L’ex ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano sapeva che a dirigere i teatri italiani sono in gran parte gli uomini? Immaginiamo che non si sia mai posto la domanda. Ma lo scorso giugno, e di certo lo saprà anche Alessandro Giuli (che si è già espresso in favore delle quote rosa), le associazioni Amleta e Unita hanno presentato all’Osservatorio per la parità di genere del ministero della Cultura, alla presidente Manuela Maccaroni, i dati raccolti nella loro mappatura. Lo scenario che emerge, numeri alla mano, non lascia adito a dubbi: la direzione dei teatri italiani è rimasta saldamente affidata agli uomini. “Presiedono le commissioni dei bandi e dei concorsi e si nominano a vicenda”, rivela Cinzia Spanò, attrice, drammaturga e fondatrice dell’associazione Amleta. “È il gioco della sedia vuota. Sembra che ci sia spazio per donne ma in realtà sono sempre le stesse persone, ‘uomini di esperienza’ che si scambiano di posto l’uno con l’altro”, specifica. E le donne? “Registe, autrici e dirigenti non trovano spazio. Non hanno voce in capitolo. E questo è ancora più grave considerando che il pubblico teatrale italiano è prevalentemente femminile”. Spanò sta portando in tournée con successo lo spettacolo Tutto quello che volevo, monologo che ricostruisce il lavoro della giudice Paola Di Nicola e della sua coraggiosa sentenza sul caso di prostituzione minorile dei Parioli di Roma: non soldi ma acquisto di libri come risarcimento economico del danno subito. Ha cofondato Amleta nel 2020. Un’associazione che contrasta la disparità e la violenza di genere nel mondo dello spettacolo, di cui fanno parte diverse attrici distribuite sul territorio nazionale. Un collettivo femminista che punta i riflettori sulla (non) presenza della donna nella drammaturgia classica e contemporanea. Ma è anche un osservatorio vigile e costante per combattere violenza e molestie nei luoghi di lavoro.
Cinzia Spanò, con Amleta avete realizzato una mappatura sulla mancanza di rappresentanza femminile nel mondo dello spettacolo.
Abbiamo raccolto, con l’Università di Brescia, i dati nazionali che testimoniano la presenza/assenza delle donne sui nostri palcoscenici. L’associazione Unita, con le sue ricerche, ha evidenziato invece come le attrici dopo i 45 anni scompaiano dagli schermi.
Perché le attrici over 45 scompaiono dal mondo dello spettacolo?
Le donne, dopo quell’età, non sono più interessanti per gli uomini che scrivono sceneggiature e dirigono film. Questo avviene secondo la logica dello sguardo maschile per cui una donna esiste solo se appetibile sessualmente o se riveste i ruoli che le società sessista le assegna: corpo materno, corpo erotico. Le attrici ricompaiono solo da anziane per fare le nonne, un altro ruolo caro al sistema patriarcale.
Lo disse anche Isabella Rossellini: dai 50 ai 60 il nulla. Poi, tante proposte di ruoli da vegliarda.
Rossellini ha ragione. Ma per cambiare questo sistema servono azioni concrete e culturali. Non solo abbiamo presentato i dati della nostra mappatura nazionale al ministero della Cultura, ma abbiamo anche fatto partire una campagna di mobilitazione permanente sui social, che andrà avanti fino a quando non otterremo un maggiore equilibrio. S’intitola “50-50”.
Come funziona?
Prendete un foglio, scriveteci sopra 50/50, scattatevi una foto nei luoghi dello spettacolo, dentro i teatri, in platea, sul palco, sui set cinematografici, davanti alla facciata di un teatro o al cartellone di presentazione della stagione teatrale. E postatevi su Instagram. L’idea in realtà non è completamente nostra.
A cosa vi siete ispirate?
A una campagna della Bbc, emittente che si è impegnata a non realizzare panel su questioni generaliste, dalla politica all’economia alla cultura, senza la presenza di pari quota fra donne e uomini. Noi siamo la metà del mondo ma scompariamo quando c’è da prendere parola. Pensiamo al panel sul tema dell’aborto nella trasmissione tv di Bruno Vespa che ha scatenato polemiche: erano tutti maschi a parlare.
