Ecco delle idee da sottoporre a Oliver Stone, che a Venezia 79 ha presentato Nuclear, per i suoi prossimi film:
Flatlandia (non il romanzo di Edwin Abbott Abbott) ovvero un biopic di “Mad” Mike Hughes, l’uomo che per provare il terrapiattismo è morto sul razzo artigianale costruito da lui stesso.
Q: Are We Not Men? A: We are incel! Analisi amarissima su una percentuale di uomini celibi che richiedono di avere a disposizione, almeno, una donna a testa per perdere la verginità negli anni bisestili. 360 minuti di film dove Stone intervista esponenti donne – ovviamente - di Onlyfans chiedendo perché non si prestino ad aiutare questi malati immaginari a scaricare i coglioni.
Taiwan! Taiwan! Taiwan! Una serie di interviste a eminenti esperti cinesi di geopolitica che suggeriscono che Taiwan non deve rompere i coglioni e farsi annettere alla Cina, mica come l’Ucraina con la Russia!
I cento cazzi di Milo Yiannopoulos: come la democrazia ha messo a tacere il più grande giornalista della sua generazione e la dittatura del politicamente corretto.
#youtoo: controffensiva alla tossicità del #metoo e l’inutilità degli hashtag nella lotta per i diritti umani.
Io pensavo a questo, in sala, guardando Nuclear, il nuovo documentario portato al Festival del Cinema da un Oliver Stone che non ha più paura di niente. Un po’ lo stimo per questo: tra poco lo vedremo girare in pellicola portato su una lettiga dai nemici ucraini dell’amico Putin.
Il nucleare è buono, il carbone meno, le energie alternative ancora troppo costose (?) e non rendono quanto il nucleare. In quasi due ore di documentario Oliver Stone si serve di divulgatori scientifici (pro-nucleare) sbarcati su TikTok, o membri di Greenpeace (Greenpeace ha perso ogni credibilità dal Jova Beach Party, ma anche prima) che fanno un passo indietro rispetto agli allarmismi nati dopo il doppio bombardamento americano in Giappone, Chernobyl e la recente Fukushima.
Considerate tutte le centrali nucleari in Francia, averne una in Italia non avrebbe comportato chissà quale rischio, almeno vent’anni fa, ma parlarne adesso è inquietante - non allo stesso livello - visto che dopo che Mario Draghi ne aveva parlato in Parlamento si è arrivati pure a potenziare le centrali termoelettriche a carbone: ed è subito seconda rivoluzione industriale.
Vedere Nuclear mi ha trasmesso lo stesso disagio e la stessa falsa percezione di sapere qualcosa - forse ne so ancora meno rispetto a ieri - di quando vidi, per la prima volta, il documentario Zeitgeist di Peter Joseph.
La tesi, debole, su cui si poggia tutto Nuclear, è l’abbaglio collettivo, i coriandoli in faccia che ci hanno lanciato i media dal secondo dopoguerra a oggi: sovrapporre il concetto di energia nucleare a quello di guerra nucleare. Ci sono alcune verità storiche, che manco vengono citate nel documentario: ci sono stati i “figli della bomba” come Jim Carroll che vivevano alla giornata perché la guerra fredda rendeva concreta la fine del mondo, e generazioni di bambini che a scuola si esercitavano a nascondersi sotto i banchi, all’epoca si diceva “Duck and cover”.
È anche vero, però, che al di là dell’emissione di anidride carbonica (su cui punta molto Stone), i problemi di smaltimento delle scorie e incidenti più o meno gravi nella storia contemporanea non possono essere ignorati nel momento in cui bisogna creare una statistica, basata su analisi e dati concreti alla mano. Possibile che nel 2022 con l’energia, solare, mareomotrice, idroelettrica, eolica, sessuale e così via, Nuclear diventi la pro loco delle centrali nucleari? Perché Oliver Stone si è ridotto a essere l’equivalente maschile di Leni Riefenstahl di ogni causa sbagliata del presente? C’è una differenza sostanziale tra l’esposizione di diverse tesi, la spiegazione delle cause che ci hanno portato a un presente tanto distopico, e l’aderire a quelle cause attuando un’operazione di conversione con un documentario che dice tutto e niente. Questo meglio, il nucleare, quanto è buono? È come quando per curare la dipendenza da cocaina si usava l’eroina all’inizio del XX secolo. Strano che tra i grandi divulgatori chiamati dal regista non ci fosse pure Giorgio A. Tsoukalos di Enigmi alieni. Nuclear è un documentario ostico e denso, non tanto a livello informativo, ma perché per la maggior parte del tempo è la voce fuori campo monocorde di Stone a guidarci. Certo, Nuclear sfata dei miti e ricorda di come la propaganda pseudoprogressista, Jane Fonda in primis (non contenta di rompere le palle ai reduci del Vietnam), ci marciasse sull’incidente delle Three Mile Island (1979), così come l’industria cinematografica con film catastrofici (Sindrome cinese, diretto da James Bridge), riportando indietro le lancette dell’orologio senza fornire alternative altrettanto efficienti e meno pericolose del nucleare.
Non bisogna dimenticare, però, che Oliver Stone crea un precedente “pericoloso” in questa epoca di follia, affermando cose come “la paura uccide la mente” che, se ci pensate bene, è la mentalità alla base dei no vax e di chi si cura il cancro con la curcuma credendo all’esistenza dei pleiadiani.
Insomma, Oliver Stone, facendo leva su una controrisposta al complottismo green, o quello che lui crede sia complottismo, filma un documentario che lascia il tempo che trova - a differenza dei disastri nucleari - avvicinandoci, noiosamente, alla mezzanotte dell’orologio dell’Apocalisse e cavalcando, come la generazione social, la piena contraddizione di questi tempi stupidissimi: per combattere il cambiamento climatico dobbiamo tornare al passato.
Pura e semplice tossica retromania.