Il Ciccio Bomba dei Take That. Così, ormai una vita fa, Elio e le Storie Tese chiamava Gary Barlow in una canzone dal titolo T.V.U.M.D.B, dove si sente anche la voce di Giorgia. Faceva chiaro riferimento a una linea non esattamente impeccabile da parte di colui che, di fatto, aveva scritto tutte le canzoni della boy band che avrebbe poi lanciato nell’Empireo del pop Robbie Williams. Del resto, sempre Elio, avrebbe anche scritto versi quali “c’è una lobby di ricchio*i che ha deciso che, l’anno scorso andava il rosso e quest’anno il bleu”, oltre che tutta una serie di altre ironiche trovate che affondano le radici nel politicamente scorretto. Oggi non potrebbero farlo. Verrebbero letteralmente crocifissi al muro, rei di aver discriminato una minoranza già discriminata di suo. Qualcuno si alzerebbe, il ditino rivolto al cielo, spiegando anche che la satira per essere tale deve colpire chi ha potere, non chi è discriminato, e hai voglia a spiegargli che in questi casi è un comune sentire, spesso sottaciuto, a essere oggetto di ironia, non certo la minoranza in questione. Comunque, di ciccio*i non si parla più nelle canzoni. E neanche di ricchio*i. A meno che a farlo non siano loro stessi. Spesso per lamentare di quando erano bullizzati per questo loro essere parte di una minoranza discriminata. Un modo per rovesciare una narrazione, sembrerebbe. Oltre che per sottolineare un evidente stortura. Dico questo perché si è tornato a parlare di ciccio*i e ricchio*i proprio recentemente, quando Tiziano Ferro ha ripreso l’articolo della nostra Grazia Sambruna, che in qualche modo imputava a Mara Maionchi e Alberto Salerno l’aver “costretto” Tiziano, un Tiziano giovanissimo, obeso e omosessuale, a dimagrire e tenere il proprio orientamento per sé. Una costrizione, questa la tesi di Sambruna, poi ripresa appunto dal non più obeso ma ovviamente ancora gay Tiziano Ferro, che gli avrebbe sì agevolato una veloce ascesa al successo, complice ovviamente il suo talento e anche il lavoro di Maionchi-Salerno ai suoi primi album, ma al tempo stesso regalato una vita zeppa di infelicità. Ecco, ragioniamoci sopra. O meglio, partiamo da lì per ragionarci sopra. Tiziano Ferro, è storia, da che ha fatto un duplice coming out, prima riguardo il suo essere stato obeso, 111, suo secondo album, aveva per titolo il suo peso giovanile, intorno ai trent’anni sarebbe poi arrivata la sua autobiografia anticipata dalla famosa intervista a Vanity Fair nella quale il nostro avrebbe finalmente detto come stavano le cose, ha infiocinato tutta una serie di traumi, problemi, dolori che avrebbero/hanno caratterizzato la sua vita di uomo e di artista. Tutti, lo si è detto più volte, spiattellate urbi et orbi con una precisione millimetrica, a ogni uscita di rilievo sul mercato, si tratti di dire che è stato alcolista, bullizzato, che gli è morto il cane, che aveva desiderio di paternità o, recentemente, che non poteva lasciare gli Usa a causa del divorzio dal marito, il matrimonio col quale, così come la paternità arrivata, a loro volta annunciate sempre a ridosso di uscite discografiche o editoriali importanti. Star quindi qui a dire che abbia usato la propria ex obesità e la propria omosessualità per farne parte portante della propria poetica in maniera paracula risulterebbe sbagliato, non tanto in eccesso, figuriamo, semmai in difetto, perché ha sfruttato tutto quel che gli è successo o che ha percepito gli sia successo per marketing, anche se gli fosse capitato di pestare una merda di cane, vivo, una volta sceso in strada probabilmente ci avrebbe fatto su un video piagnucoloso, raccontando di come la cosa gli ha causato chissà che effetto devastante.
