C'è una forza straordinaria nella disperazione. E Stefano Massini ce lo ha spiegato benissimo. A Milano c'è stata la prima dello spettacolo “Mein Kampf”, da Adolf Hitler, al teatro Strehler. Nel quale, con un monologo della durata di 85 minuti ininterrotti, ci catapulta nella Germania di inizio Novecento, con un Hitler giovane, pieno di incertezze, paure e povertà. Il suo nome non viene mai citato per tutto lo spettacolo, ma la sua voce ti pervade al punto da riuscire a comprendere la potenza e il soggiogamento dei tedeschi, e pur non avendolo mai nominato il suo nome rimbomba ovunque. Massini ci pone tanti interrogativi, interrogativi che lo stesso Adolf si era posto, e ci mette di fronte alle sue riflessioni, che rispondo al quesito che da sempre tutti si fanno: si nasce cattivi o ci si diventa? L'animo umano è complesso e questo monologo lo esamina a fondo, esamina come la disperazione e il dolore riduce le persone, portandoti a chiedere se sia solo pura follia e malvagità o se ci sia di più sotto. Ci pone davanti a uno dei dilemmi più vecchi della storia, che ancora adesso rimane attuale, l'ossimoro della vita e della guerra, che convivono da sempre, come se non ci fosse l'uno senza l'altro. E quindi la guerra può essere vita? La risposta è ovviamente no. Per Hitler, però, sicuramente la guerra è selezione, e voce di una rabbia che per anni è stata repressa. Mentre camminava per le vie di Vienna e faceva la fame sfornando solo qualche dipinto, se la pioggia permetteva, mentre si indignava leggendo sulle pagine di un quotidiano che l'imperatore tedesco si fosse arreso e che la Germania fosse diventata una repubblica, mentre si torturava con il pensiero di non poter pagare una stufa e non poter programmare il domani per la troppa povertà e si struggeva al pensiero che qualcosa a lui e a tutti gli altri umili lavoratori, che faticavano a arrivare alla fine del mese, li facesse camminare con la testa bassa, oscurati dalla nebbia.
Lì, dopo anni di disperazione e miseria, inizia il delirio, che porta un uomo come tanti, a diventare il più grande dittatore della storia. Cercando un colpevole, qualcuno a cui additare le sorti di un sistema economico che piegava i più deboli, le caste più basse, i lavoratori più umili, gli operai, gli impiegati e tra di loro, anche Hitler. L'analisi di Massini è quindi una visione non convenzionale delle parole di Hitler, che ci mostrano quello che spesso abbiamo evitato di guardare, cosa quelle parole le avevano scaturite. L'abbandono dello Stato, l'abbandono a sé stessi, un bisogno di una voce, per tutti quelli che un futuro non lo vedevano. Peccato che la voce fosse quella di uno sterminatore, che ha portato all'atto più estremo di tutti, il genocidio. Ma Massini non si focalizza su quello, tant'è che lo spettacolo si ferma al 1919, ai primi comizi di Hitler, ai primi applausi ricevuti, forse proprio per quello fa così paura, perché sappiamo come va a finire. Usciti dalla sala vi sentirete male, perché per una volta capirete cosa ha spinto quelle persone a seguire le idee di un folle: la disperazione. E capirete che il motivo rimane solo uno, i soldi, il lavoro, la difficoltà a costruirsi un futuro. Problemi che ancora oggi attanagliano noi, il nostro paese e i paesi intorno a noi. Ecco perché quindi le parole di Massini ci spaventano così tanto, ecco perché vorremmo non vederle, perché abbiamo paura si possano ripresentare, delle loro conseguenze, del loro impatto e della loro potenza. Questo spettacolo è quindi un capolavoro, perché mostra in un'analisi critica e sottile i problemi di una società che troviamo ancora adesso, e le conseguenze della malvagità umana, portandoci quasi a capire, a non giustificare, ma a comprendere, la disperazione di una Germania a terra che aveva bisogno di un leader. E un leader purtroppo gli si è presentato.
Stefano Massini quindi risponde a tante domande, cosa abbia spinto la gente a seguirlo, cosa abbia portato lui a scrivere quelle parole e a metterle in atto e cosa spinge l'uomo alla disperazione e alla guerra. Mein Kampf è uno spettacolo d'impatto, con uno scenario non poi così distante da noi, ma allo stesso tempo ci porta in un ambiente surreale, distante anni e anni dai giorni d'oggi, tutto con la sola potenza di Massini stesso sul palco, i suoni, le luci e pochi oggetti di scena che comparivano al momento giusto dall'alto. Il nazismo spaventa, non tanto per i morti che ha già causato, ma per quelli che può ancora causare ed è per questo che ho trovato questo monologo necessario e potente al punto giusto da empatizzare e disprezzare ciò che vedi, da capire e condannare allo stesso tempo, ma soprattutto da guardare e conoscere, perché solo conoscendo a fondo puoi combatterlo. Ecco che quindi concludo citando l'inizio stesso dello spettacolo, le pagine bianche che si sono tinte di parole, come quelle del Mein Kampf, che tutti abbiamo sentito, ma che nessuno conosce davvero, anche per paura, ma è proprio questo il senso dell'esibizione e interpretazione di Massini, il mostrarci cosa c'è sotto al tappeto, per poterlo inserire nel contesto storico. Penso quindi che oggi, 2024, cento anni dopo i giorni descritti, ancora non abbiamo capito nulla se proprio nel mediterraneo, durante un genocidio, noi ancora pensiamo che la guerra sia selezione e sopravvivenza del più forte e non vediamo che è frutto di una disperazione che noi non dovremmo far sfociare in malvagità. Se ancora non vediamo a quanto l'uomo tutt'ora cerca un nemico da sconfiggere per problemi più grossi di lui, proprio come il nazismo, che cercava un nemico a cui additare tutta la colpa. Non c’è altro da aggiungere, perché Massini in quegli 85 minuti dice già tutto, non resta che consigliarvi di andarlo a vedere, perché ne uscirete sicuramente più ricchi.