Le polemiche intellettuali che ci meritiamo? Serena Doe, ottenuta l’archiviazione per le accuse di diffamazione mosse da Carlotta Vagnoli in tribunale, si è voluta vendicare (figurativo, ma non troppo, al giorno d’oggi occorre sempre specificare) con un lungo sfogo su Instagram. Nel mirino di Mazzini il tribunale social di attiviste e attivisti che, approfittando del trend, l'avevano accusata di gestire un gruppo Telegram “violento, omofobo, misogino, dedito al dossieraggio e alla condivisione di materiale intimo”. In prima fila una delle influencer più famose del circolo, Carlotta Vagnoli, che ovviamente ha risposto con una serie di stories su Instagram. Ecco il contenuto, e passate sopra i tempi verbali e la sintassi, che la signora in questione fa la scrittrice, e potrebbe anche essere un esercizio di scrittura creativa. “Ma se Mazzini è così certa che il fatto non sussista, ovvero che lei non ha mai fatto niente del genere in alcun gruppo, che non abbia offerto scuse e soldi a me e gli altri coinvolti per evitare la querela, mi denunci per calunnia. E non per "stalking", denuncia che ha invece proposto contro di me subito dopo le mie storie pubbliche di giugno. Storie che ho fatto per far chiudere quel gruppo di cui avevamo e avevo il più che fondato sospetto che fosse ancora attivo con altro nome ma medesima finalità”.

Quindi si entra nel vivo della trama: “La denuncia per stalking che mi trovo tra capo e collo portata avanti da Mazzini (ovvero una persona che ho bloccato quattro anni fa e con cui non avevo mai parlato finché non mi ha contattata per offrirmi "in dono" i nomi presenti nella chat e chiedermi scusa per le chat di non denunciarla per diffamazione in una telefonata privata) mi ha portata a una perquisizione della mia abitazione e del mio veicolo, un sequestro dei device per mesi,perdita di lavori e via dicendo”. Le controaccuse vengono ribaltate, anche se in maniera abbastanza criptica. Chi sa, sa. “Inutile dire che questa denuncia per stalking sia assolutamente debole, a tratti ridicola, ci sarebbe quindi da indagare sul perché una procura abbia deciso di fare questo baccano sul nulla (e capire anche perché la procura incaricata sia quella di Monza). Per questo Mazzini si è appoggiata a un altro soggetto - molto fragile - che già mi aveva denunciata. Il soggetto in questione aveva denunciato me e altre attiviste per aver chiamato la polizia dopo 2 giorni di appostamenti sotto casa alla ex che aveva deciso di lasciarlo; ex che in quel momento aveva un minore in casa. E per aver applicato in seguito a questo evento il sacrosanto principio di precauzione. Ed eccoci qui, dunque”.

La questione si sposta verso temi universali, come la giustizia. Temi che, vista la natura della polemica, non vengono nemmeno teoreticamente sfiorati di striscio. “Con una denuncia per stalking che ha più potere di altri procedimenti e che ha avuto un notevole peso nella percezione della mia misera denuncia per diffamazione. Sappiamo bene che non c'è certezza di ricevere giustizia in questo paese. E sappiamo anche che la socialità dei gruppi Telegram ha un collante tutto suo: nessuno in quel gruppo mi ha tutelata mentre si diceva di me che ero una succhiacazzi per aver pubblicato con Einaudi”. Poi la contro-contro-accusa: vietato frignare sui social. “Non sono una che si frigna addosso, non farò l'elenco dei miei drammi derivanti da quella che a tutti gli effetti è una persecuzione sulla mia persona (tra gli atti contro di me ci sono dichiarazioni di grossi nomi noti e potenti e dal peso politico non indifferente,soggetti che non ho mai visto in vita mia e con cui non ho mai interloquito. Vengono anche citate e colpevolizzate tante figure dell'attivismo femminista, in quelle carte)”. Quindi, un consiglio pratico: “Invito invece Mazzini a denunciarmi dunque per calunnia, per verificare se effettivamente il reato sussistesse oppure no. E soprattutto invito i partecipanti di quel gruppo a farsi un esame di coscienza, che siamo tutti bravi a criticare i vari Phica.net ma poi nella pratica siamo omertosi e pavidi come quella gente lì. Perché nessuno,ripeto, nessuno per mesi si è chiesto se quella roba fosse sana”.
E l'arringa si chiude, dopo aver citato l'argomento in trend del momento, il forum Phica: “Per finire: se il problema di Mazzini è con me, lasciamo fuori dai caroselli persone fragili, infilate in quel post solo per giocare al vecchio adagio fascista del "molti nemici, molto onore". In chiusura, dopo questo appello al fascismo da manuale, l’appendice. “Altra cosa: per chi mi sta chiedendo con violenza e insistenza di chiedere scusa a Mazzini per un torto che ho subito io, direi di fare attenzione. Perché io rimango persona offesa, sono le prove che non sono sufficienti. Andreste mai a chiedere a una delle migliaia di donne che si vedono archiviate denunce relative a violenza digitale per mancanza di prove di chiedere scusa a chi ha fatto loro torto?”.

