Sì, quel giorno è arrivato. Dopo 104 giorni fuori dal campo, tre mesi di silenzi, supposizioni, sospetti e parole mai del tutto digerite, Jannik Sinner è tornato. E il Foro Italico ha finalmente potuto esplodere. Quando il numero uno del mondo ha messo piede sul Centrale, è scattato un boato da stadio. Un’accoglienza da leggenda vivente. Ma non solo per il ranking. Per ciò che Sinner è diventato. Per ciò che Sinner rappresenta. E per il modo in cui si è mostrato. Perché questa non è stata solo una vittoria. È stata una liberazione. Un 6-3 6-4 in poco più di un’ora e mezza che lo porta al terzo turno degli Internazionali, ma soprattutto una dimostrazione che, sì, Sinner c’è. E ora è anche un po’ diverso. Perché oggi non abbiamo rivisto “il solito Sinner”, ma un Sinner nuovo. O forse semplicemente più vero. Un ragazzo che si è lasciato andare, che ha sorriso, che ha mostrato segni di tensione, che ha raccolto il calore di un pubblico commosso e lo ha restituito con piccoli gesti. L’ingresso in campo da brividi, il coro “Sinner Sinner” subito partito dalle tribune, gli occhi al cielo e quelle parole a fine match che raccontano tutto: “Non so cosa dire, non c’è posto migliore per me per giocare a tennis. È stata un’emozione fantastica. Tre mesi sono lunghi. Mi sono divertito con la mia famiglia, ma sono contento di essere tornato”. Dichiarazioni spontanee, umanità, quella voglia di lasciarsi andare anche un pizzico di incredulità e di imprevedibilità che prima forse non si concedeva.
Il match è durato poco più di un’ora e mezza e si è chiuso con un netto 6-3 6-4 contro l’argentino Mariano Navone. Un esordio solido, anche se non privo di imperfezioni. Ma oggi la perfezione non era richiesta. Era richiesto coraggio, equilibrio, tenuta mentale. E Sinner ha risposto presente. “È difficile non avere feedback per tanto tempo. A volte andavo bene, altre meno. Ma oggi sono contento di aver dato tutto”, ha spiegato. E quel “tutto” lo si è visto: nei 24 errori gratuiti che raccontano un gioco ancora da rifinire, ma anche nella voglia di forzare, di prendersi rischi, di tornare a sentirsi vivo là dentro. Sinner ha vinto soprattutto di testa. Con qualche sbavatura, sì, ma con la lucidità di chi sa gestire il momento. Ha subito un controbreak nel secondo set, ma non ha perso la rotta. Ha mostrato i segni della fatica e dell’attesa. E proprio per questo è sembrato più vicino, più vero.

Non è più solo il ragazzo costruito per non sbagliare mai. È il numero uno che ha scoperto, e accettato, che la forza sta anche nel riconoscere i propri limiti. Ha convissuto per settimane con il sospetto, con il silenzio, con gli sguardi “strani” nello spogliatoio, come lui stesso aveva raccontato. E oggi ha giocato anche contro tutto questo. Senza farsi schiacciare. La sua più grande vittoria, forse, è questa: essere tornato da uomo, non solo da campione. Ed è per questo che Roma, oggi, si è inchinata a lui con un rispetto nuovo.