Il Mi Ami è la prova che il meme con le due case, una nera e l’altra rosa a Los Angeles, può davvero rappresentarci come esseri umani fruitori di musica. Nei tre giorni di festival, arrivato alla sua diciannovesima edizione e organizzato non più al Circolo Magnolia ma all’Idroscalo, gli artisti in line up sono così diversissimi, appartenenti a così tanti generi musicali che a volte a trovare un punto di contatto si fa fatica. Chissà cosa avrà pensato Carlo Pastore, direttore artistico di Mi Ami, quando ha inserito in line up quasi tutti i generi conosciuti dall’uomo. Il festival, ormai giovane-adulto, è ormai una tradizione, un evento a cui non si può mancare, spesso spinti anche da una leggerissima fomo. Sono due giorni (tre, se si conta la data inaugurale del 22 maggio) in cui pensi di sapere più o meno cosa aspettarti, ma rimarrai sempre sorpreso. Quest’anno l’effetto sorpresa è dato sicuramente anche dalla location: più grande e, soprattutto, con meno fango. Una gioia per tutti coloro a cui non piace camminare, visto che per arrivare dall’ingresso al palco lago, il più lontano, ci sono diversi minuti di strada. Certo, nessuno (più o meno) si lamenta di fare un po’ di attività fisica.
Io mi lamento solo perché, arrivata all’ultimo giorno, vengo rispedita alla cassa, dopo una bella camminata, perché il mio braccialetto non ha un inutile bollino bianco (che, ancora oggi, non ho ben capito a cosa sia servito). Mi dicono “eh arrivano comunicazioni diverse” e io sorrido, mi scuso, e dentro di me penso che sia inutile incazzarsi, che vogliono godermi i concerti, che la musica è cosa più importante. Poi però faccio venti minuti (abbondanti) di fila per andare in bagno. Anche qui vorrei incazzarmi, ma me la faccio passare. Sono anche curiosa di capire se la targa contro Morgan, che ha iniziato a girare sui social, sia effettivamente presente o no. Nel bagno al chiuso che ho il piacere di utilizzare (perché i bagni chimici sono presi d’assalto, e i nuovi Lapee, una specie di castello di Barbie rosa shocking, non fanno per me) la targa non è presente. La targa è stata rimossa, ma non è stata un’opera del Mi Ami. Anche perché, diciamocelo, per un evento che da sempre promuovere il rispetto e l’inclusione non sarebbe stato il massimo prendere parte a questa iniziativa, di cattivo gusto qualsiasi opinione si abbia sulla questione Morgan.
Dopo questa lunga digressione veniamo alla cosa più importante, o almeno quella che penso lo debba essere davvero: la musica. Le sovrapposizioni, anche quest’anno, non sono perfette. Ma d’altra parte anche qui perché incazzarsi? Se esistesse un festival dove tutti gli artisti che vogliamo ascoltare non si sovrappongono probabilmente vivremmo in un universo parallelo in cui chi sale sul palco non deve rimarcare quanto sia importante andare a votare per il referendum dell’8 e 9 giugno. Tornando a quanto detto all’inizio, Mi Ami è in grado di accontentare praticamente tutti, anche se stonano un po’ alcune scelte (come quella di Noyz Narcos, per citarne una) e il palco Champion, il principale, ha diversi problemi con i volumi, tra voci troppo basse e strumenti troppo alti, che lasciano un po’ a desiderare. Nel complesso, però, Mi Ami Festival anche quest’anno è riuscito a “farsi perdonare tutto” o quasi, come recita il claim di questa edizione. Tra gli artisti che ci hanno convinto ci sono i veterani Fast Animals and Slow Kids, alla loro quarta partecipazione, Sayf, che ha riempito quasi più di alcuni headliner il palco lago, gli Studio Murena che hanno suonato in contemporanea con Okgiorgio (gran peccato, sarebbe stato bello riuscire a vedere entrambi) e i Fuckyourclique, il trio meno politicamente corretto della musica italiana, che tra bestemmie e insulti gratuiti hanno comunque retto bene il palco. E ancora gli unexpected di questa edizione: Sangiovanni, tornato a esibirsi dopo tre anni, e Shablo, che ha portato sul palco Mimì, Joshua e Tormento (sì, Guè non era presente) e a sorpresa anche Rkomi. Deludenti, invece, i Bnkr44, forse con una scaletta un po’ sottotono rispetto alle vibes del festival di quest’anno.
Menzione d’onore, ma non per la musica, alla ruota panoramica gentilmente donata da Champion. “Non è la ruota del Coachella, come si potrebbe pensare, ma è quella del parco di Novegro” ci ha spiegato Carlo Pastore durante il tour guidato (sotto il diluvio universale) poco prima della data zero del festival, dove ci ha anche invitato ad assaggiare il vino in lattina. Una scelta coraggiosa e qualcuno lo ha anche provato. Buono? Sospendiamo il giudizio per non essere eccessivamente cattivi. A questa diciannovesima edizione del Mi Ami Festival non sarà perdonato tutto, come recita il claim, ma le basi sono buone e si può fare meglio l’anno prossimo. Magari senza vino in lattina.