Ci sono però altri artisti e altre artiste che hanno fatto del loro appartenere a una minoranza discriminata parte della propria comunicazione. Intendiamoci, tanto per fugare accuse di chissà cosa e soprattutto per non passare per un becero coglionazzo che non capisce come riconoscersi in un artista che abbia vissuto le proprie medesime condizioni di discriminazione possa aiutare giovani e giovanissimi a superare i propri reali traumi, che il coming out di tanti artisti, più o meno volontario, sia servito da una parte a rendere l’omosessualità un po’ meno ostica di digerire a chi fatica a far propria l’idea che quel che concerne l’area della sessualità, per citare un noto podcast di Diego Passoni, rientra nella categoria inalienabile dei Cazzi propri, dall’altra a far intuire come diversi, a guardarci bene, lo siamo tutti, chi per un motivo chi per un altro, quindi forse sarebbe bene abbattere steccati e paletti, lasciando che ognuno viva la propria esistenza per quel che è o vuole essere. Resta però che se da un punto di vista meramente sociologico la cosa ha indubbiamente avuto e tuttora tristemente ha una rilevanza non indifferente, farne la sola materia della propria poetica rischia, spesso se non sempre, di rendere la propria arte, quella di cui detta poetica è intrisa, qualcosa di più vicino a un volantino di un telefono amico che a una canzone, un’opera o quel che è. Per intendersi, pur apprezzando l’ironia e l’autoironia, siamo sicuri che Lizzo, parliamo ancora di peso, sarebbe Lizzo anche se non fosse la simpaticissima mattacchiona che mostra costantemente il culo oversize sui social, stando poi a piangere ogni tot per i becerissimi messaggi di insulti che hater senza troppo cervello gli rivolgono? Lasciamo perdere la faccenda del veicolare un discorso di rapporto con una vita sana che lascia il tempo che trova, Lizzo non è una dietologa, lo dico io che a mia volta sono indubbiamente sovrappeso, pur lesinando foto del mio culo sui social, parlo proprio di marketing. A me sembra, e dico sembra per lasciare sul tavolo da gioco la vaga parvenza che io non ne sia ferreamente sicuro, ma ne sono ferreamente sicuro, che Lizzo sia la popstar che conosciamo quasi più per quello che per le hit che ha indubbiamente sfornato, il che, per intendersi, non va letto come un j’accuse, non vedo perché l’obesità le dovrebbe andare solo in culo, vedi gli haters, e non a favore. Solo che il discorso, allora, andrebbe letto nel complesso.
Come dire, haters, siete dei coglioni, senza se e senza ma, perché il body shaming è una pratica da coglioni, appunto, come l’omofobia. E qui la prima parte del discorso si chiude, senza ma o aperture a altro. Certo. Lizzo sei un po’ una paracula, è però frase che in un discorso del genere ci può stare. Se poi vogliamo far passare la paraculaggine come sorta di risarcimento per le offese ricevute, per la vita traumatica vissuta prima del successo, figuriamoci, il successo degli altri non può che rendermi felice per loro, nella speranza che tale paraculaggine serva da esempio, di riscatto, anche, per chi nel mentre sta vivendo le medesime situazioni. Discorso, sia mai che qualcuno pensasse che parlo di Lizzo perché tanto Lizzo non mi può leggere, e in precedenza ho parlato di Tiziano Ferro perché io e lui abbiamo un qualche contenzioso aperto, discorso che può valere anche per BigMama, decisamente molto autoironica e anche molto figa nell’indossare il corpo che ha, meno figa e autoironica quando ogni tanto si lascia andare alla lamentazione, come nel caso del lancio del suo disco, per dire. Uno potrebbe anche arrivare qui e dirmi che parlo facile, perché non sono obeso, parliamone, e omosessuale, su questo credo di poter essere più radicale, ma sono pur sempre un uomo di mezza età ancora con l’acne giovanile, dopo uno dice che noi quasi boomers vogliamo sempre far finta di essere ragazzi, con una dentatura che Shawn McGowan quasi mi avrebbe invidiato, fosse ancora vivo, e comunque non esattamente in perfetta linea con gli standar dettati dalla moda, così in voga nella città nella quale vivo, quindi, dai, fate i bravi, non rompete troppo il cazzo. Detto questo, evviva chi contribuisce anche con i propri pianti fronte camera a aiutare qualche giovane a prendersi cura di sé, ci mancherebbe altro, lasciatemi però il diritto di sottolineare quando certe uscite rientrano anche nel novero del marketing senza venire a accusarmi di insensibilità.