Diciamolo apertamente, Ghali è uno dei rarissimi artisti italiani che, oggi come oggi, parla di quel che sta accadendo da oltre un anno a Gaza. Anzi, di quel che sta accadendo a Gaza, perché che da quelle parti ci sia in atto ben più che un regolamento di conti post 8 ottobre è evidente a tutti. Ghali parla di genocidio, e almeno chi scrive è d’accordo con lui, ma anche lo si volesse chiamare in altra maniera andrebbe anche bene, il punto è che nessun altro o quasi ne parla, neanche usando parole meno radicali e definitive. Fin qui, quindi, tutto bene. Ne ha parlato sul palco dell’Ariston, durante l’ultimo Festival, lui che aveva presentato una canzone, Casa mia, che in effetti a quei territori faceva chiaramente riferimento, e ha continuato a farlo, la sua foto durante il ramadan è diventata anche per questo virale. Che Paolo Giordano, ma mi direte voi sto sottolineando l’ovvio, dalle colonne de Il Giornale, metta addirittura a rischio la decennale amicizia con il di lui ufficio stampa Dalia Gaberscik pur di andargli contro, ubi major minor cessat, dicevano i latini, inchinato per una volta ai diktat del proprio editore, laddove di solito è compiacente proprio con la discografia e gli uffici stampa, dimostra, fosse necessario, che quel che Ghali sta facendo è necessario, metterci la faccia, appunto.
Solo che a volte sembra che la faccenda gli sfugga di mano, come se preso dall’impeto di metterci la faccia a volte gli sfuggissero dei dettagli. È successo proprio ieri, quando appunto ha parlato del genocidio in Palestina, facendo per una volta dismettere i pulloverini pastello al Paolo Giordano, di colpo divenuto una sorta di Torquemada con flagello e fruste, ma andando poi oltre, cioè dicendo che lui non è stato invitato al concerto tenutosi al Forum qualche giorno fa, concerto per la Pace, a suo dire forse proprio per aver parlato di genocidio a Sanremo. Ora, premesso che i concerti per la Pace, se ne parlava giorni fa, sono spesso compagnie di giro, dove trovano spazio sempre i soliti nomi, seguiti dal solito promoter, non quello di Ghali, fatto che ci avrebbe indotto semmai a pensare che si trattava di scelta di scuderia più che di censura, il management di Ghali stesso si è sentito in dovere di sottolineare come in realtà Friends and Partners, organizzatore dell’evento, lo avesse invitato, ma come l’invito fosse poi stato declinato perché l’artista era nel bel mezzo delle prove del tour. Una gaffe, quindi, o una disattenzione, magari a Ghali l’invito non è mai arrivato, vallo a sapere, che però tradisce un filo di malizia che, in un contesto come quello ci sembra onestamente fuori luogo.
Perché è vero, come ha cantato in Paprika, che in Rai certe cose non si possono dire (lì cantava “Puoi dirmi quello che vuoi/ non farò come la Rai, mai”), il recente e tristissimo caso della parola “fica” censurata nella canzone Bandiera della bravissima Giulia Mei, ospite di Splendida cornice di Geppi Cucciari, e non censurata a Brunori SaS (che però diceva “figa” nella sua La Ghigliottina, nel medesimo contesto) dimostra che oltre che censori sono anche maschilisti, da quelle parti, ma stavolta sembra che non si tratti affatto di censura, ma di quelli che in genere vengono chiamati “impegni pregressi”. Quindi no, nessuno ha censurato a Concerto per la Pace Ghali. Lo hanno invitato nonostante non fosse di Friends and Partners, miracolo, ma è stato lui a non poter andare. E no, parlare di genocidio riguardo quel che Israele sta facendo a Gaza non è un errore frutto di ideologia, come sostiene Paolo Giordano sulle colonne de Il Giornale, ma di sacrosanta verità. Il resto sono chiacchiere da social, dove di questa cosa si discute forse più di quanto si dovrebbe, ancora una volta perdendo di vista il vero punto della situazione, mentre non si parla e si va ai concerti a Gaza sono sotto le bombe, e non solo lì.