La polemica sull’uso dei manganelli sembra non volersi placare. I fatti di Pisa, che hanno visto degli studenti manganellati da parte di alcuni poliziotti, fanno ancora discutere. Prima c’è statala reprimenda da parte del presidente della Repubblica Sergio Mattarella nei confronti dell'uso dei manganelli, poi c'è stata la risposta non immediata del presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che ha fatto luce su quanto sia importante non delegittimare il corpo di polizia. Si è aggiunto di recente un intervento del capogruppo leghista Edoardo Ziello, secondo cui “le manganellate sono colpa del fallimento educativo di famiglie e insegnanti”. Ma è davvero colpa solo delle famiglie e delle scuole? Quanta responsabilità ha la politica in tutto ciò? Sono folli le frasi di Ziello? Lo abbiamo chiesto a Giovanni Sallusti, da poco nominato direttore di Radio Libertà, nonché editorialista di punta di Libero, secondo cui c’è della verità nelle parole di Ziello, che ritiene “una semplificazione brutale, ma che racchiude una sua verità. La moda culturale, da decenni, è una moda figlia del pensiero dominante ed è una moda anti divise. Questa è una scelta che il pensiero di sinistra ha fatto da tempo, quando scelse di non ascoltare un tizio che si chiamava Pierpaolo Pasolini”. E su Libero e Il Giornale che hanno attaccato la Meloni: “Non sono delle gazzette di partito, ma sono dei giornali, voci collocate in un'area culturale. Sarebbero venuti meno alla loro missione se, all'indomani di una sconfitta elettorale non avessero analizzato questa sconfitta”. E su Berlusconi, uomo delle mediazioni politiche: “Lui manca molto dal punto di vista della saggia tessitura della coalizione. Ma Berlusconi manca al di là del centrodestra”. E attacca Selvaggia Lucarelli che dà lezioni di giornalismo a Nicola Porro.
Giovanni Sallusti, hai letto le dichiarazioni di Edoardo Ziello in merito alle manganellate?
È una semplificazione brutale, ma che racchiude una sua verità, nel senso che la moda culturale da anni, se non da decenni, è una moda figlia del pensiero dominante ed è una moda anti divise.
Cosa intendi?
Che culturalmente si sta sempre contro i poliziotti, contro gli uomini e le donne in divisa, contro le forze dell'ordine a vario titolo. Questa è una scelta che il pensiero di sinistra ha fatto da tempo. Il pensiero di sinistra ha mantenuto un'egemonia nella cultura, e se vuoi questa è anche una colpa della destra culturale, e questa è una scelta che la sinistra ha fatto tanto tempo fa, quando scelse di non ascoltare un tizio che si chiamava Pierpaolo Pasolini. Lui in diretta nel 1968 spiegava perché stava con i poliziotti.
Che cosa disse?
Che i poliziotti erano i proletari di allora contro i piccolo borghesi viziati. Ora quello schema, mutatis mutandis, non è replicato pari pari, ma è quello che è avvenuto anche in questi giorni. Perché si é parlato delle cariche della polizia, ma non di quello che c'è stato prima.
E che cosa c'è stato prima?
Prima non c'era una sfilata di liceali che volevano semplicemente manifestare. O meglio, c'era anche quello, ma nei fatti incriminati ci sono insulti agli sbirri infami e tentativi di deviare dal percorso. Nel caso di Firenze ci sono stati tentativi di assalire il consolato degli Stati Uniti, che non credo sia una cosa concessa, anche a Pisa c'è stato un tentativo di deviazione dal percorso iniziale. Poi a un certo punto gli agenti si sono ritrovati schiacciati tra il corteo e i loro mezzi e hanno caricato. Io sono un liberale, per cui, se ci sono stati degli agenti che si sono resi protagonisti di singoli eccessi, vanno perseguiti anche duramente. Perché se sei in divisa non devi andare al di là di quello che è uno stato di diritto, per cui questo è assodato, ma il problema culturale contro la polizia è a monte. La responsabilità educativa c'è. C'è una cultura non solo contro le divise, ma anche una cultura della deresponsabilizzazione di questi ragazzi, per cui ciò che è successo è l'esito anche di ciò di cui stiamo parlando.
Nicola Porro è stato molto netto su questo tema ed è stato pesantemente attaccato da Selvaggia Lucarelli.
Sì, ho visto. Ma sai, la Lucarelli ha dato lezioni di giornalismo anche al New York Times, quando disse che l'inchiesta sugli stupri commessi da Hamas il 7 ottobre per lei non stava in piedi. Per cui per lei dare lezioni di giornalismo a Nicola Porro è proprio l'abc. Non si capisce poi mai il pulpito della Lucarelli, ma al di là di questo io sono sostanzialmente d'accordo con Nicola. Bisogna distinguere, perché il diritto a manifestare è sacro e, se non ci fosse, saremmo nella Russia di Putin, che a me non piace minimamente, anche se non so perché piaccia ad alcuni che si definiscono di centrodestra. Detto ciò, il diritto a manifestare non è il diritto ad insultare e assaltare le divise, tentare di uscire dal tracciato per fare delle azioni offensive, come voleva essere quella contro il consolato americano. Per tacere ovviamente di quello che poi è avvenuto a Torino, in cui una volante della polizia è stata proprio assalita da un gruppo di antagonisti dei centri sociali. Lì non ho visto tutta quella solidarietà che c'è stata nei confronti dei ragazzi manganellati. Non ho visto tutta questa solidarietà nei confronti di poliziotti assaliti da dei criminali, perché quelli erano dei criminali.
