Ma davvero la cucina italiana non esiste? Il noto professore universitario Alessandro Barbero al festival gastronomico "Baccanale", a Imola, ha dato vita a una conferenza intitolata Alimentazione e società nel Medioevo insieme al suo collega e famoso storico dell'alimentazione Massimo Montanari. Occasione in cui Barbero ha fatto un’affermazione molto forte: “Una cucina nazionale italiana non esiste, esiste solo fra gli italo americani i quali mangiano spaghetti with meatballs e gli americani credono che quella sia la cucina italiana. La nostra cucina è un insieme di innumerevoli cucine. Massimo Montanari sostiene che non sono definibili nemmeno come cucine regionali io credo che abbia ragione, salvo che il concetto stesso di regione è confuso”. Ma che cosa ne pensano gli addetti ai lavori? Quanto sostenuto dal professore è eccessivo o corrisponde alla realtà? Lo abbiamo chiesto allo chef Guido Mori, che ci ha sorpreso dando ragione allo storico: “Barbero sostiene che la cucina italiana è accreditata spesso da terzi; quindi, che per esempio la carbonara diventa famosa perché sono gli americani a notarla come qualcosa di molto rilevante. Ma questa non è una cosa denigratoria nei riguardi della cucina italiana, anzi. È che la cucina italiana è talmente polimorfica e potente che a volte noi non diamo un giudizio sviluppato e importante perché ne abbiamo talmente tante che ci interessa marginalmente, per cui sono i terzi che ci danno dei giudizi. Questo è quello che dice Barbero ed è una cosa su cui si discute da diverso tempo. Se sei giapponese hai bisogno di inventare il kobe, perché così puoi dire di te stesso che sei il migliore, ma se sei italiano sono gli altri a parlare della tua cucina, perché è la migliore”.
Ma non è il solo Mori a sostenere la tesi di Barbero. Su MOW ha parlato anche Andrea Giuseppucci, sostenendo che “dobbiamo smetterla di dire che c’è una cucina tradizionale italiana. La cucina italiana, soprattutto quella tradizionale, non ha fondamenti. Se prendi una provincia, prendi quaranta nonne e gli fai fare una stessa ricetta, non troverai due persone che eseguono allo stesso modo il piatto. A differenza della Francia, per esempio, in Italia non c’è una classificazione della cucina regionale. E questo è il bello della nostra cucina. Ognuno fa quello che vuole e comunque lo fa bene. Anzi, ti dirò. Vorrei più sushi, ma più sushi autentici. Meno all you can eat e più scelta. Non possiamo mangiare solo pasta al sugo”. È dello stesso avviso anche Luca Cesari, uno storico della cucina e firma del Sole 24 ore: “Lo dice anche lo storico Alberto Grandi. Ma esiste la cucina regionale. La tradizione non significa omologazione. La tradizione cambia anche nel tempo. Guarda i nostri ragù. Uno risale al 1891 [l’Artusi], questo è attuale [quello con i piselli]. Si chiamano tutti e due ragù alla bolognese, benissimo. Sono diversi? Sì. Hanno la stessa matrice? Ovviamente sì. È lì la tradizione. La cucina tradizionale si sta evolvendo. Continuamente. Ci sono alcuni piatti che scompaiono, alcuni piatti che nascono. I cannelloni noi li abbiamo rimessi nel menù, gli unici probabilmente a Bologna. Ma io sono cresciuto a cannelloni, parliamo di qualche decennio fa, non due secoli. Ecco la velocità con cui la tradizione muta.