Marco Ferdico, da quanto sappiamo, ha cominciato a parlare a colloquio con i pm. Dalle sue parole, però, non sarebbero emerse molte cose: nessun legame con le famiglie mafiose, nessun assenso per l’omicidio di Vittorio Boiocchi, nessun ruolo della ‘ndrangheta. “Abbiamo fatto tutto da soli”. Lo ha detto Marco e lo ha ripetuto, pare, anche Andrea Pietro Simoncini, suo suocero. Simoncini è ritenuto, insieme a Daniel D’Alessandro “Bellebuono”, l’esecutore materiale dell’assassinio di Boiocchi. Sarebbe stato proprio Bellebuono a sparare. Dalle confessioni di Simoncini emerge che D’Alessandro era in uno stato di alterazione: aveva assunto cocaina. I due arrivano in via Zanzottera su un Gilera riverniciato di nero. Lungo il tragitto cadono. Andrea Pietro si fa male a una spalla e non può sparare. Così almeno si è giustificato il suocero di Ferdico. Ad ammazzare Boiocchi sarebbe stato quindi Bellebuono. Un testimone ha detto di aver sentito urlare una frase: “Non sparare”, poco prima che partisse il primo colpo. “L’ho urlato io”, ha confessato Simoncini. L’uomo si sarebbe quindi “pentito” poco prima del compimento del delitto.

Andrea Beretta, considerato il mandante dell’omicidio, aveva messo sul piatto 50mila euro. Di questi, 30 andavano divisi tra Simoncini e Bellebuono. Di questo ha parlato ancora Simoncini: “Uno che sta ai vertici della ‘ndrangheta non uccide per così poco”. Nelle sue confessioni, Beretta spiega che il suocero di Ferdico è stato scelto in quanto persona esperta, che si è “formata” nella cosiddetta faida delle Preserre, un conflitto di ‘ndrangheta che ha coinvolto diversi centri del Vibonese. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, un elemento cruciale nella vicenda sarebbe stata la storia personale della prima moglie di Simoncini (che è la madre di Aurora, la moglie di Marco Ferdico). Questa, il 16 dicembre 2008, ha patteggiato una condanna per “favoreggiamento personale”, poiché accusata – insieme ad altri tre soggetti – di aver favorito la latitanza del boss Bruno Emanuele, poi catturato in un casolare all'interno di un villaggio turistico a Pizzo. A complicare ulteriormente il quadro familiare, emerge anche il legame con la sorella della donna, zia di Ferdico, che era sposata con un uomo indicato dalla Dda di Catanzaro come il capo di un’organizzazione criminale finalizzata al traffico di stupefacenti con base operativa a Gerocarne. Questo soggetto venne ucciso il 22 settembre 2012, proprio nei pressi della sua abitazione in località Comunella, nel territorio di Gerocarne. Insomma, il nome di Simoncini appare in un contesto complicato. Ma a colloquio con i pm avrebbe detto le stesse cose di Marco Ferdico: abbiamo fatto tutto noi, le famiglie non c’entrano, i clan non hanno dato nessun assenso. Simoncini era a Milano perché legato a Ferdico, non per altro. Così pare, almeno. Noi avevamo detto che questo sarebbe potuto succedere, che i protagonisti di questa storia sminuissero il loro ruolo. Ora c’è un altro che potrebbe cambiare le cose con le sue parole: D’Alessandro.

Tutti lo cercavano, ci avevano detto persone informate vicine agli ambienti della curva Nord. Dentro e fuori San Siro. Cosa sa Bellebuono? Perché scendeva così di frequente in Calabria? Chi doveva incontrare? Per ora possiamo solo ipotizzare. Ma tutti aspettano che parli. Al momento, però, si è avvalso della facoltà di non rispondere, seguendo quanto suggerito dall’avvocato che lo sta difendendo, Davide Barelli. Ma si attendono notizie anche dagli altri soggetti che hanno preso parte al piano organizzato da Ferdico su mandato di Beretta: Cristian Ferrario e Mauro Nepi. Il primo era il custode dell’arsenale della curva Nord e l’intestatario dello scooter con cui i due killer raggiungeranno Boiocchi; il secondo è stato il ponte tra Marco e Gianfranco Ferdico e Andrea Beretta. È Nepi che disse a Berro di aver trovato qualcuno che potesse “risolvere il problema” di Boiocchi. Ed è ancora Maurino che consegnerà i soldi ai Ferdico. Un ruolo decisamente attivo, se confermato, nel piano dei vertici ultrà che prenderanno il potere dopo il 29 ottobre 2022. La lacrima tatuata sul viso, simbolo nel mondo criminale di un omicidio, ce l’ha solo D’Alessandro Bellebuono. Quell’assassinio, però, sono in molti ad avercelo sulla coscienza.