“E ancora e di più: gravissime accuse sono provenute da Giuseppe Flavio Pagano (@dejalanuit) che sosteneva che io avessi fatto attività di "dossieraggio". Ha creato 3 video in modalità stories "perché bisogna metterci la faccia" e ha narrato ai propri follower, con tono compiaciuto, la seguente storia, dove spiegava che Serena Doe aveva “creato una poderosa macchina di diffamazione e di violazione dei dati personali”. Peccato che dall'altra parte ci sia sempre una persona, in questo caso Serena Mazzini, che a quel punto si sente in trappola: “Il respiro si accorciava, il petto si chiudeva come se qualcuno mi schiacciasse con una mano invisibile. Cercavo aria ma non bastava, le parole sullo schermo diventavano più veloci delle mie difese. Il cuore correva all'impazzata, la testa girava, la vista diventava annebbiata. Era come se lo sciame mi avesse avvolta da dentro mentre mi chiedevo: chi ha deciso di farmi questo? Mentre provavo a tranquillizzare i membri del gruppo presi di mira dalle minacce di Vagnoli, io stessa stavo cedendo al panico. Perché tranquillizzare il gruppo? Non certo per paura che qualcosa di quanto affermato "emergesse" ma perché tra quei 70 partecipanti c'erano persone che avevano condiviso storie dolorose, di violenza domestica, di soprusi lavorativi. Avevano condiviso aspetti intimi delle loro vite, per un confronto, un conforto e temevano che i loro nomi, come minacciato, venissero fuori uno a uno”. Però la giustizia, anche se ha tempi lunghi, prima o poi arriva, se è il caso. “Carlotta Vagnoli mi ha denunciata. Solo lei. Di tutto il gruppo, solo lei ha scelto di farlo. leri la Sua querela è stata definitivamente archiviata perchè non vi è mai stata alcuna diffamazione.
Peraltro ho potuto apprendere che: non è vero che ha denunciato il 3 giugno. Ha denunciato solo il 2 settembre, l'ultimo giorno utile dei novanta previsti dalla legge, solo dopo che l’ho presentato una denuncia-querela perché io sì che sono vittima di diffamazione, quella portata avanti da tutti questi soggetti che si sono messi insieme per costruire una storia inventata senza nessuna prova creandomi un dolore indescrivibile. Non è vero che aveva screenshot e "tutto il materiale del caso per procedere" come ha affermato con sicumera ai suoi follower il 3 giugno 2024. Non c'era niente di niente: solo testimonianze definite dalla Procura della Repubblica lacunose e fumose, un telefono senza fili,appunto. Non è vero che mi ha denunciata in quanto "incel omofoba a capo di un gruppo simile alla Bibbia dello stupro". Mi ha denunciata per diffamazione perché avrei osato criticare il suo operato e alcune delle loro iniziative. Praticamente è giusto esporsi ma non è giusto criticare l'altrui operato. Peccato che è un anno che ricevo da qualcuno di loro attacchi pressochè quotidiani addirittura con tag al mio profilo. Non hanno agito per attivismo. Hanno agito, in gruppo, per distruggere "i nemici".
La conclusione è facile da trarre, soprattutto per chi, come la Doe, di lavoro analizza il funzionamento dei social network. “E la colpa, in parte, è anche di chi li ha legittimati. O meglio: non è nemmeno colpa vostra, ma della piattaforma, che premia chi sa polarizzare e ci spinge a sentirci in difetto se non supportiamo certe "cause". Dentro questo meccanismo hanno costruito una posizione dominante, che non è servita a liberare, ma a colpire e distruggere. Costruire un'identità pubblica indignata, radicale,"militante"serve a guadagnare attenzione, follower, credibilità. È la moneta con cui si scambia poi visibilità con case editrici, festival, media tradizionali. L'indignazione quotidiana che diventa marketing. La sorellanza e il transfemminismo vengono agitati come bandiere,ma servono soprattutto a consolidare un brand personale, a vendere libri, a conquistare spazi televisivi e scolastici. Sapete quante persone fragili del famoso "gruppo" sono finite in ospedale? Un ragazzo giovane e promettente, che ha dedicato tutta la sua vita allo studio, ha perso la possibilità di vincere un dottorato perché la depressione lo ha bloccato a letto per mesi. La paura che il suo nome venisse fuori, come il mio,con accuse senza senso come quelle a me mosse. Da anni portano avanti un giustizialismo spietato,che chiede le teste di chiunque. Così la forza dei movimenti politici si disperde, e resta solo la. violenza del branco. lo, invece, oggi sono qui a chiedere giustizia nell'unico luogo possibile ovvero il Tribunale”.
