Cosa rimane dell’Europeo femminile 2025? Un misto di consapevolezza, visto il percorso della Nazionale e la semifinale raggiunta, e di delusione. C’è mancato poco per arrivare in finale, un fischio diverso e un rigore non dato avrebbero cambiato le cose. Al sistema calcio, in Italia, però, sembra mancare molto. Abbiamo intervistato Carolina Morace, ex attaccante della Nazionale due volte finalista agli Europei (nel 1993 e nel 1997), ora europarlamentare per il Movimento 5 Stelle, per chiedergli dei diritti tv della Serie A Women’s Cup 2025/26 e 2026/27 rimasti invenduti. Morace stessa ha fatto un post sui social. Lì si chiede: “Che senso ha parlare di pari dignità, di crescita, di professionismo, se poi non si riesce nemmeno a trasmettere con continuità una delle principali competizioni nazionali?”. Ecco, l’intervista parte proprio da qui.

Onorevole Morace, cosa si dovrebbe fare che invece non si sta facendo?
Ci vuole la volontà di far funzionare certe cose, e questo significa mettersi a un tavolo e scrivere un progetto organico serio. Una volontà che evidente non c’è. Faccio un esempio: era stato offerto all’Italia di poter co-organizzare con la Svizzera l’ultimo Europeo. Era un'occasione che non bisognava lasciarsi sfuggire e che invece è stata persa. Sicuramente noi abbiamo un'impiantistica sportiva fatiscente e non all’altezza, però, lasciando perdere i grandi stadi da 70 o 80mila posti, abbiamo comunque degli stadi più piccoli in cui si poteva giocare.
Qual è la differenza di approccio rispetto alle altre federazioni?
La federazione svizzera aveva idee molto chiare: si sono posti l’obiettivo di passare da 40mila giocatrici tesserate a 80mila, un risultato che permetterebbe loro di superarci (l’Italia ha poco più di 45mila tesserate, ndr). Inoltre puntavano ad aumentare in maniera importante il pubblico. Insomma, un programma ben preciso sviluppato a partire dall’Europeo.
Anche in Italia è stato molto seguita la competizione.
Ma il problema non sono questi eventi, che piacciono alla gente, e i risultati televisivi lo dimostrano; la questione da affrontare è che oggi le migliori giocatrici se ne stanno andando via dall'Italia.
Un’altra fuga di talenti, quindi.
Se nel nostro Paese non è nemmeno certo che ci sarà ancora il professionismo come pretendiamo che le migliori restino? Ricordo che il fondo per il passaggio al professionismo del 2020 è stato rifinanziato per il 2025, ma non è detto che si andrà oltre. Mi auguro davvero, al di là delle questioni politiche, che ci sia un progetto per il calcio femminile. Elena Linari in Inghilterra, Lisa Boattin verso l’America, così come Sofia Cantore: le altre leghe ci stanno, giustamente, perché sono atlete di valore, privando del loro talento.
La differenza è davvero così grande da non poter rimanere?
Evidentemente è così. Bisogna poi pensare a un’altra cosa: Linari lascia la Roma per il London City, ma il London City è una squadra che non ha una storia minimamente paragonabile a quella della Roma.
Questo cosa ci porta a dire?
Che le società come la Roma vanno aiutate, non può ricadere tutto su di loro.
Concretamente cosa significa, in merito alla questione dei diritti?
Serviva guardarsi intorno, prendere spunto dai progetti di successo, quindi andava cercato un grande sponsor. In Inghilterra hanno la Barclays, per esempio. E allora ecco perché dico: siamo sicuri che quel poco degli incassi dei diritti televisivi possano essere il sostentamento delle società? Ritengo sia poco plausibile.

L’ultimo Europeo e la semifinale raggiunta che valore assumono in questo contesto?
Arrivare a pochi istanti dalla finale è un grande risultato se guardato in quanto tale. Poi c’è un elemento alla base che va considerato: che le calciatrici italiane, che sono meno di 50mila, hanno dovuto competere con una nazionale che ha un bacino di circa 120mila atlete. È una differenza enorme che non possiamo far finta di non vedere.
Il sistema calcio in Italia, compresi i settori giovanili e la Nazionale maschile, non sembra stare meglio.
