Giulia Innocenzi, giornalista investigativa, da tempo ha deciso di focalizzare le sue inchieste nel campo dei diritti degli animali, attraverso le quali ha scoperchiato le brutali violenze che avvengono negli allevamenti intensivi, oltre agli intrecci politici ed economici che si nascondono dietro il settore zootecnico. È con questo intento che vede la luce il suo primo documentario, intitolato Food for Profit, prodotto e girato insieme a Pablo D’Ambrosi. Noi di MOW l’abbiamo intervistata, per capire da lei cosa significa muoversi all’interno dei cunicoli della produzione e del consumo di carne, e il legame tra lobby e potere politico a livello europeo: “Giornalisticamente è uno degli argomenti più interessanti, ma ancora inavvicinabile e inaccessibile”, ha premesso la Innocenzi. È l’Europa stessa, infatti, che eroga miliardi di euro agli allevamenti intensivi nonostante la loro mancanza di sostenibilità ambientale. Un’Europa che è green solo di facciata e in cui alcuni rapporti tra gli eurodeputati e le realtà del mercato agroalimentare non sono del tutto chiari. Per questo motivo, Giulia Innocenzi si chiede: “È possibile che un eurodeputato con un ruolo chiave nel decidere come vengono investiti i miliardi di euro destinati all’agricoltura, sia pagato dall’agrobusiness?”. Ecco l'intervista, dove sottolinea tutto quello che non torna di questo mercato.
Giulia Innocenzi, quando hai deciso di diventare vegana?
È una scelta avvenuta gradualmente. Qualche anno fa ho avuto dei problemi di salute che mi hanno scombussolata. In primis, un’alopecia che aveva coinvolto il mio cuoio capelluto e successivamente un’infezione renale che mi ha fatto finire in ospedale per cinque giorni. Da lì ho capito che dovevo dare una svolta alla mia vita e prendermi cura del mio corpo. Ho iniziato cambiando il mio rapporto con il cibo, dopo aver letto un libro che mi illuminò, quello di Jonathan Safran Foer, Se niente importa, che tratta il tema degli allevamenti intensivi e il nostro rapporto con il consumo di carne. Pensavo che il modo di produrla in quel modo così crudele riguardasse solo gli Stati Uniti, e non il pregiato “Made in Italy” così tanto sbandierato, ma essendo una giornalista, ho voluto indagare sulla realtà della produzione di carne latte e formaggio nostrano. Quando ho scoperto che il problema degli allevamenti intensivi riguarda anche il nostro paese, ho deciso di smettere di mangiarla.
Da giornalista di inchieste anche a sfondo sociale perché poi hai deciso di dedicarti completamente alla battaglia animalista?
Perché ho capito che è un tema sottaciuto, di cui si occupano in pochi. A livello giornalistico è uno degli argomenti più interessanti ma inavvicinabile e inaccessibile. Per ottenere le immagini di quello che succede negli allevamenti intensivi, bisogna entrare di notte o sotto copertura con telecamere nascoste, perché nessuno deve vedere, nessuno deve sapere. Questo è sintomatico di quanto sia urgente affrontare l’argomento e quanto sia difficile diradare la cappa di omertà che lo avvolge. Siamo tutte persone che rischiamo in prima persona sia legalmente, a causa delle numerose minacce di denunce penali, sia per la nostra incolumità: più volte c’è capitato di dover fuggire per non farci beccare.
Avete ricevuto minacce per questo documentario?
No, minacce personali no, ma abbiamo ricevuto una diffida da uno dei più grandi produttori di carne investigati che fattura milioni di euro.
Non potete dire chi?
No, purtroppo la diffida serve proprio a questo. Il documentario è autoprodotto quindi non abbiamo una tutela legale come avviene nei programmi della Rai o di Mediaset. Non possiamo permetterci di affrontare una battaglia in tribunale contro un’azienda così potente con milioni di fatturato l’anno, che ci fa causa per risarcimento danni. Inizialmente non l’ho presa bene, l’ho vissuta come una sconfitta personale: vincono sempre loro, mi sono detta, mi stanno costringendo a togliere il loro marchio. Ma poi abbiamo ragionato e capito che a noi principalmente interessa denunciare un sistema produttivo che accomuna tutti i marchi, il cui unico fine è quello di massimizzare il profitto e ridurre i costi e che per farlo, oltre a rendere un inferno la vita degli animali negli allevamenti intensivi, inquina l’ambiente. Io e Pablo D’Ambrosi regista insieme a me di Food for Profit, abbiamo dovuto creare sia una società di produzione che di distribuzione, perché nessuno ha finanziato il documentario. Le spese, per la consulenza di numerosi legali dei paesi europei investigati, sono state già molto ingenti. Comunque sul nostro sito abbiamo creato una raccolta fondi proprio per sostenere tutti questi costi.
