Ha riportato la Coppa Davis in Italia dopo 47 anni. E lo ha fatto due volte in poco più di un anno, perché quando c'è da gestire una squadra e tenere i nervi saldi, Filippo Volandri ha dimostrato di sapere esattamente dove mettere le mani. Ma adesso, da capitano azzurro e osservatore privilegiato della galassia tricolore, guarda alla terra rossa e a Jannik Sinner con la calma di chi sa cosa serve per arrivare pronti. L’intervista alla Gazzetta dello Sport si trasforma in un briefing tecnico, con una premessa che pesa: “Non aspettatevi subito una vittoria”. Sinner tornerà in campo a Roma, agli Internazionali, dopo tre mesi di stop forzato per il caso Clostebol e Volandri, che da giocatore ha vissuto sulla terra battuta e ha avuto anche l’onore di battere Roger Federer nel 2007 proprio al Foro Italico, lo sa: “In questi 25 anni è cambiato tutto. Una volta si giocava di più sul rosso, bisognava adattarsi al cemento. Oggi è il contrario. La terra è una superficie che va preparata, non ci si arriva più per abitudine, bisogna costruirsi sopra”.

Il che significa preparazione fisica, anzitutto. Non è solo una questione di resistenza: “Gli scambi sono più lunghi, la palla rimbalza più alta, serve più spinta. E poi bisogna controllare le scivolate, che sulla terra sono fondamentali. Anche se oggi si vedono pure sul veloce, la terra ti obbliga a gestirle meglio e a farne parte del tuo gioco”. Jannik, dal canto suo, ha avuto finalmente l’occasione di potersi concentrare sul corpo. Lontano dal campo, ma immerso in una preparazione che punta dritta a Parigi. “Il Roland Garros è l’obiettivo, e un torneo di due settimane giocato su cinque set va affrontato con un serbatoio pieno. Jannik negli ultimi anni non ha mai potuto fare una vera preparazione invernale, tra Finals, Davis e calendario fitto. Questa pausa, se ben gestita, può essere la chiave per guadagnare condizione non solo per la stagione in corso, ma anche per quelle successive”, spiega Volandri.
E dal punto di vista tecnico? “Il servizio sarà sicuramente uno degli elementi su cui lavorare. Cercare più angoli, usare il servizio a uscire, lavorare sul rimbalzo alto. Picchiare e basta sulla terra non funziona: la superficie assorbe potenza, bisogna variare, portare l’avversario fuori dal campo fin dai primi colpi”. Certo, il ritorno alla competizione resta la vera incognita. Nessun allenamento può simulare davvero il campo. “Anche se Sinner ha una mentalità da fenomeno e so da Vagnozzi che è già molto concentrato e motivato, bisogna ricordarsi che non gioca da tre mesi. È umano che serva tempo per ritrovare il ritmo. Le vittorie arriveranno, ma non bisogna avere fretta. Serve pazienza”.

Nel frattempo, Alcaraz ha vinto Montecarlo e si è preso la scena. È lui il vero pericolo sulla terra? Secondo Volandri “probabilmente sì. Carlos ha una varietà di colpi impressionante, sa sempre trovare soluzioni diverse. Ma la finale di Montecarlo ha mostrato anche le sue fragilità: ha momenti di calo, e gli avversari devono imparare a colpirlo proprio lì”. Un altro che a Montecarlo ha lasciato il segno è stato Lorenzo Musetti. Una versione nuova, più matura, meno fragile. “Mi è piaciuto molto. Lo ha detto anche lui: ha smesso di specchiarsi nel talento, ora si sporca le mani, sa stare in campo anche quando non gioca bene. È un passaggio fondamentale, ma deve confermarsi”. Poi il punto sulla nuova identità del tennis italiano, con una Davis vinta per due anni di fila. E con una prospettiva interessante: le Finals per i prossimi tre anni si giocheranno in Italia. “Può diventare una motivazione in. Il rischio dopo due vittorie era quello di sentirsi appagati. Giocare in casa, con il pubblico e la pressione, ci darà nuovi stimoli. E questa generazione sa come rispondere”. Jannik intanto si prepara. Musetti cresce. Berrettini è tornato competitivo. E Volandri li osserva tutti.