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Ma che fine hanno fatto le canzoni di Sanremo? Tra Ghali, Mara Venier, Geolier e i record di Amadeus forse ce ne siamo dimenticati. Ecco alcuni motivi per cui parlarne: tra cui Mahmood

  • di Michele Monina Michele Monina

15 febbraio 2024

Ma che fine hanno fatto le canzoni di Sanremo? Tra Ghali, Mara Venier, Geolier e i record di Amadeus forse ce ne siamo dimenticati. Ecco alcuni motivi per cui parlarne: tra cui Mahmood
Le polemiche su Geolier, numeri dello streaming altissimi e ascolti e share da record: il festival di Sanremo 2024 di Amadeus è un successo sotto molti punti di vista. Almeno nella misura in cui fa parlare di sé. C’è poi la guerra e il messaggio di Ghali “censurato” dall’ad Rai Roberto Sergio per bocca di Mara Venier a Domenica In. Tutti però, si stanno dimenticando qualcosa: nessuno parla più delle canzoni? E pensare che di motivi per parlarne ce ne sarebbero, uno su tutti l'exploit mondiale di Mahmood

di Michele Monina Michele Monina

Tuta Gold di Mahmood, vero e proprio spot subliminale per i vecchi Motorola o Nokia, senza touch screen, una sim via l’altra, questi evidentemente i cinque cellulari contenuti nelle tasche della suddetta, è tra le canzoni più streammate nel mondo. Una notizia. Nel mentre, parliamo di Italia, Geolier ha ovviamente superato in classifica, parziale, la vincitrice Angelina Mango, e visto che l’anno scorso è stato l’artista più ascoltato/più acquistato in Italia, direi che questa invece è un po’ meno una notizia. Sempre nel mentre fa parecchio scalpore una foto del solito Geolier, lui è l’artista in gara alla settantaquattresima edizione del Festival della Canzone Italiana più attenzionato, al momento, non me ne voglia, brigadiere. Fa parecchio scalpore, dicevo, una foto del solito Geolier con un kalashnikov dorato in mano, foto che di solito va di pari passo con alcuni estratti da sue canzoni di qualche tempo fa, il ragazzo ha ventitré anni, il concetto di tempo è sempre relativo, in cui parla di ammazzamenti di scoparti le femmine degli altri, mascalzone. Il sottotesto è che sia un poco di buono, discorso che del resto trova riscontro preventivo nelle accuse di aver ricevuto i voti della Camorra che, magicamente, gli sono piovuti addosso nel giorno delle cover. Se solo la gente che si è eccitata per il video di Beppe Sala, sindaco di Milano, insieme ai Club Dogo di quel Guè che era lì all’Ariston proprio con Geolier, andasse a leggersi i testi della crew in questione, mamma mia, che ne potrebbe venir fuori, signora mia. Non smette anche di far discutere il passaggio all’Ariston, prima in gara e poi da Mara Venier a Domenica In, di Ghali e di Dargen D’Amico, rispettivamente a chiedere di fermare il genocidio, di cessare il fuoco, per poi ribadire che un artista non deve certo cambiare argomenti in base al palco dove si trova e a provare, senza successo, di parlare seriamente di immigrazione. Frase, quella di Ghali sul genocidio, che ha fatto incazzare l’ambasciatore israeliano in Italia, che di suo pugno e per suo conto ha lanciato strali su X, parlando di propaganda all’odio da parte del cantante di Casa mia, su cui è tornato anche, sempre di suo pugno, non dell’azienda, ma con la voce della stessa zia Mara, l’ad di mamma Rai Roberto Sergio, che ha espresso solidarietà al solo popolo israeliano. Cosa che ha scatenato l’inferno, per dirla col panciuto Russel Crowe da Ascoli, un mare di mer*a tipo tsunami a ricoprire la bionda presentatrice. Apprendiamo dal solito Aldo Cazzullo che Mara Venier sono giorni che piange, questo lo ha scritto ieri, martedì, quindi i giorni in cui piange saranno presumibilmente stati domenica sera e lunedì mattina, poi lui l’avrà intervistata (come si diceva sopra il tempo è un concetto aleatorio).

