Tre su tre in questo inizio di Serie A, quattro gol segnati all’Inter nel derby d’Italia, l’ultimo al novantunesimo. La Juventus di Igor Tudor è partita bene in questa stagione, forse meglio delle aspettative. Per tutta l’estate si è parlato del grande dubbio: se Dusan Vlahović fosse rimasto, come gestire l’alternanza con Jonathan David. Il serbo ha segnato due gol nelle prime due in campionato, il canadese ha fatto discretamente e può ancora migliorare. Nelle sue corde ci sono anche i venti gol. Il mercato, oltre all’attaccante, ha portato Lois Openda, Kristjan Zhegrova, il riscatto di Francisco Conceicao, Pierre Kalulu e Lloyd Kelly. Tanti movimenti anche in uscita, il più pesante l’addio di Nico González direzione Atlético Madrid. Cambiamenti, non rivoluzioni. La seconda fase di un rinnovamento cominciato a metà dello scorso anno, con l’addio di Thiago Motta e completato con l’uscita di Cristiano Giuntoli, conseguenza quasi logica dell’esonero dell’ex allenatore del Bologna. Un marasma in cui Tudor si è trovato in parte traghettatore e in parte motivatore. Un po’ quello che avrebbe dovuto fare Sérgio Conceicao al Milan - e che non è stato per nulla in grado di fare. Ha dato solidità, motivazioni, un’immagine meno spigolosa di quella che si era creato Motta, sia con la stampa che nello spogliatoio. Proprio lo spogliatoio, sul finire dell’esperienza di Motta, era sembrato completamente disallineato rispetto alle intenzioni dell’allenatore.

E con l’entrata in Champions League e il Mondiale per Club Igor Tudor si è guadagnato la riconferma. Se per mancanza di alternative - e il presunto rifiuto di Antonio Conte - o di un piano preciso non lo sapremo mai. Fatto sta che Tudor si giocherà le sue carte anche in questa stagione, sia in campionato che in Champions: oggi, martedì 16 settembre, la Juve gioca contro il Borussia Dortmund, avversario alla portata, il primo di una serie non impossibile, Real Madrid a parte. Tudor è ripartito dalla difesa a tre, con due centrocampisti solidi come Manuel Locatelli e Khephren Thuram e sfruttando la duttilità di Weston McKennie e Pierre Kalulu. Fondamentale anche il rientro di Gleison Bremer al centro della linea davanti a Michele Di Gregorio. Poi calcio verticale, fiducia a Kenan Yildiz, che da quando non c’è più Motta è un altro, e ancora speranze di rivedere il Teun Koopmeiners dell’Atalanta: le sue prestazioni – e i gol – mancano. Niente di rivoluzionario, comunque. Idee pragmatiche, adattate ai giocatori già in rosa e ai nuovi acquisti e non viceversa. “Il gioco di Tudor” è quello che meglio può ottenere da chi ha a disposizione. Forse non di più, ma di certo non di meno. Di casi in cui allenatori considerati di passaggio sono diventati vincenti ce ne sono: l’ultimo è Stefano Pioli al Milan, all’inizio del suo percorso in rossonero forse visto come un sostituto in attesa di un grande nome (magari lo stesso Conte, la stessa ombra di Tudor), e poi diventato campione d’Italia. La partenza è buona, ma solo con il tempo e la continuità si capirà se Tudor riuscirà a trasformare le buone premesse in risultati concreti.

