Molti romani ricorderanno l’Eur come era negli anni ’70-’80; fiorente, modaiolo, decoroso quartiere residenziale nato nel ’37 per rappresentare la capitale con l’Esposizione Universale Roma del ’42 e celebrare le imprese del regime. Il suo iconico laghetto artificiale e le cascate, la vegetazione lussureggiante di eucalipti, conifere e maestose magnolie, di un verde in salute come in nessuna altra parte di Roma, lo Chalet e i canottieri che placidi sfilavano sulle vellutate acque verdi, i germani reali e gli scimpanzé in eleganti voliere a divertire i bambini e i pappagalli Ara poi, i prodigiosi ciliegi della passeggiata del Giappone lungo gli eleganti viali accanto alla Piscina delle Rose. E le prestigiose scuole frequentate da ragazzi della Roma borghese, gli uffici nei bei palazzi di vetro e il portentoso grattacielo dell’Eni a specchiarsi nel lago. Il Palaeur ospitava le band più famose per le Clizie di allora, nei loro bomber Ciesse e i loro Moncler nuovi di zecca, speranzose di sposare Simon Le Bon. Era l’epoca dei paninari e di McDonald’s aperto da poco nel quartiere ideato e voluto dal Duce, quello dell’Eurcine e di Terminator con i primi effetti speciali. Il Caffè Palombini serviva granite inimitabili sotto la sua opulenta bouganville, al pomeriggio il Luneur offriva lo sballo delle più solenni e raffinate giostre che i tempi avrebbero potuto sfoderare da noi, i soldati in libera uscita salutavano le ragazze e tutto appariva glam in quella atmosfera patinata, da quella parte di Roma. Oggi esiste ancora l’Eur, ma appannato e dimesso, nonostante sia sotto l’egida dell’ente omonimo privato che se ne occupa.
L’amato lago vanta ancora i canottieri che sfilano sulle loro canoe all’ombra del palazzo dell’Eni, certo, ed in lontananza si scorge la “scatola di vetro” dove è in mostra la Nuvola di Fuksas, centro di mostre e congressi. Ma niente più pappagalli né Chalet, Il Velodromo è stato abbattuto anni fa e storici esercizi locali come Corsetti, Leri, Rosanna, la Libreria Palma hanno chiuso per sempre e ogni cosa pare aver perduto smalto. In compenso svetta un cartello glorioso che annuncia da ormai diciassette anni l’apertura del nuovo Acquario di Roma, con le sue trenta vasche semivuote sotto il lago, in attesa di cinquemila esemplari di pesci con cento specie totali da ‘scongelare’, chissà, ormai. Le famigerate ‘torri della Tim’ sono macabri scheletri che reclamano la loro scocca come dopo un bombardamento di una guerra senza morti e feriti se non la civica dignità e passarci quotidianamente davanti è un supplizio che si rinnova. Esse sono lì, sovrastate dalle gru, a denunciare come in uno spettrale, assordante silenzio, un degrado dal quale sarà impossibile risorgere. Cumuli di occasionali detriti delimitano i passi di chi prende la metropolitana di Eur Fermi, meta di infiniti pellegrinaggi giovanili diretti a scampagnare in via del Corso al sabato. È in questo polo della modernità in devasto, dalle linee razionaliste di retaggio inconfondibilmente fascista che Niko Romito, in partnership con Eni, ha aperto Alt, la sua Accademia del Gusto, lì nella storica stazione di carburante Eni, appunto, di viale America.
Per adesso brilla come un babà appena sfornato, questo angolo di viale America passato in rehab per l’occasione e corredato di ulivi e di un locale in stile drive in anni ’50. Scritte al neon come in un vecchio dining californiano annunciano pollo fritto, polpette e panini. All’interno di Alt i muri sono tappezzati di bellissimi carreaux metrò candidi, specchi decorati con altre graziose frasi luminose iconiche, una cucina a vista dalla quale spuntano giovani cuochi in divisa ed un ampio bancone colmo di ogni sorta di specialità zuccherina.
