’idiota, cioè dire, parlando un idioma, non è in grado di uscire dalla propria ristretta comunità, non ha i mezzi per confrontarsi nell’agone pubblico, come il contadino che vide per la prima volta il mare ed esclamò “minchia di lu gibbiuni!” (ullapeppa che cisterna grande). La Dematteo, nel pregevole libro, individua nell’idiota “montanaro” ossia nell’abitante dei monti del bergamasco, il luogo da dove si sprigionerà la poetica e la retorica di Umberto Bossi, il cui atto politico geniale fu quello, per così dire, di dare voce all’idioma, di rendere universale l’idioma, di prendere un linguaggio inadatto alla cosa pubblica (cosa pubblica che i greci, in qualche maniera perversa, credevano universale) e di ficcarglielo dentro “a forza”. È ovvio che, scendendo nell’agone politico armato di un idioma e non di un linguaggio universale – necessario ogni qualvolta bisogna “dibattere”, ossia “dialogare” con persone di altre culture – quello che ne esce fuori sono mugugni, insulti, gesti dell’ombrello, ossia tutto l’armamentario (in senso metaforico) delle tribù che, non condividendo un linguaggio, si scontrano con grida, balletti, percuotendosi il petto, lanciandosi banane. Avrete già capito che molto di quanto espresso dalla Dematteo a proposito dell’ascesa del leghismo sia applicabile per la maggior parte anche alla nascita del Movimento Cinque Stelle (come poteva un movimento con questo nome non farsi poi sedurre dal lusso del potere resta un mistero).
Qui sta il punto. L’idiota, praticando l’idioma, non è un essere in grado di parlare con persone al di fuori della propria comunità, ossia è la persona meno adatta a stare in “parlamento”, dove si dovrebbe appunto parlare tra visioni del mondo diverse. Come supera, l’idiota (in senso letterario e linguistico ed etimologico) questa impasse? Ma con il gesto naturalmente. Con il gesto tribale – il gesto dell’ombrello – ma anche con il gesto verbale, ossia l’insulto (l’insulto è un “gesto”), il famoso “vaffa”. Non è un caso se la rissa alla camera sia esplosa tra un cinquestelle che agitava una bandiera (ricordiamolo che la “bandiera” è un segno ‘militare’ e non un fazzolettino da pochette, ma capisco che i contiani vedano tutto pochettato) e un leghista che saltellava come nella famosa scena di 2001: Odissea nello spazio, fendendo l’aria con i pugni. Prima di prevedibili obiezioni, vorrei tranquillizzare: esistono idioti in tutti gli schieramenti politici. Anzi, vorrei estendere, ove permesso, il ragionamento all’intera politica, citando Manlio Sgalambro che citava Niccolò Machiavelli: “Devo forse ricordare che Machiavelli riteneva ‘i montanari dove non vi è alcuna civiltà’ i soggetti ideali per l’uomo politico? E i paurosi, i volubili, i cupidi di guadagno?”. Come vedete, torna la figura del “montanaro”, presente già in Machiavelli, ben prima che Bossi adocchiasse in una certa zona bergamasca il luogo ideale dove fare attecchire il suo non-verbo (ma ricordiamolo, però, che dietro Umberto Bossi c’era un genio della teoria politica, Gianfranco Miglio). Il “montanaro”, termine che oggi la cultura woke ci impedirebbe di usare, non ha niente a che vedere con i nobili abitanti dei monti, che almeno sono dei primati, mentre gli abitanti delle città, per le loro abitudini sociali, mi sembrano più simili agli insetti. Se da Machiavelli alla Dematteo, passando per Sgalambro, si usa questo termine, è solo per indicare una visione autoreferenziale di sé e della società, che le civiltà montane richiamano alla mente. Ma si può essere “montanari”, nel senso di chiusura mentale, anche abitando splendidi appartamenti nelle ztl. Chiarito questo, come sosteneva Machiavelli, è tra le tribù montanare che la politica meglio attecchisce. Laddove il particolare sente il bisogno dell’universale e non sa dove trovarlo se non al di fuori dei propri confini. Ma è proprio qui che casca l’asino con tutto l’asiniere. Se da questa faccenda nasce la politica essa non può che essere fatta di ululati, imitazione di gesti animaleschi, esseri che grufolano, che ce l’hanno duro, che si urlano i vaffa come se si lanciassero deiezioni, o, ovviamente, usando le supercazzole che, lontanissimi da qualunque forma di dialogo, richiamano alla mente le ruote dei pavoni. Dovrebbero chiamarlo zoo, non parlamento.