È un calcio, il nostro, che grida di essere curato. La Nazionale maschile ha fallito la qualificazione negli ultimi due Mondiali, ma le ultime due volte che abbiamo partecipato siamo usciti al primo turno. È inutile dare la colpa ai singoli: prima Roberto Mancini, poi Luciano Spalletti. Ragionamenti del genere ci dicono che non stiamo capendo il problema, che ci affidiamo alla speranza di imboccare un ciclo vincente. Ma a volte i cicli ci sono, a volte non ci sono.
Il calcio ha poi un valore sociale: per le famiglie italiane come crede che cambieranno le cose?
Lo sport sta costando troppo e temo che andrà sempre peggio, dato che con ogni probabilità avremo un periodo di recessione. Porto la mia esperienza, che credo sia quella di altri della mia generazione: io ho fatto sport, così come mio fratello, ma la mia famiglia non ha mai dovuto spendere molti soldi per permetterci di farlo. Rischiamo che l’attività sportiva rimanga una cosa per le élite.
Rimanendo al professionismo: i costi sono sempre più alti, almeno questo è quello che traspare dal report sul calcio 2025 della Figc.
Non solo, c’è la questione degli abbonamenti che la gente deve sottoscrivere per guardare lo sport. Si è parlato anche della pirateria, una cosa che va scongiurata e combattuta in maniera decisa, ma non è solo quello il punto. La questione qui è crescere i giovani che vogliono fare sport. Per quanto mi riguarda, una società senza sport è una società malata.
I problemi, al di là dell’industria calcio, riguardano anche il progetto tecnico?
Non mi risulta che ci siano progetti tecnici. La verità è che contiamo su questa generazione di giocatrici di alto livello, ma non direi che c’è un progetto tecnico vero e proprio. Certo, tre Nazionali quest'anno sono arrivate alla fase finale dei rispettivi tornei continentali (Under-17, Under-19 e Nazionale maggiore, ndr), ma se andiamo a guardare gli anni passati vediamo che certi risultati erano già stati raggiunti. Possiamo quindi dire che la semifinale per noi è una vittoria? No, temo sia un caso. Perché se fosse una vittoria vera ci sarebbe un progetto concreto su cui proseguire il percorso. Ripeto, non voglio assolutamente sminuire il torneo fatto dalle giocatrici, anzi. Hanno fatto quella prestazione pur essendo abbandonate a loro stesse. Una cosa che era accaduta anche alla mia generazione peraltro.
Stando a quanto emerge dai dati diffusi dalla federazione, sembra che molte giocatrici che arrivano in Nazionale maggiore seguano tutto il corso di quelle giovanili. Questo non è indice di qualità della gestione tecnica?
D’accordo, ma se abbiamo così poche giocatrici è normale che si segua quella strada. Se avessimo 100mila atlete sarebbe così? Anche le Nazionali giovanili rispettano i cicli. Io non vedo nemmeno preoccupazione, è questo che mi sorprende. Ho sentito con grande attenzione il discorso che Cristiana Girelli ha fatto davanti al presidente Mattarella: in quel messaggio c'è un grido d'allarme, una richiesta di attenzione e di rispetto. Almeno io l'ho letta così.
Girelli ha detto: “Abbiamo ancora fame”. Forse le calciatrici avevano il sentore che nonostante quel risultato le cose non sarebbero cambiate?
Posso dire che nel 2019 è successa esattamente la stessa cosa dopo il Mondiale. Anche in quell’occasione avevamo detto che il calcio femminile piaceva, che aveva seguito, eccetera. Poi, nei fatti, cosa è successo? I progetti si scrivono, non si tramandano. E parlo in generale, non solo del calcio. Con l’onorevole Silvestri avevamo proposto un emendamento che riconoscesse alle associazioni sportive un credito di imposta del 50% sulle utenze di gas, elettricità e acqua, perché di fatto sono quelle realtà che hanno in mano la formazione degli atleti. Se è vero che diamo questa responsabilità alle associazioni, le dobbiamo anche aiutare. Oggi per far giocare a calcio uno dei tuoi figli spendi dai 600 ai 1000 euro all'anno. Se hai due o tre figli è meglio non farli giocare. Credo che questa sia una situazione da affrontare al più presto.
