Cara Chiara, tu mi hai pure querelato e quindi potresti pensare che ce l'ho con te, ma in realtà non è così, in realtà la questione è ben più seria di una piccola faccenda personale e cioè che da che mondo e mondo a me hanno insegnato che i giornalisti sono i cani da guardia del potere e ormai, ça va sans dire, il potere lo rappresenti tu: perché hai milioni di follower e sei l'unica influencer capace di convertire davvero le vendite dei brand che pubblicizzi, perché in tv e nella musica comandi tu insieme a tuo marito (lui detta i giudici a X Factor, tu monopolizzerai Sanremo), perché adesso dove uno si gira si gira inciampa sulla tua faccia o su quella di qualcuno della tua cerchia.
Un esempio? Ieri, in tabaccheria, c'erano i tuoi chewing gum vicino alla cassa. Un altro? Ieri, alla stazione, mi sono trovato davanti al primo piano di tua sorella Valentina che prestava il sorriso e la messa in piega a qualche prodotto per capelli. Ancora uno? Sempre ieri, la mia compagna mi ha chiamato per dirmi che voleva provare il tuo nuovo eyeliner perché quando te lo metti ha il potere di cambiarti le sopracciglia (o almeno così pare dalle tue storie). Non ti basta? Mentre ero al telefono ho alzato lo sguardo e c'era un mega schermo che proiettava la locandina dell'ultimo singolo di tuo marito. Insomma, tu e Federico mi fate sentire come quel personaggio della prima stagione di Boys su Prime, a cui un supereroe ha ammazzato la fidanzata, che entra in un negozio e trova solo robe pubblicizzate da quel supereroe lì. Con le dovute differenze, chiaro. Nel senso che voi non mi avete ucciso alcuna persona cara (però mi avete querelato).
Ergo, tutto questo per dirvi che se sei un giornalista, oggi, è giusto osservare ciò che fai (e fate) e, nel caso, bacchettarti (e bacchettarvi). Dato che voi oggi siete il potere, poco da dire. Ed è per questo che mi girano i coglioni, e tanto, a sentirti dire le cose che hai detto dopo gli incontri con Liliana Segre. Tipo questa: «Qualche giorno fa Liliana mi ha portato in un luogo del quale non conoscevo nulla, il memoriale della Shoah a Milano, e conoscere la storia di chi è stato perseguitato a pochi passi da casa mi ha fatto soffrire e soprattutto riflettere». Per carità, va benissimo utilizzarti per attirare l'attenzione dei giovani su tragedie enormi come i campi di concentramento e lo sterminio degli ebrei, è cosa sana e giusta, ma uscirsene con frasi del genere anche no.
A me dà fastidio e stupisce (e non so se più la prima o la seconda) il candore con cui dici che, prima di conoscere Liliana Segre, a questa sofferenza non ci avevi mai pensato. E nel caso fossero frasi di circostanza a me dà fastidio e stupisce che tra un villa affittata sul lago di Como giusto per farsi un weekend e uno staff di svariate persone, tra cui tate, stylist e tutte le professionalità che vuoi (e che fai bene ad avere perché puoi permettertelo), non hai pensato a un responsabile della comunicazione degno di tale nome capace di farti profferire un commento meno inutile, meno retorico, meno ingenuo, meno banale. La stessa cosa era capitata anche a Fedez dopo l'operazione, quando ha detto: «Prima pensavo solo a fare soldi, adesso ho capito quali sono le cose importanti della vita». Ma cazzo, arrivi da Rozzano, hai due figli splendidi, hai bisogno di sfiorare la morte e di stare male per capire quali sono i veri valori che contano? Ma dai, ma che miseria, che aridità. E poi, infine, quello che faccio fatica sempre di più a sopportare è la banalità e la povertà dei concetti a cui ci stiamo condannando da soli. È sempre più vicino il giorno in cui un robot farà ragionamenti più complessi e strutturati di quelli che sapranno fare il 90 percento delle persone. Ma questo a te forse non preoccupa, perché quel robot, quel giorno, con ogni probabilità avrà il tuo brand sul petto. Magari, però, riuscirà a parlare perfino di libri. Chissà...