Cifre e dati alla mano: cosa emerge dalla vostra mappatura?
La nostra mappatura prende in esame i palcoscenici teatrali italiani di prosa che ricevono i maggiori finanziamenti (teatri nazionali, Piccolo Teatro di Milano, Tric - Teatri di rilevante interesse culturale) per vedere quale sia la presenza femminile di attrici, registe e drammaturghe rispetto agli uomini. Le ultime ricerche riguardano il periodo dal 2020 a oggi.
Qual è la percentuale delle donne impegnate professionalmente nei teatri?
Soltanto il 35 per cento fra tutte le figure artistiche: registe, drammaturghe e interpreti. Questo significa che il 70 per cento è ancora in mano agli uomini.
Cosa comporta questa bassa percentuale di donne?
Per quanto riguarda regie e drammaturgie, comporta un punto di vista sulle narrazioni prevalentemente maschile. Le quote rosa nel teatro non sono solo una questione di numeri: indicano la scarsa presenza di una pratica che incide sull’immaginario del pubblico, per altro in prevalenza femminile. Faccio un esempio: trattare Shakespeare con occhi femminili è diverso. Scegliere quali personaggi valorizzare in un testo dipende dalla propria cultura.
Perché c’è questa disparità?
Per ragioni storiche. Il teatro italiano è basato su testi di repertorio scritti da uomini per uomini. Come Eschilo, Sofocle, Shakespeare, Molière, Goldoni, Pirandello e tanti altri. Se gran parte dei registi sono uomini sui grandi palcoscenici, se nelle posizioni dirigenziali si privilegiano registi maschi per una questione di pratica culturale, continueranno a passare al pubblico letture che rischiano di essere stereotipate.
Cosa avete proposto nell’incontro al ministero della Cultura?
Creare una consapevolezza di questa sproporzione per noi è già molto. La cultura non è avulsa da meccanismi di potere. Significa sensibilizzare sulla necessità di dare spazio a un maggior numero di drammaturghe e registe. La sproporzione dal punto di vista artistico è grave: stiamo parlando di fondi pubblici per l’offerta culturale.
Come si scardinano questi meccanismi?
In alcuni bandi che danno accesso alle direzioni artistiche ci sono norme discriminatorie. Come, per esempio, porre fra i requisiti l’avere diretto un teatro nazionale per cinque anni. Bisognerebbe evitare requisiti escludenti. Sono così poche oggi le donne direttrici: se qualcuna è arrivata a una direzione andrebbe agevolata.
Amleta è anche un osservatorio sulle molestie nel teatro.
È stata il vaso di Pandora sul mondo del teatro. Alla nostra mail (osservatorio.amleta@gmail.com) arrivano di continuo segnalazioni. Mettiamo in contatto queste donne con l’associazione Differenza Donna che gestisce anche il numero (1522) antiviolenza nazionale dal 2020.
Sono arrivate tante segnalazioni?
Dai nostri social e via mail nei primi due anni di campagna abbiamo ricevuto 221 segnalazioni. Anche riguardanti casi lontani nel tempo. Quando si lavora con il corpo può diventare difficile distinguere fra creatività e abuso. Capire cosa sia goliardia e cosa sia molestia non sempre è facile. Perciò insistiamo sul punto della consapevolezza come elemento culturale. Judit Shakespeare, la sorella del Bardo immaginata da Virginia Woolf in “Una stanza tutta per sé”, non aveva gli strumenti del fratello per esprimere la sua creatività. Ci sono secoli di discriminazione dietro di noi. Aggiungo volentieri uno stralcio dal libro di Virginia Woolf: “Bussò alla porta degli attori: voleva recitare, disse. Gli uomini le risero in faccia. L’amministratore – un uomo grasso, dalle labbra spesse – proruppe in una gran risata. Disse qualcosa sui cani ballerini e sulle donne che volevano recitare: nessuna donna, disse, poteva essere attrice. Accennò invece… potete immaginarlo. Nessuno le avrebbe insegnato a recitare. D’altronde non poteva mangiare nelle taverne, né girare per le strade a mezzanotte”.