Elena Basile, diplomatica italiana, ex ambasciatrice in Svezia e Belgio, nota anche per le sue pubblicazioni e i suoi interventi su temi politici e sociali, ha dato la sua versione sul caso di Cecilia Sala con un commento pubblicato dal Fatto Quotidiano. La Basile, nell’articolo in questione, affronta con toni duri e appassionati il tema della manipolazione mediatica e degli interessi geopolitici occidentali. La giornalista incarcerata in Iran viene presentata come vittima indiretta di un gioco di potere più ampio, in cui la sua figura diventa strumentale per rafforzare una narrativa di parte. Basile scrive: “Una giovane giornalista, Cecilia Sala, mandata allo sbaraglio e non protetta sufficientemente dal suo giornale, è stata arrestata dall'Iran come pedina di scambio per un altro arresto, ugualmente criminale, nei confronti di un imprenditore che vendeva tecnologia a Teheran”. L’ex ambasciatrice evidenzia come il caso di Sala sia emblematico della strumentalizzazione delle singole vicende umane all’interno di strategie geopolitiche. Secondo Basile, infatti, la giovane giornalista è stata utilizzata come pedina in uno scambio tra potenze, senza che vi fosse una reale attenzione alla sua protezione o alla sua situazione personale.
Ciò che conta, per Basile, è come il caso di Cecilia Sala possa essere raccontato e sfruttato mediaticamente per avvalorare certe posizioni politiche. È in questo contesto che viene messa in luce l’ipocrisia dei media occidentali, pronti a denunciare con vigore le violazioni dei diritti umani in Iran, ma silenziosi di fronte ad altrettante violazioni da parte degli alleati degli Stati Uniti: “I pasdaràn, recita Washington, grazie alla tecnologia dell'imprenditore avrebbero ucciso soldati statunitensi. Ci sarebbe da ridere. I manager di Leonardo e delle tante imprese occidentali che vendono armi nei teatri di guerra di quante morti sono allora responsabili?”. Basile denuncia con fermezza quella che definisce una sorta di “classe di servizio” dell’Occidente, accusata di coprire le responsabilità dell’espansionismo atlantico e di giustificare le atrocità con una narrazione parziale e manipolata. Secondo l’autrice, i media e la diplomazia europea applicano “doppi standard”, condannando le carceri iraniane ma tacendo sulle esecuzioni e sulle condizioni delle prigioni statunitensi. Questo doppio binario comunicativo, per Basile, rappresenta uno dei pilastri della propaganda che mantiene intatta l’egemonia dell’“impero atlantico”.
La vicenda di Cecilia Sala, dunque, diventa un tassello di un discorso più ampio sulla “mistificazione della realtà operata dai media occidentali”. Basile accusa apertamente la stampa di aver smarrito la propria funzione originaria di controllo del potere, piegandosi invece agli interessi delle élite politiche ed economiche. La narrazione intorno all’arresto di Sala, secondo Basile, non è guidata da un’autentica preoccupazione per i diritti umani, ma è funzionale a rafforzare un preciso schema interpretativo che dipinge alcuni governi come “terroristi” e altri come “difensori della libertà”. Nel suo ragionamento, l’autrice allarga poi il discorso, collegando la vicenda personale della giornalista italiana ai più ampi scenari di guerra e destabilizzazione politica in Medio Oriente e in Europa orientale. La critica si estende all’ipocrisia delle leadership europee e al loro allineamento con le strategie statunitensi, specialmente in Ucraina e nel Caucaso. “L'Europa può finanziare insieme agli Stati Uniti rivoluzioni colorate e negare il risultato di elezioni la cui regolarità è stata riconosciuta dall'Osce”. Questa frase sottolinea come, secondo Basile, l’Occidente agisca senza scrupoli quando si tratta di preservare i propri interessi strategici. L’appello finale di Basile è accorato: invita a “rompere il silenzio” su ciò che sta accadendo a Gaza, in Ucraina e in altri teatri di guerra. Denuncia l’apatia delle classi dirigenti e la complicità degli intellettuali, accusati di non avere il coraggio di sfidare la narrativa dominante. E mentre i giornalisti come Cecilia Sala diventano simboli involontari di queste dinamiche, la vera responsabilità, per Basile, ricade su chi avrebbe dovuto proteggerli e invece li ha abbandonati a un destino già scritto. La diplomatica conclude con un appello: “In nome delle vittime applichiamoci alla verità, senza false indulgenze, perché questo è il tempo della denuncia e della giustizia”.