Per le creazioni salate basta guardare le foto in alto e scegliere tra la bomba fritta preferita al maiale, pollo, spezzatino o pesto e pomodori o anche un pollo intero fritto a ventotto euro, più polpette, focacce ripiene ed altre leccornie.
Abbiamo pescato come se fosse la festa nostra, sfacciatamente, ’ndo cojo cojo. Per dovere di cronaca abbiamo affondato il cucchiaio in un “Biancomangiare” al latte di mandorla e lamponi, li seduti nel dehors, opzione vegana dalla candida consistenza di budino e geleé fuxia molto graziosa a vedersi, ma noi ringraziamo per una volta di non essere vegani e passiamo oltre, lasciandola a metà.
Abbiamo poi annaffiamo il tutto con “Molecola”, cola italiana proveniente da uno stabilimento di Torino, senza zucchero né conservanti. Somiglia alla pepsi, di certo meno maggica della Coca. Ma come direbbe er Monnezza, sgrassa bene. Stura che è una meraviglia, col suo in-sapore di acqua frizzante e caramello, non piacerebbe forse ai bambini ma ad un target differente (ci domandiamo quale) di certo si. È nella sua bella bottiglia di vetro sinuosa dalle note femminee curve, come l’originale di Atlanta e con la sua bandierina tricolore non ci convince ancora.
La bomba salata con insalata, pollo, mayo e cavolo viola giunge incartata e inscatolata come al fast food, ma con un packaging più elegante. Diciamo che non è il solito panino, Il pollo è buono, la bomba è soffice e non mostra untuosità alcuna. Servita calda ha il suo perché. Riflettiamo sul voler suggerire al cuoco di correggere la punta di acidità data dal cavolo rosso, ma forse è proprio quella la particolarità. In dubbio se considerarci profani del gusto a proposito di alta ristorazione declinata in veste di panino, decidiamo di tacere.
La scelta dei prodotti è molto varia, la speranza è che col tempo, come la maggior parte delle cose che nascono a Roma, non risenta della solita litania propinata dappertutto “quello ar maiale non c'è, avemo finito er maiale”, eccetera. Il direttore però parla nordico e ha l'aspetto di un cardiochirurgo. Ciò ci fa ben sperare nella serietà dei propositi, esibendo orrendi luoghi comuni.
“Messico e Nuvole” in filodiffusione accompagna i nostri assaggi. Alla fine proviamo le bombe dolci semplici, alla marmellata di albicocca, alla crema, più una sfogliata alle mandorle e una alla Nutella. Prendiamo da asporto un plum cake di Niko Romito senza lattosio e senza farina di frumento al limone e mandorla. Tanto per gradire.
Burrosa e insapore la bomba sfogliata dolce alle mandorle, dal profumo di trigliceridi che pungono le narici, bomba di nome e de facto, ce pigli dumila calorie solo con quella, ca va sans dire.
Migliore senza dubbio la bomba fritta tradizionale zuccherata vuota e con la crema, per niente pesante e ben asciutta, meglio se mangiata bollente, ma ancor meglio quella alla pazzesca marmellata di albicocca.
All’Eur le bombe ci stanno sempre un gran bene, vista la recente chiusura del famoso bar Tomeucci nell’adiacente viale Europa. La sfogliata alla Nutella ci è parsa ottima ma, dobbiamo dirlo, effettivamente ce viè dar core, vince facile. Certo, pure quelle senza arte né parte di Nettuno di notte, non saranno di Niko Romito, ma so tanto bone, riflettiamo in un anelito di spartano esistenzialismo. “Le bombe delle sei non fanno male”, canta Antonello e noi vorremmo far entrare nel novero delle cose protette dall’Unesco tutte le bombe del mondo.
Nell’atto di addentare i dolciumi in questa orgia di saccarosio, slacciandoci il bottone dei pantaloni, non ci facciamo mancare quattro chiacchiere con l’artefice di questo nuovo impero del comfort food on the road de noantri, Niko Romito.
