Giorgia Meloni sotto attacco nuovamente? Per cosa questa volta? Per il Pnrr e per la gestione dell’economia del nostro Paese. Nulla di nuovo, se non fosse, però, che abbiamo fatto analizzare la situazione del piano di ripresa e resilienza all’economista più famoso d’Italia (e non solo visto i prestigiosi incarichi avuti all’estero), ex volto Pd, Carlo Cottarelli, dal quale ci aspettavamo tutto fuorché una difesa di alcune mosse della leader di Fratelli d’Italia. È vero o no, quindi, che non stiamo rispettando le scadenze del Pnrr? È vero o no che il mancato voto a Ursula von der Leyen abbia indebolito l’Italia agli occhi dell’Europa? Siamo sicuri che tutto quello che ci raccontano certi giornalisti non sia altro che propaganda? Beh, Cottarelli ha risposto a tutto, anche su chi sarebbe il miglio vincitore per noi tra Donald Trump e Kamala Harris e su come si sia mossa Giorgia nella politica internazionale. Un’intervista sorprendente, sotto tutti i punti di vista. Siamo sicuri che la Meloni non ci sorprenda reclutando proprio il professor Cottarelli nella sua squadra di uomini? Di certo potrebbe far quadrarei bilanci, far salire il Pil e non solo...
Giorgia Meloni e la sua economia sono sotto attacco: si dice che non abbia attuato a pieno il Pnrr. Finora in che modo è stato fatto?
Abbiamo rispettato più o meno tutte le scadenze che dovevamo rispettare e questo ha consentito di incassare i soldi. Il problema è un problema futuro. Noi ci siamo impegnati entro giugno 2026 a completare determinate opere pubbliche e siamo, invece, indietro nella loro realizzazione. Abbiamo speso soldi per queste opere pubbliche più o meno per il 20% del totale. Questo, però, non ha avuto conseguenze perché quello che conta per queste opere pubbliche è il completamento dei lavori.
Cos'è che non è stato realizzato?
Per esempio, tra i vari progetti ci sono certe linee ferroviarie, come la Mantova Cremona Milano che dovrebbe essere potenziata, sono cose di questo genere. Ma c'è un insieme di realizzazioni che devono essere fatte: ferrovie, porti, tutti settori in cui per ora abbiamo speso soltanto il 20%. Questo non vuol dire che i soldi che abbiamo incassato con il Pnrr non sono stati spesi, ma che sono stati spesi per altro, che rientrano nel generale finanziamento del deficit pubblico.
Cioè?
Abbiamo uno squilibrio tra entrate e spese. Questi sono soldi che sono entrati e che ci hanno evitato di emettere il Btp, è un indebitamento verso l'Unione Europea piuttosto che verso i mercati finanziari (il Btp).
In prospettiva questo cosa comporta?
Avvicinandosi le scadenze in cui dovranno essere completate le opere, diventerà più difficile rispettare quei criteri per incassare i soldi. Siamo però stati abbastanza furbi, perché per un grande numero di queste opere abbiamo messo come scadenza finale l'ultima, il giugno del 2026.
Quindi?
Vuol dire che se noi arriviamo al giugno del 2026 e non riusciamo a completare queste opere al massimo perdiamo l'ultima rata del Pnrr che vale 28 miliardi. La Commissione europea ha accettato questa "anomalia”.
Mi sta dicendo che chi dice che la Meloni non ha rispettato le scadenze inganna o mente.
Per ora quelle scadenze sono state rispettate, perché le scadenze non riguardavano realizzare metà dell'opera, le scadenze erano, per esempio, approvare un decreto ministeriale o comunque molti passi procedurali, cosa che la Meloni ha fatto. Poi ci sono stati altri obiettivi per cui il governo italiano ha negoziato con l'Unione Europea riducendo l'ambizione degli obiettivi. Il caso più eclatante è stato quello della costruzione di 264 mila nuovi posti di asili nido e scuole per l'infanzia, per cui il governo italiano ha proposto e la commissione ha accettato, che invece di fare 264 mila ne facciamo soltanto 150 mila. Con questo intendo dire che ci sono alcuni obiettivi originari il cui mancato raggiungimento non avrà conseguenze, perché gli obiettivi sono stati rivisti.
Ci sono anche cose, però, che arrivati a giugno del 2026 ci faranno dire che non ce l'abbiamo fatta.
Da qui l'idea di Giorgetti di dire “aggiungiamo un anno”. Forse l'idea di Giorgetti è quella, quindi, di arrivare fino al giugno 2027. Non so se intendo un anno, un anno e mezzo, ma lui sembra orientato ad allungare le scadenze.
Ed è un qualcosa che l'Europa potrebbe accettare?
Per ora il governo italiano non ha avanzato questa richiesta, è solo un’idea, perché lì la difficoltà è che per cambiare i termini del Pnrr ci vuole l'accordo tra tutti i paesi dell'Unione Europea, cosa che non è per niente facile.
In ottica delle recenti elezioni di Ursula von der Leyen, che non è stata votata dal nostro premier Giorgia Meloni, potrebbero esserci delle conseguenze poco piacevoli?
