“La vita di un videomaker è dietro alla telecamera, non davanti. Non mi sono mai mostrato tanto nei video, né in quelli di Naska né in quelli di Luca. Eppure qualcuno di voi è qui, a leggere questa storia e mi segue grazie a loro. Eravamo in pochi con Luca nei suoi ultimi momenti. Quella maledetta gara era lontana e difficile da raggiungere, l'opzione migliore era 9h30 di auto... non era facile stargli vicino come invece succede nelle gare in Italia. Abbiamo vissuto momenti davvero, davvero difficili. Non potete immaginare. lo personalmente, mi sto riprendendo solo adesso anche grazie ai miei 2 colleghi, e agli amici di Luca che vivono qui vicino. Uscire e parlare di lui col sorriso con chi lo conosceva, è molto più d'aiuto che stare a casa da solo e pensare a lui piangendo. Quando mi chiedono ‘come va?’ la mia risposta è ‘un po’ meno di merda di ieri’. […] L'unica cosa certa è che io, 6chris.betti47 e 6simo.cattaaa stiamo lavorando per voi, perché Luca era entusiasta dei prossimi video che sarebbero usciti e in sua memoria quei video usciranno. È dura, ma ce la faremo”.
Sono le parole di Matteo Vegetti, amico e videomaker di Luca Salvadori. La sua morte improvvisa lascia aperti anche molti progetti che erano stati avviati e i suoi collaboratori sono decisi a portarli a termine a pubblicarli. Ma si può fare? La risposta breve è sì, ma ci sono molte strade che potrebbero aprirsi. Dalla possibilità di mantenere in vita il canale di Salvadori, curandone l’identità digitale, una “seconda vita”, fino allo scenario non più così fantascientifico di ricorrere all’uso del deepfake per creare contenuti digitali nuovi che potrebbero apparire alla maggior parte dei follower, che non hanno conosciuto fisicamente Salvadori, tanto autentici quanto i primi. Ne abbiamo parlato con Davide Sisto, filosofo e tanatologo dell’Università di Torino, uno dei maggiori esperti a livello internazionale del rapporto tra morte e mondo digitale, in particolare mondo social. Alcuni dei suoi lavori, come La morte si fa social e Ricordati di me sono diventati saggi fondamentali per lo studio di queste tematiche e ora è appena tornato in libreria con Virtual influencer. Il tempo delle vite virtuali (Einaudi, 2024).
Gli amici continueranno a pubblicare, probabilmente dall’account di Salvadori, gli ultimi video fatti insieme. In linea di principio per quanto potrebbero andare avanti? Anche con contenuti originali prodotti senza di lui?
Non c'è un tempo predefinito. Ho un caro amico dj torinese morto due anni fa a cui abbiamo dedicato un gruppo su Facebook, su cui saltuariamente continuiamo a condividere ricordi. Oppure ci sono profili di personaggi come Alessandro Dal Lago ancora attivi, gestiti dalla moglie. Certo, con il tempo le attività diminuiscono. Ma per qualche anno questo tipo di iniziativa può andare avanti. Poi, sai, con il tempo si volta pagina. In fondo è anche giusto sia così.
Per il 90% dei follower Salvadori era solo una personalità social. Oggi molti account, come hai spiegato nelle tue ricerche, vengono lasciati in eredità e vengono usati proprio per mantenere in vita l’identità virtuale del defunto. Per chi lo conosce che effetto può fare?
Anche qui, dipende da chi era il morto e da chi sono i follower. Per dei genitori che hanno perso un figlio, questa “sopravvivenza” crea tanto dolore quanto consolazione. Perché la “vita” del profilo indica tanto l’amore da parte degli altri per il morto quanto l’impossibilità di lasciare andare la persona defunta e cominciare veramente la vita senza di lei. Forse, per quello che ho visto, è più semplice per i figli che hanno perso genitori anziani. Ma non c'è una regola oggettiva, specie in un’epoca in cui si fa fatica ad accettare il lutto. Mi ricordo un caso che racconterò nel prossimo libro. Una studentessa romana mi contatta nel 2018 per chiedermi consigli sulla tesi. Ci sentiamo al telefono. Poi non l’ho più sentita. Un giorno mi torna in mente e cerco il suo profilo Facebook e scopro che è morta. Nel 2019. Da quell’anno la sua pagina è animata dai ricordi di chi l’ha amata. Credo che in fondo casi del genere producano effetti diversi in chi ha patito la perdita. A volte positivi a volte negativi. E lavorando parecchio con psicologi e psicologhe so quanto è difficile elaborare oggi un lutto a causa dei social.
C’è chi sostiene sia utile per l’elaborazione del lutto. Ma non è esattamente il contrario (cancellare la perdita)?
Può fare bene per chi ha bisogno di una dimensione pubblica e non privata del lutto. Ma può anche generare una non accettazione radicale della perdita. TikTok merita a proposito un discorso lungo da fare. Magari ci torneremo. Ci sto lavorando su.
Il futuro non è solo quello della morte che “si fa social”, per usare una tua espressione. Ma anche che “si fa IA”. Quali sono i rischi del deepfake di persone scomparse? Servono dei permessi?
Qui entra in gioco l'atavica non accettazione della fine. Gli studiosi spesso parlano a proposito di immortalità ma siamo solo nel campo della riproduzione, attiva ma pur sempre di riproduzione si tratta. Fa bene parlare attivamente con un morto? Di nuovo, dipende da chi è il morto e da che rapporto abbiamo avuto con lui. Alcuni lutti traumatici non hanno bisogno di queste innovazioni. Altri possono invece viversele come una forma moderna di memoria. Ma, ripeto, bisogna capire che la riproduzione non coincide con una persona viva. E la riproduzione va presa per quello che è. Bisognerebbe fare educazione su questo aspetto.