Oggi venerdì 23 maggio il pm Paolo Storari ha formulato le richieste di pena per gli ultras dell’Inter: 9 anni per Andrea Beretta, 8 per Marco Ferdico, 6 anni e 8 mesi per Gianfranco Ferdico, Matteo Norrito e Mauro Nepi. Anche dal lato della tifoseria milanista ci sono novità: il pm Paolo Storari ha chiesto 10 anni per Luca Lucci, il re della Sud, accusato di essere il mandante del tentato omicidio di Enzo Anghinelli e di associazione per delinquere finalizzata ad aggressioni ed estorsioni; la stessa pena è stata richiesta anche per Daniele Cataldo, fedelissimo di Lucci e ritenuto l'esecutore materiale del tentato omicidio del 2019. La notizia, però, è un’altra, e riguarda un filone diverso dell’inchiesta. Marco Ferdico ha confessato: è stato lui a organizzare l’omicidio di Vittorio Boiocchi. Avrebbe anche detto dove si trova la pistola con cui Daniel D’Alessandro “Bellebuono” ha ucciso il vecchio ultrà. Le parole di Andrea Beretta, quindi, non sono state smentite. Ferdico ha cambiato avvocato: a difenderlo ora c’è Jacopo Cappetta (che si occupa anche di Christian Rosiello, Francesco Lucci e Riccardo Bonissi della curva Sud), non più Mirko Perlino, ex legale di Andrea Beretta. Perlino non difenderà più Ferdico ma rimarrà il legale di Andrea Pietro Simoncini, il padre di Aurora Simoncini, la moglie di Marco. Dalla confessione di quest’ultimo, però, ci sono due cose che sono rimaste fuori, due argomenti che l’ultrà ha evitato di trattare: il ruolo di suo padre, Gianfranco, in questa storia; e la ragione della presenza di Pietro Simoncini a Milano. Come mai queste assenze? Avevamo già scritto che questo sarebbe potuto accadere. Era probabile che Ferdico avrebbe detto di aver agito da solo prima con l’aggancio di Beretta, poi da organizzatore dell’omicidio Boiocchi e infine da capo ultras; che non c’era nessuna copertura dell’operazione da parte dei clan calabresi; che i movimenti interni alla Nord non riguardavano le famiglie attive nei luoghi dove lui era sceso anni prima per giocare a calcio. Insomma, tra Milano e la Calabria non ci sarebbe nessun legame. Ci sono poi dei motivi personali che hanno spinto Ferdico a confessare: da poco, infatti, Marco è diventato padre per la seconda volta. Il bambino si chiama Antonio, come Bellocco, il rampollo ucciso da Beretta. Possiamo solo ipotizzare il perché di questo nome: un omaggio all’amico scomparso, forse. Oppure un segnale mandato alla famiglia di Totò. Ferdico ha 40 anni, due figli a casa, un’accusa di omicidio premeditato sulle spalle. Forse verrà condannato all’ergastolo. Con una confessione, però, la pena potrebbe essere meno pesante. È azzardato dire che Ferdico si sta per pentire. Un passo nei confronti della Procura, comunque, è stato fatto.

“Io non ero nessuno”
“Io non ero nessuno ai tempi dell'omicidio Boiocchi, né in curva Nord, né fuori”. Questo, in sintesi, quello che Marco Ferdico avrebbe detto a colloquio con i pm. Ha agito solo con le proprie forze, al massimo chiamando il padre di sua moglie per fare il lavoro sporco. E in effetti la dinamica dell’omicidio Boiocchi potrebbe far pensare che Ferdico stia dicendo la verità. Nessun pezzo grosso organizzerebbe un delitto per soli 50mila euro (quelli che Beretta aveva offerto per uccidere Vittorio). Tantomeno la ‘ndrangheta. Troppo pochi i soldi sul tavolo. Alla ‘ndrangheta spesso manco servono i soldi, bastano gli accordi futuri. Simoncini, poi, se davvero fosse un uomo così importante nelle dinamiche mafiose non avrebbe partecipato in prima persona all’operazione. Nel progetto iniziale sarebbe stato lui a dover sparare. Nel tragitto verso casa di Boiocchi, però, cade mentre viaggia sul Gilera insieme a D’Alessandro. Si fa male a una spalla e a sparare sarà Bellebuono. “Vittorio non aveva coperture”, ci dicono persone informate, “gli altri della curva hanno potuto agire senza autorizzazione”. Beretta e Ferdico non avevano bisogno di nessun assenso da parte dei clan. Questo per il caso Boiocchi. Ma per Bellocco, forse, le cose stanno diversamente.