Ghali a Sanremo
Ghali a Sanremo

Mamma Rai che comunque, proviamo a immaginarcela sotto sembianze umane, in questo la figura popputa di Mara Venier potrebbe esserci d’aiuto (chi mai volesse accusarmi di sessismo o body shaming si vada a vedere come gioca con le sue tettone in tv la medesima, please), si sta leccando le dita famelicamente, perché mai come quest’anno il Festival ha portato nelle casse del servizio pubblico così tanti milioni di euro, questo anche per quanti stanno lì a dire che non è giusto pagare col canone John Travolta e il suo “Ballo del Qua Qua” o uno dei tanti cantanti autotunati in gara, ovviamente a partire dal solito Geolier. Il che apre un altro discorso, collaterale, questo: chi caz*o andrà a prendere l’eredità di Amadeus, visti i numeri bulgari dei suoi Sanremo? 75% di ascolti, certo, con numeri assoluti in calo (è la tv, baby), ma numeri relativi altissimi e un gruzzoletto difficile da superare. Decisamente difficile anche da emulare. E quindi si parla di un Amadeus VI, sempre che non passi a Mediaset, come si vocifera, o di un Gerry Scotti I, nel caso appunto ci fosse uno scambio di giganti. O di qualche giovane, De Martino, Delogu, Cattelan: carne fresca da gettare al macello. Poi… sì, ecco, si parla di come Angelina Mango sia stata agevolata dall’essere “figlia di”, e poco importa che suo padre, in vita, fosse assai poco caro al sistema musica, neanche troppo rivalutato da morto, che sua madre, una voce incredibile, la sola in grado di sostituire Antonella Ruggero in capo ai Matia Bazar tra quante ci hanno provato, da tempo non eserciti, e che comunque per il suo pubblico di riferimento Mango è principalmente lei, forse proprio grazie a La Rondine eseguita nella serata delle cover, con cui è riuscita a introdurlo alla sua generazione. Si parla di come Sangiovanni stia perdendo pubblico e followers per un certo suo parlar di donne in certi video, e anche per aver portato Il Rosso sul palco, al piano. Se vi dicessi che so chi sia il Rosso starei mentendo sapendo di mentire, quindi passo oltre.

Gerry Scotti
Gerry Scotti, possibile sostituto di Amadeus a Sanremo

Che altro. Ah, sì, Mara Venier ha subito accuse di sessismo da parte di certe giovani femministe per aver fatto video del culo di Mahmood mentre lui si esibiva a Domenica In, il punto è: cosa sarebbe successo, per dire, se, che so, Carlo Conti avesse fatto un video del culo di Rose Villain mentre cantava? Apriti cielo. E poi ancora, tutti a dire che Mahmood, sempre lui, non è in realtà Mahmood, ma un sosia neanche troppo simile, un po’ come Paul McCartney ai tempi di Abbey Road, anche se qui sembra ci siano dietro i rettiliani. Insomma, Sanremo, a distanza di quattro giorni dalla fine, continua a occupare la scena, anche in quei frangenti di cronaca che mostrano i volti sanguinanti dei manifestanti che erano accorsi sotto la sede Rai di Napoli per protestare proprio per la lettura del messaggio dell’ad Sergio a favore di Israele da parte di Mara Venier (se mai dovessi richiamarla zia Mara, vi imploro, venitemi a cercare a abbiate pietà di me come l’indiano con Jack Nicholson in Qualcuno volò sul nido del cuculo). In tutto questo manca giusto un dettaglio, forse sul fronte sanremese anche irrilevante, ma da un punto di vista antropologico interessante: le canzoni. Sì, a distanza di quattro giorni, nonostante i numeri di streaming pazzeschi e tutto quel che avete già letto, nessuno parla più delle canzoni, molte delle quali, diciamocelo, uscite dal loro ruolo di colonna sonora di un programma televisivo di successo, divenute ectoplasmatiche, fatue, impalpabilmente impercettibili. Non che non ce ne fossero di interessanti, figuriamoci, continuo a ascoltare Rose Villain e la sua Click Boom!, certo invogliato e non poco anche dal video, sarei comunque stato solidale a Carlo Conti, in caso, così come continuo a trovare interessante la canzone vincitrice, La noia di Angelina Mango, e a empatizzare parecchio coi miei quasi coetanei Negramaro, Antonio Diodato e anche Renga e Nek. Ma il resto è parte del sottofondo. Ovvio che questa estate ancora alzeremo le dita dicendo “un ragazzo incontra una ragazza”, ci mancherebbe altro, ma la musica, per dirla con Ornella Vanoni, è finita, gli amici se ne vanno. Noi, per andarcene, aspettiamo che passi la vroom vroom di Rose Villain, sperare è gratis.

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