Troppo spesso la tutela dell'ordine si trasforma in abuso di potere, ed è semplicemente intollerabile che un cittadino venga picchiato, torturato o addirittura ucciso da chi dovrebbe lavorare per proteggere la sua incolumità. A maggior ragione se questo avviene in Paesi dichiaratamente democratici, dall'Italia agli Stati Uniti. Il caso di Matteo Falcinelli, picchiato e trattato brutalmente dalla polizia di Miami, ha risvegliato il dibattito. Dopo aver sentito il parere dell'avvocato Fabio Anselmo, abbiamo contattato anche Ilaria Cucchi, la senatrice che dopo aver subito il dramma della violenza di Stato nella propria famiglia, con la morte del fratello Stefano, ha deciso di dedicare la propria vita, privata e politica, ai diritti dei cittadini contro la brutalità immotivata delle forze dell'ordine.
Pare che Matteo Falcinelli abbia subito violenza dopo aver chiesto agli agenti di vedere il loro numero identificativo, e che venissero rispettati i suoi diritti. La cultura dell'impunità, come l'ha chiamata lei, è un fenomeno globale?
Ci sono purtroppo tante evidenze che dimostrano come la violenza delle forze di polizia sia un fenomeno che va oltre i confini degli Stati. Ovviamente ci sono delle differenze tra regimi e regimi. Proprio perché sono fondate sul rispetto dei diritti della persona, le democrazie devono prevedere che chi ha per legge maggiori strumenti per nuocere sia sottoposto, per questo, a un maggiore controllo della legge. E purtroppo questo non succede sempre. Quando ho proposto l’introduzione dei codici identificativi e delle body cam, pensavo proprio a questo. E continuo a pensare che sia necessario.
Sui casi di violenza italiani e l'opinione pubblica, c'è forse più attenzione per un connazionale all'estero?
No, l’attenzione di fronte alle immagini di Matteo, e a quelle di Riccardo Magherini e di George Floyd, penso sia sempre altissima. Quello che cambia però è il coinvolgimento che possiamo chiedere alle nostre istituzioni, perché nel caso di violazioni nei confronti dei nostri connazionali abbiamo più canali per farci sentire. Spero che se ne ricordi anche il governo.
Le immagini che abbiamo visto ricordano quelle di Ilaria Salis in Ungheria. Sono casi simili o differenti?
Sono simili e differenti. Sono simili perché in entrambi i casi c’è una violazione dei diritti da parte delle istituzioni e per mano delle forze di polizia di un Paese. Ma sono anche differenti, perché per le informazioni in nostro possesso escludo che si possa considerare Matteo Falcinelli come un detenuto politico. Nel caso di Ilaria Salis, invece, il suo orientamento antifascista è la principale e illogica ragione dietro la sua detenzione.
Tajani ha pubblicamente condannato entrambi i casi, ma sulla Salis ha aggiunto che politicizzare il caso non serve a nulla. Ha ragione o è un doppiogiochismo?
Non ha ragione, ma non è neanche “doppiogiochismo”. Il gioco della destra italiana nei confronti dell’Ungheria di Orban è sempre stato lo stesso. Altrimenti come dovremmo giudicare il silenzio del governo nei confronti della famiglia per quasi un anno, oppure gli assurdi consigli che il padre di Ilaria Salis, Roberto, ha detto di aver ricevuto dai suoi esponenti? La politicizzazione del caso è l’unica via per ridare dignità a una persona che ogni giorno è violata due volte: dalla violenza, ungherese, e dall’indifferenza, italiana.
Qualcuno ha scritto che il governo era a conoscenza del caso Falcinelli ma non ha detto nulla per non rovinare l'annuncio del rientro di Chico Forti. Marketing elettorale o strategia diplomatica?
Proclami roboanti e silenzi assordanti sono la grande strategia di marketing di questa destra. Una destra che ogni giorno trova una scusa buona per non farsi sentire quando i diritti vengono violati, mentre non perde occasione per rilanciare i propri risultati, anche e forse soprattutto quando questi sono oltremodo grotteschi. Basta dare un’occhiata al profilo Twitter del ministero dell’Interno e si capisce bene a cosa mi riferisco.
Da George Floyd a Falcinelli, passando per Chico Forti, la polizia americana sembra avere un pregiudizio razziale. Anche verso gli italiani?
Non mi sembra corretto definire come un semplice pregiudizio della polizia il razzismo delle istituzioni, che è cosa ben diversa. Stati Uniti e Italia condividono un approccio punitivo che varia da minoranza a minoranza e che si ripercuote molto al di là delle forze di polizia e degli istituti di pena. Per gli Stati Uniti, non penso che oggi la violenza e il razzismo nei confronti degli afroamericani e quella verso gli italiani possa essere messa sullo stesso piano, in particolare allargando il raggio delle disuguaglianze.