La moda cambia a seconda di come cambia il mondo. È un processo naturale, che fa parte dell’essenza del fashion (ma anche dell’arte): se fosse indifferente rispetto a ciò che accade, come potrebbe comunicare qualcosa? Certe posizioni e conquiste, però, dovrebbero rimanere uguali e non dipendere dagli umori della contemporaneità: i diritti, per esempio. Su questo ha scritto un post Antonio Mancinelli: “Fa impressione (in positivo) guardare la processione di brand e aziende varie - da UniCredit ad Absolut, da Sky a Penny Market - che sostengono sia a livello economico, sia come cassa di risonanza - il Pride Month a Milano”. Un folto schieramento, quindi, a favore del mese in cui la comunità Lgbtqia+ è davvero protagonista. Eppure c’è un problema: “Ma a me stupisce il rapporto molto on/off del fashion system con la comunità Lgbtqia+. Per esempio, nel 2021 Balenciaga aveva prodotto felpe costose con la stampa ‘Gay’: quest’anno, nulla. Ma è solo un caso in mezzo a tanti altri. Il fatto che iniziative giuste e sensate siano abbandonate l’anno dopo, non è un alimentare il sistema moda che per il resto del tempo ignora la comunità?”. Questo atteggiamento scostante, sembra suggerire Mancinelli, è dovuto a necessità commerciali, in cui l’attivismo c’entra poco: “La lotta sta diventando una questione di marketing e ‘queer’ è ormai un’etichetta da posizionare su tutto perché fa cool?”, si chiede ancora l’esperto di moda.
Tiene il punto Mancinelli: “Credo che un Pride dominato da logiche commerciali e da un’ipocrita appropriazione culturale significa, in qualche modo, legittimare quelle stesse strutture di potere che quotidianamente opprimono non solo gay, trans, lesbiche, ma tutti i gruppi marginalizzati”. Se da una parte, quindi, la moda che parla del Pride può avere un effetto positivo (in termini di visibilità), dall’altra subordina comunque l’attivismo al marketing, riproponendo i medesimi meccanismi di oppressione che lavorano quotidianamente. In chiusura, poi, Mancinelli parla di coloro che devono prendere parte alla lotta: “La battaglia deve essere per un cambiamento radicale della società, una rivoluzione che metta al centro la dignità umana e i diritti civili per tutti. E non solo per chi può permettersi di sfilare sotto gli stendardi di multinazionali che non rappresentano i veri interessi di chi viene ingiustamente punito per il proprio orientamento sessuale”. Nessuno deve essere escluso, dunque, tantomeno per condizioni materiali: “La mia visione di un Pride veramente inclusivo è un momento dove tutti, indipendentemente dalle loro affiliazioni politiche o dal loro status economico, possano partecipare e far sentire la propria voce. E non dover per forza comprare l’ennesimo gadget multicolore”.