Salve Chef, come mai ha cominciato questa esperienza qui all’Eur?
Questa zona la conoscevo perché da piccolo venivo dall’Abruzzo a trovare mia nonna che viveva in via Cesare Pavese. Mi ha sempre affascinato l’Eur per le dimensioni, i rapporti con gli spazi, il verde, rispetto alla Città, diciamo a Roma Nord o la città storica. L’idea di aprire qui, in un posto a me caro da giovane mi affascina. Mi affascina il modello pop, semplice, popolare, che nasce cinque anni fa a Castel di Sangro, un modello che viene dalla strada, e quindi mi affascina l’idea di uno chef, un gruppo che fa alta ristorazione si dedichi a fare modelli più inclusivi, democratici, alla portata di tutti. Questa è una piccola rivoluzione. Pensiamo che questo tipo di modelli non vengano considerati dalla alta ristorazione e invece qui è l’alta ristorazione che si apre al modello semplice, popolare, inclusivo e anche con una formula full time, cioè di colazione, pranzo e cena, quindi dal servizio su strada a tutti quanti.
Lo sa che Roma è una sfida?
Si, è una sfida e ho altre due attività a Roma, Bulgari in centro storico e in Piazza Verdi, Spazio Bar e Cucina, quindi si, poi siamo in una area diametralmente opposta. È una grande sfida e mi piace farla con Eni, dare la possibilità a chi frequenta le aree di servizio di avere un ambiente curato, dove siano curate le materie prime, il servizio, cercando di dare a prezzi concorrenziali qualcosa di buono, con un pensiero, un ragionamento, una ricerca dietro. Questo è quello che può diventare un progetto nazionale ed europeo.
La qualità delle materie prime e del servizio di Alt reggeranno nel tempo rimanendo inalterati? Abbiamo esperienze di parecchi locali romani in cui progressivamente va abbassandosi il livello qualitativo.
Io spero che gli standard miglioreranno anche dopo l’apertura, perché i ragazzi cresceranno, ci sarà più consapevolezza del modello, noi abbiamo fatto una bellissima operazione assumendo tante persone di prima occupazione, per dare ai ragazzi del quartiere la possibilità di lavorare anche senza esperienza, con l’idea che la mia Accademia li formi per il loro futuro.
Questo è bello perché il progetto di franchising che nascerà è quello di dare la possibilità ai giovani imprenditori che hanno voglia di investire, con delle cifre assolutamente accettabili, nella gestione di nuovi Alt. Perché il modello è quello di franchising con formazione. Per questo è una accademia.
Il pubblico recepirà il progetto?
Mi auguro di si perché si parla di un progetto popolare. È difficile spiegare i modelli di ristorazione più evoluta, però quando si parla di modello popolare la qualità è facilmente percepibile.
Sa, ci hanno resi poveri; il romano si è abituato a mangiare qualsiasi cosa
Quando si parla di ingredienti molto semplici come una crema pasticcera, un croissant, un toast, secondo me la differenza si nota. Il nostro toast è fatto con un pane con farina di grani antichi, che non è comune pane in cassetta. Il profumo dei grani, la consistenza e tutto ciò si sente. Certo può capitare che la qualità non venga capita. I prezzi però sono popolari. Certo abbiamo aperto oggi e tanti ragionamenti non fanno testo. Dovremo aspettare qualche mese per capire come va e l’approccio con il pubblico. In genere dal terzo mese si inizia a capire.
Qual è la creazione prediletta che consiglia alla gente?
Di certo la bomba fritta, dolce e salata, un po’ il simbolo di Niko Romito.
Lasciamo così il nostro Niko Romito, con il proposito di andarlo a trovare presso Casadonna, nel Parco Nazionale d’Abruzzo e con il dubbio che in fondo chi non è abituato a Roma vivrà sempre nel suo mito. Che essa giaccia nel degrado poco importa. La sua grandezza a quanto pare è inoffuscabile.