La pasta in bianco. Uno di quei cibi insulsi e piuttosto tristi (diciamolo), che mangi quando sei a dieta, quando stai male di stomaco o - Dio non voglia – quando sei in ospedale. Eppure, a Milano negli ultimi tempi, non si parla che di pasta in bianco. Ma come? Sì, esatto, ma non di una pasta in bianco qualsiasi, no signori! Stiamo parlando della (ormai) famosa pasta in bianco del ristorante dell'hotel Potrait, quella che costa la bellezza di 26 euro. Ma ne vale davvero la pena? Dopo tanto parlarne, decine di foto sui Social, critiche culinarie di esperti (e non) e video dimostrazioni su Tik Tok, non potevamo non andare a provarla personalmente, per capire di che si tratta. La location è quella dell’Hotel Potrait, appunto. Cinque stelle di iper-lusso, una corte interna austera e signorile, con vetrine, cespugli e persino una schiera di eleganti “maggiordomi” e bellissime fanciulle che sorridono ad ogni angolo – non proprio una cosa da gente comune, insomma. L’hotel Potrait si trova lungo corso Venezia, in pienissimo centro città. Tuttavia, è uno di quei posti che, proprio perché si è in centro, a qualche decina di metri dalla madonnina del Duomo, fra folle di turisti imbizzarriti alle boutique di Philipp Plein e Dolce & Gabbana, e i lavoratori milanesi già scocciati e di corsa di prima mattina, ecco, in tutto questo marasma, l’hotel Portait, la sua corte interna col ristorante iper-chic, passeggiando sul corso, non li noti affatto.
Una volta superate le folle di turisti, i maggiordomi e la corte interna, si arriva finalmente al ristorante. Esso appare in effetti splendente e scintillante, tanto che potersi permettere il lusso e la delizia della decantata pasta, non è cosa immediata. Noi per esempio per sederci, abbiamo dovuto prenotare, seppur la mail di conferma della prenotazione sia arrivata in un italiano inaspettatamente sgrammaticato: “Non vediamo l’ora di darli il benvenuto”, quindi “darli” al posto di “darle”, che da un posto così chic non ci si aspetterebbe; ma andiamo oltre. All’interno, fra eleganti signori intenti e leggicchiare libricini e sorseggiare bollicine, belle signore fresche di parrucchiere e spa, rilassate nelle comode poltrone, l’atmosfera è davvero distesa, seppur molto sfarzosa. Il servizio del ristorante è estremamente gentile, diremmo impeccabile, dalla mis en place, al cambio delle posate a seconda delle pietanze, non c’è che dire; ma del resto con 5 euro di coperto a pranzo, ci saebbe da essere perfino indignati se non fosse così.
Ma passiamo al menù: il nostro obiettivo era certamente la pasta in bianco, ma non abbimo potuto non notare che in fondo, non era l’unica cosa a far storcere un po’ il naso a noi comuni mortali, già che anche una semplice pasta al pomodoro viene la bellezza di 24 euro. Ovviamente abbiamo optato per la pasta in bianco che, come accennato in apertura, viene 26 euro. La suddetta pasta è stata in realtà ideata dallo chef Alberto Quadrio, che avendo lavorato al Portrait fino a luglio 2023, l’ha lasciata in eredità fra i piatti di punta del lussuoso ristorante. Essa viene servita prima dentro una profonda zuppiera di ceramica, posizionata su un carrello mobile accanto al tavolo, e poi successivamente viene mantecata, per essere infine trasferita nel nostro piatto dalle abili mani dei camerieri. Procedono poi a spiegare: non è una classica pasta in bianco (e fin qui), si tratta di pasta di semola e uovo, senza burro, senza olio, e persino senza parmigiano (What?), molto proteica, accompagnata da un crema ottenuta dalla lenta mantecatura delle croste di parmigiano (e quindi non il parmigiano stesso) e una granella, tipo chips, sempre ottenuta dalle croste. Guardando quei gialli, grossi e pallidi fusilloni, un po’ troppo poveri e solitari nel piatto, veniva in realtà la quasi spontanea tendenza a cercare altri ingredienti “nascosti” nella pietanza, e non trovandoli, ci si ritrovava a osservare con un po’ di avidità i piatti, ben più vivi e coloriti, degli altri commensali. Dunque, con l’aspetto forse non si parte benissimo, ma essendo presentata come “pasta in bianco”, probabilmente è più che normale. Passiamo allora al sapore: la crema di formaggio (o “mantecatura di croste” di formaggio, che dir si voglia), è in effetti deliziosa a primo impatto, anche se, vista la persistente sapidità, alla lunga non avendo un bilanciamento con altri ingredienti, tende un po’ a stufare (detto in parole povere: che salata! - in tutti i sensi). Peccato.
Oltre alla pasta abbiamo provato una classica cesar salad con pollo (ben 28 euro), un gelato con amarene (e non “DI amarene”, come ha tenuto a specificare uno scintillante ed elegantissimo cameriere) acqua e caffè espresso (5 euro!), quest’ultimo accompagnato da un dolcetto al cioccolato, il tutto, per la bellezza di 86 euro. Wow. “Troppo, troppo poco?” Come direbbe Alessandro Borghese in visita in una puntata di Quattro ristoranti; non si sa, a noi però è sembrato in effetti piuttosto esagerato, e non certo alla portata di un qualsiasi lavoratore medio a pranzo o cena fuori una tantum. Cioè, va bene che siamo a Milano, dove tutto ormai costa un rene, ma… Quindi, il resoconto è che è certamente un’esperienza da provare: singolare, interessante, soprattutto perché se non si è abituati, per una volta si può provare la sensazione di esser trattati come re e regine, o per citare Fantozzi, come “signore dell’alta aristocrazia borghese”; ma senz’altro, un’esperienza irripetibile, dato che con molta probabilità, non ci torneremmo e anzi, per riprendere un buffo dibattito scatenato in una puntata di Ciao Darwin qualche settimana fa, dove le categorie in gara erano “Trattorie” contro “Chef stellati”, che dire… Trattorie tutta la vita!