Toni Capuozzo su MOW ha messo in discussione il modo in cui sia espresso il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, dicendo che non sa quanto i poliziotti siano sentiti suoi figli in quelle ore. Sei d'accordo?
È una frase molto dura, ma credo che sia l'esito involontario rispetto alle parole di Mattarella che però non avevano quello scopo, ma è un esito possibile. Consideriamo che il poliziotto è l'uomo dello Stato in prima linea, peraltro tendenzialmente sottopagato. Questo lo scriveva Pasolini allora ma avviene anche adesso. L'uomo dello Stato, sottopagato, che si vede insultato, magari assalito dal figlio di papà, come scriveva Pasolini, sbertucciato dal mainstream e non difeso da nessuno, può aver vissuto l'esternazione della prima carica dello Stato solo in modo critico verso di lui. Secondo me non lo era, ma credo che molti poliziotti possano averla effettivamente vissuta così.
Le parole che invece hanno testato scandalo sono state quelle del premier Giorgia Meloni.
Esatto, c'è stato lo scandalo al contrario. La premier ha detto un'ovvietà, ovvero che è molto pericoloso che lo stato non sia di fianco ai suoi uomini in prima linea.
E allora perché è stata così tanto attaccata alla Meloni?
Intanto c'è una strumentalizzazione, c'è questo gioco di mettere Giorgia Meloni contro Mattarella. Se prendi le prime pagine di Repubblica degli ultimi giorni, a tutta pagina si vuole suggerire che c'è una tensione tra di loro. Poi però il problema, in realtà, non figura da nessuna parte, è un desiderio di Repubblica che vuole che sia così. È una grandissima strumentalizzazione politica.
A proposito di prime pagine, come mai sia Libero che Il Giornale hanno attaccato la Meloni tramite le parole del direttore Mario Sechi e quelle di Augusto Minzolini?
Sia Libero che Il Giornale, che conosco entrambi avendoci lavorato, ci dimentichiamo che non sono delle gazzette di partito, ma sono dei giornali, voci collocate in un'area culturale. Secondo me sarebbero venuti meno alla loro missione se, all'indomani di una sconfitta elettorale, seppur di misura, non avessero analizzato questa sconfitta. Io concordo con gran parte di queste analisi.
Su cosa ti trovi d'accordo?
In Sardegna si sono sbagliati i tempi e i modi della candidatura. Se rimane un errore solo sardo può essere addirittura positivo, prendendolo quindi come casus belli per impostare una politica diversa. Se, invece, questo è il metodo di gestione di una coalizione, allora abbiamo un problema e hanno ragione Libero e Il Giornale.
Ma pensi che ci sia effettivamente una frattura così forte tra la Lega e Fratelli d'Italia come si vuole far credere?
Credo che il racconto sia eccessivo ed è meramente strumentale. Ti faccio un esempio: ci raccontano da giorni che Matteo Salvini starebbe perdendo il controllo della Lega, ma questa è una cosa che dicono da dieci anni e che finora non è ancora successa. Per cui, anche solo per una questione statistica, sono piuttosto scettico sul racconto del mainstream. Il problema secondo me non è di tensione, ma di gestione del centrodestra. Io, nel mio piccolo, su Radio Libertà, che dirigo, ho semplificato questo problema facendo una sorta di appello: Giorgia ricordati di Silvio.
In quale senso la Meloni si dovrebbe ricordare di Berlusconi?
Nel modo in cui lui gestiva il centrodestra, anche quando lui era a percentuali pazzesche sopra il 35%, anche quando tra lui e la Lega c'era magari un fossato superiore rispetto a quello che c'è adesso.
Mi stai dicendo che i panni sporchi si lavano in famiglia?
Sì. E soprattutto è pericoloso mettere l'alleato nell'angolo di fronte a un out out, o si fa così poi io vado dritto lo stesso. Berlusconi questo non l'ha mai fatto. Anzi, ha sempre dato a Bossi amministrazioni locali importanti, ha sempre riconosciuto le sue battaglie. Berlusconi diceva “mi faccio concavo e convesso a seconda della situazione”. Ecco, dovremmo ricordarci questa lezione berlusconiana.
Quanto manca quindi Berlusconi al centrodestra?
Dal punto di vista della saggia tessitura della coalizione molto. Ma Berlusconi manca al di là del centrodestra. Manca come personaggio e come storia nazionale. La storia non solo politica di Berlusconi è irripetibile e forse la sua grandezza è addirittura quella pre 1994, quella di creatore di grandissime aziende di successo. Forse è riduttivo dire che Berlusconi manca al centrodestra, perché credo che manchi proprio al paese.