No. Secondo me questo non sarà molto influente. Io credo che la relazione tra Meloni e von der Leyen sia sempre stata buona e non è stata scalfita dal fatto che la Meloni non l’abbia votata. Credo si siano parlate, che la Meloni abbia posto delle condizioni che la von der Leyen non poteva soddisfare. Tra queste forse avere per l’Italia un vicepresidente esecutivo, espresso tra l'altro da Fratelli d'Italia, che non è comunque parte della commissione formale.
Immagino che lei le abbia detto di non poterlo fare, e, per assicurare di avere una maggioranza senza tanti rischi abbia accettato l'offerta dei verdi. A quel punto era obiettivamente difficile per la Meloni sostenere la von der Leyen.
Quindi nessuna rottura di cui parlano tutti?
No, credo, appunto, che sia una cosa in cui si sono parlate, non penso che ci sia stata alcuna rottura su questo e non penso che l'Italia sia penalizzata per questa mancanza di voto. Formalmente ci siamo schierati con i partiti nazionalisti, cosa che non mi fa piacere, ma non credo che ci saranno ritorsioni.
Non c'è, allora, un eccessivo allarmismo attorno alle mosse, sia per quanto riguarda il Pnrr, che per quanto riguarda la politica internazionale attorno alla figura di Giorgia Meloni?
Non serve l’allarmismo. La questione è che, per quanto riguarda il Pnrr, bisogna oggettivamente eseguire queste opere, e speriamo che si possa recuperare il ritardo. Un recupero che, se anche non ci fosse, comporterebbe il rischio di perdere forse solo l'ultima rata del Pnrr che sono 28 miliardi su 194. Sulla questione della possibile rottura con la von der Leyen, ovviamente è una questione che viene giocata politicamente: l'opposizione fa il suo mestiere e dice che saranno disastri fondamentali, il governo dice che non succederà niente, io tendo a pensare che non succederà niente.
La responsabilità dell'attuazione e della finalizzazione di determinate opere entro l'anno 2026, da chi dipende principalmente?
Dalla pubblica amministrazione italiana che ha il solito tempo nel muoversi e questo a tutti i livelli, dall'amministrazione centrale, alle amministrazioni locali e così via. Poi c'è un'altra parte, perché finora abbiamo parlato soltanto degli investimenti, che riguarda le riforme. La riforma della pubblica amministrazione, della giustizia, della concorrenza e lì di nuovo abbiamo rispettato tutte le scadenze e credo che sulla carta continueremo a rispettarle. Però queste sono aree in cui la condizionalità (cioè mettere condizioni se fai questo ti diamo i soldi) funziona molto male quando si tratta di approvare riforme strutturali. Anche quella del fondo monetario, la cosiddetta condizionalità strutturale sulle riforme funziona male.
Perché questo?
Perché se non hai la volontà di fare effettivamente le cose, tu potrai provare tutte le riforme che vuoi, ma per vedere se effettivamente i tribunali si muovono più rapidamente del passato, non basta approvare norme. Occorre cambiare i comportamenti. Occorre che effettivamente cambino i modi di valutazione dei giudici per incentivare anche la velocità dei processi e non solo il rispetto formale delle norme e così via. Questo è un esempio per la giustizia ma riguarda tutta la riforma della pubblica amministrazione.
Siamo a quasi due anni dall'insediamento del governo Meloni, a oggi, da uomo di numeri, che voto darebbe?
Io per principio non do mai voti, perché si semplifica troppo. Comunque, la sostanza è che prima di tutto non ha fatto disastri. Sui conti pubblici si è tenuto relativamente prudente, anche se non ha risolto il problema vero che è quello di ridurre il debito pubblico. Questo è ancora tutto a venire. Però il governo Meloni dal punto di vista economico mi sembra sia stato orientato da decisioni abbastanza di breve periodo. Mi sembra sia osservabile una riduzione della tassazione e una riduzione della spesa pubblica, quindi una riduzione della dimensione dello Stato, ma per ora si tratta di cambiamenti limitati.
La vittoria di Trump come si posizionerebbe con l'attuale governo e soprattutto con la Meloni?
Con la Meloni non so, Salvini ha detto ottime cose su Trump, mentre la Meloni non è uscita con lo stesso tono. Non ha detto che sostiene la vittoria di Trump, è molto più prudente anche perché come Presidente del Consiglio non sai chi vince, e quindi non ti dovresti mai schierare così esplicitamente. Questo perché poi magari ti trovi ad avere a che fare con qualcun altro che non è colui che hai sostenuto. Quindi la Meloni ha fatto bene a essere cauta, mentre Salvini va avanti per la sua strada, per attirare attenzione. Se vincesse Trump, bisogna vedere poi cosa farebbe effettivamente. Il problema di Trump è la sua imprevedibilità, non si sa che cosa farà. Però è probabile che aumenti l'isolazionismo americano, si riduca la protezione che gli Stati Uniti hanno dato all'Europa in termini di sicurezza. Il che vuole dire più soldi che dovremo mettere nella difesa. Speriamo di no, ma l'ultima volta che Trump era Presidente ha messo dei dazi anche sul nostro acciaio, sul nostro alluminio.
Quindi secondo lei per l'Italia sarebbe meglio una vittoria di Kamala Harris?
Preferisco una vittoria di Kamala Harris, perché di Trump non mi fido. Io ero in America il 6 gennaio, ero a Washington quando lui ha arringato la folla che poi ha dato l'assalto al congresso. Dopo quelle scene, per me è incredibile che possa essere ancora considerato come Presidente.