Antonio e Marco: come si conoscono?
Ferdico pare abbia detto ai giudici di aver conosciuto Antonio a Carugate. Beretta, invece, ha confessato al pm Paolo Storari che a far incontrare Marco e Totò sono stati Giuseppe Idà e Vincenzo Monardo. Proprio con un Monardo, Filippo, arrestato il 5 maggio insieme ad altre 6 persone, Bellocco si era confrontato prima di incontrare Alfonso Cuturello e Antonio Favasuli, due tra i pretendenti agli affari della curva Nord. Le parole dei due capi ultrà, se quelle di Ferdico verranno confermate, sarebbero in contraddizione. Resta quindi la domanda: Bellocco era davvero uno che stava lavorando per sé stesso e per la sua famiglia? Forse sì. Un’altra ipotesi, però, è che dietro Totò i movimenti fossero intensi e difficili da decifrare. C’è un’intercettazione al vaglio degli inquirenti in cui Antonio e suo fratello, Umberto “Berto” Bellocco, parlano della Nord. Il secondo dice qualcosa come: “Voglio venire anche io su a Milano”. Ma l’altro avrebbe risposto: “Non se ne parla, qua ci sono io”. Se Totò fosse stato incaricato dai clan di gestire gli affari in curva si sarebbe davvero comportato così? Difficile. E sempre secondo quanto sostenuto da Ferdico c’è un altro aspetto che ci dice che Antonio non era coperto. “Beretta non aveva paura di lui. Una volta disse: ‘Uno così lo schiaccio come una lattina’. Forse aveva capito che Antonio si muoveva solo”. Questo è quello che avrebbe detto Marco a proposito del conflitto tra i due ex compagni. Chi conosce le dinamiche mafiose in Lombardia ci ha detto che questa è una prova che la ‘ndrangheta agisce in modi sempre meno decifrabili, più fluidi, specialmente a Milano. Un cambiamento che si riflette anche sui processi. Capita più spesso che persone della stessa famiglia scelgano linee difensive diverse. In questo contesto è complicato collocare la figura di Bellocco. Allo stesso tempo, bisognerà tenere presente quanto detto da Ferdico, che in questa storia ne esce come personaggio anche lui ambiguo. Uno che si è schierato con Antonio ma che sul polso ha tatuato il nome di Beretta. Lunedì parlerà Andrea Pietro Simoncini, uno dei due esecutori, insieme a Bellebuono, dell’omicidio Boiocchi. Da lui ci si aspettano altri dettagli sulla vicenda Boiocchi, certo. Ma con ogni probabilità anche molte omissioni su tutto il resto. E sempre lunedì sapremo altre cose riguardanti la curva Nord e lo scontro con la Procura di Milano sui biglietti per la finale di Champions League.

I biglietti per la finale di Champions: a che punto siamo?
“La situazione è ferma: niente biglietti per gli ultras. La Procura continua a dire di no”, ci hanno detto alcuni membri della curva. Gli ultras da quello che sappiamo avevano proposto un’altra soluzione alla Procura: 15 biglietti per ogni gruppo. “Non c’è stato niente da fare. Hanno negato la trasferta anche a gente come Christian Lembo o Franco Caravita, che è abbonata da sempre. Non gli è arrivato nemmeno il codice per andare sul sito e comprarsi il biglietto”. Lunedì ci saranno delle novità in questo senso. Ma dalla curva emerge anche un certo fastidio nei confronti dell’Inter: “Se la Procura non mi fa andare a Monaco, e la società non si schiera con gli ultras, come puoi aspettarti che ti seguiremo in trasferta la prossima stagione, magari in partite non di cartello?”. Ad ogni modo, sembra che il “no” sia arrivato da Storari: “La Questura ci aveva dato l’ok, ma Storari è stato inamovibile. In particolare con Bossetti”. Come mai questa durezza nei suoi confronti? “Non gli torna che qualcuno si dichiari leader senza un’elezione, senza una procedura ‘ufficiale’. Che un individuo diventi il capo così, dal niente”. Dinamiche di curva, dicono gli ultras. Meccanismi che vanno oltre le procedure standard. Effettivamente sono cose complicate da spiegare, equilibri assestati nel corso di anni, di trasferte, di lavoro in curva. “Però non c’è nessuna una legge che vieta che ci siano gruppi organizzati”, lamentano ancora i membri della Nord. Insomma, almeno i grandi vecchi a Monaco “ci devono andare”.

Chi ci rimette?
I giocatori, da ciò che sappiamo, avrebbero anche voglia di parlare di questo scontro tra curva e istituzioni. Ma con le nuove regole, che hanno inasprito le sanzioni per i rapporti tra tesserati e ultras – e per non peggiorare la situazione dopo le sanzioni stabilite dalla giustizia sportiva per alcuni membri del club -, è meglio non dire nulla. La strategia potrebbe anche essere stata suggerita dall’avvocato che difende l’Inter a processo: i tifosi attuali, infatti, per lui sarebbero coloro che hanno permesso l’infiltrazione della ‘ndrangheta in curva. “Eravamo solo dei ragazzi, neanche sapevamo cosa succedeva ai vertici. Avremmo dovuto metterci contro i nostri capi? Poi la mafia, se c’era, ha cercato di avvicinare solo alcune figure chiave del tifo organizzato, non la Nord in quanto tale”. Inoltre, secondo quanto ci è stato riferito, Storari avrebbe agito sulla base dell'articolo 8 del decreto legge del 2007 che vieta di “corrispondere in forma diretta o indiretta, sovvenzioni, contributi e facilitazioni di qualsiasi natura, compresa l'erogazione di biglietti e abbonamenti o di titoli di viaggio a prezzo agevolato o gratuito” ai tifosi già raggiunti dal Daspo: “Il problema è che qua la cosa riguarda anche gli incensurati”. La questione, poi, rischia di aumentare la tensione tra tifosi e la società Inter: “Se fanno così per la finale di Champions, il prossimo anno ci tolgono pure l’abbonamento”. Da parte dell’Inter sembra chiara la volontà di distanziarsi da quanto accaduto in curva. Specialmente dal vecchio direttivo. Infatti la sorella di Ferdico è stata licenziata dal club nerazzurro.