Come è stato accolto il documentario al Parlamento europeo?
Io ero molto tesa, sentivo il peso della responsabilità che i tre eurodeputati che hanno voluto e presentato il documentario al Parlamento europeo, tra cui Ignazio Corrao, mi avevano accordato. Non avevano visto nemmeno un frame del film, si sono completamente affidati a me per denunciare il sistema di finanziamento pubblico degli allevamenti intesivi. Avevo paura che si sarebbero risentiti nello scoprire che avevamo filmato di nascosto dei loro colleghi. Invece sono stati felici di aver ospitato il film perché anche loro vogliono denunciare questa ipocrisia dell’Europa finta green, che da un lato sta mettendo in atto tutta una serie di provvedimenti per limitare l’inquinamento, ma dall’altro continua a foraggiare con miliardi di euro gli allevamenti intensivi, che ne è una delle principali cause a livello mondiale.
Reazioni dal Ministro dell'Agricoltura, Francesco Lollobrigida?
No, silenzio assoluto e mi stupisce anche il silenzio intorno a questi eurodeputati filmati di nascosto, perché alcuni hanno mostrato un’apertura nei confronti di progetti mostruosi di mutazioni genetiche sugli animali. Uno di questi, Paolo De Castro, percepisce un’entrata cospicua (oltre a quella da europarlamentare, nda) dalle aziende dell’agrobusiness. Allora io mi chiedo, in un’ottica di una politica libera dai conflitti di interesse, proprio perché i politici siano al servizio dei cittadini e non dei grandi gruppi organizzati, è possibile che un eurodeputato con un ruolo chiave nel decidere come vengono investiti i miliardi di euro destinati all’agricoltura, sia pagato dall’agrobusiness? De Caro riceve circa 70mila euro l’anno da diversi gruppi industriali, la maggior parte dei quali legati all’industria della carne.
Perché? Che ruolo riveste fuori dal Parlamento?
Lui è presidente della fondazione “Filiera Italia”, che conta le aziende più potenti dell’industria della carne, come Amadori, Cremonini, McDonald's, ed è consulente del consorzio Grana Padano. È questa la politica che vogliamo? È normale? È giusto? Perché riguardo questo palese conflitto di interessi nessuno ancora si è espresso? Lui è stato anche presidente della Commissione agricoltura, il suo peso sulla destinazione dei 386 miliardi di euro in 7 anni della Pac (Poltica agricola comune) è rilevante. Se riceve soldi da questi gruppi industriali, voterà mai contro coloro che lo finanziano? Io le domande le faccio ma nessuno risponde
Dov’ è possibile vedere il documentario? Non avendo un distributore immagino sia complicato.
Per fortuna stiamo avendo numerose richieste di proiezioni sia in Italia che in Europa, ci stanno arrivando mail ogni tre minuti. Sul sito di Food for Profit comunque è possibile controllare la lista dei cinema disponili, le date sono in continuo aggiornamento. Devo dire che non mi spettavo tutto questo interesse, per me è commovente. La divulgazione delle immagini di quello che succede nei meandri oscuri degli allevamenti intensivi ha una potenzialità enorme, può davvero cambiare il mondo. Marzo sarà per me un mese impegnativo, andrò in ogni singola città che vorrà proiettare il documentario. Adesso è un momento storico in cui possiamo rivoluzionare il nostro approccio all’ambiente e scegliere il cibo che acquistiamo. Sempre più persone stanno diventando consapevoli che questo è un modello che nessuno di noi vuole, nessuno può dire che gli allevamenti intensivi siano una bella cosa.
Il disinteresse da parte dei personaggi del mondo dello spettacolo italiano, sulla questione, come lo interpreti?
Uno dei pochi che sta sostenendo strenuamente il nostro documentario è il regista Gabriele Muccino, ma in effetti in Italia sto riscontrando un’apatia generalizzata da parte del mondo dell’arte. Sembra ci sia una gran paura di schierarsi per non dover subire conseguenze a livello lavorativo. Invece gli artisti devono avere un ruolo pubblico attivo nel dibattito culturale e sociale. Mi auguro davvero che possano darci una mano a divulgare il nostro documentario.
Come rispondi alle critiche di chi afferma che dovresti occuparti di questioni più importanti?
Se non capiamo che questo è un problema che ci riguarda tutti abbiamo davvero poche speranze di poter migliorare la vita su questo pianeta. Sono anni che mi dedico a divulgare informazioni su quanto siano distruttivi gli allevamenti intensivi. Ho studiato carte su carte, ho portato avanti inchieste difficili. Questa è la mia missione, ognuno ha la propria, io non giudico quella degli altri e vado avanti per la mia strada.