Nel carcere di Rebibbia, braccio G8, è rinchiuso Franco, uomo di 78 anni e invalido civile, porta il pacemaker perché è malato di cuore. Si porta dietro la sacca piena di urina collegata al catetere attaccato suo corpo. “Ed eccoci qui a darvi l’ennesimo pugno nello stomaco con immagini dal carcere che sembrano uscite da qualche reportage in zone di guerra”. È uno dei racconti dalla prigione di Gianni Alemanno, ex sindaco di Roma con una storia nell’estrema destra neofascista, vicino al Msi e ministro dell’Agricoltura nel governo Berlusconi. Da gennaio è in galera dopo che nel 2022 era stato condannato a un anno e dieci mesi per traffico di influenze e finanziamento illecito. Inizialmente gli fu permesso di scontare la pena ai domiciliari, poi essendosi dimostrato “del tutto sprezzante rispetto all’esecuzione della condanna” venne condotto in carcere. Da dietro le sbarre manda dei dispacci, delle lettere che poi vengono pubblicate su Facebook, talvolta firmate da Fabio Falbo, “lo Scrivano di Rebibbia”: i suoi “diari di cella”, testimonianze dal suo “fronte”. Voci che riportano immagini e storie esemplari dell’attuale situazione carceraria, del trattamento ignobile riservato ai detenuti. Alemanno si rivolge anche all’attuale ministro della Giustizia: “Siamo giunti al 23 novembre e i termosifoni sono completamente spenti, mentre nevica in tutta Italia e le temperature scendono anche a Roma. Radio carcere ci dice che le caldaie sono rotte e che anche gli agenti della Penitenziaria sono nelle nostre stesse condizioni: non solo qui al braccio ma anche nella loro caserma, attigua a Rebibbia, i termosifoni sono spenti e l’acqua calda dopo le otto di sera non arriva neanche nelle docce, per quelli che smontano dagli ultimi turni di guardia”. I secondini vestiti come il “7° Cavalleggeri a Little Big Horn”, mentre il Generale inverno avanza. “Presto o tardi la caldaia sarà riparata e i muri gelidi di Rebibbia cominceranno un poco a riscaldarsi (niente di che, ma meglio di niente), ma il sovraffollamento continuerà a crescere. Forse il Maresciallo Nordio, come ha detto che il sovraffollamento aiuta a evitare i suicidi, perché i detenuti si sorvegliano tra di loro, presto dirà che aiuta anche a combattere il freddo perché, accatastati gli uni sugli altri, ci riscaldiamo tra di noi”.
Vecchi e giovani si trovano a pochi centimetri l’uno dall’altro. Su tutti pende lo stesso principio: la rieducazione. Gli istituti carcerari servono a quello. Ma “quale funzione rieducativa può avere la pena per chi ha 90 anni?”. “Marco A., 37 anni, si è rotto un braccio il 29 agosto scorso mentre stava al reparto G11. Dopo due giorni di attesa viene finalmente ingessato all’Ospedale Pertini e dovrebbe tornare per una visita di controllo la settimana successiva, ma per quattro volte l’appuntamento salta per mancanza di scorta”. Non ci sono le scorte per curare un braccio rotto. Marco A. uscirà da Rebibbia con un arto manomesso. Le critiche di alemanno non risparmiano nemmeno la premier, esponente di quella stessa parte politica che l’ex sindaco della Capitale ha incarnato per tutta la vita: “Gli ultimi dati ci dicono che il sovraffollamento carcerario in Italia è giunto al 137,1% (63.467 persone detenute a fronte di 46.304 posti realmente disponibili: 17.163 persone in più del dovuto!). Da quando Giorgia Meloni è al governo il sovraffollamento è passato dal 107,4% al 137,1%, cioè è aumentato di quasi il 30%, e andando di questo passo, quando terminerà il suo mandato sarà oltre il 156%”. È il Diario di cella numero 31. “Mentre scriviamo ci avvertono che è appena morta una persona detenuta al braccio G9 di Rebibbia, mentre quattro giorni fa, giovedì scorso, ne è morta un’altra al G11. Motivo del decesso? In entrambi i casi si parla di infarti, causati da cosa? Perché, ovviamente, con questi tassi di sovraffollamento e questa carenza di organico di Polizia penitenziaria, chi può controllare la situazione nei diversi reparti?”. Tra agenti e detenuti ormai si arriva a rapporti paradossali, dice Alemanno, in cui i primi si confidano con i secondi, parlano “del loro disagio nel lavorare in pochissimi in Istituti penitenziari ridotti in questa situazione”.
Due novembre, giorno 306 di detenzione, a Messa il prete cita il vangelo di Matteo (25, 21-46): “Ero in carcere e siete venuti a trovarmi”, dice Gesù ai giusti. “Il Ministro Nordio e il Sottosegretario Delmastro, che nei mesi scorsi avevano promesso di gestire il sovraffollamento senza violare i diritti delle persone detenute, conoscono questo Passo del Vangelo?”. Domanda retorica. Diari di una “rozza e virile” sfida alle difficoltà, fatta di goliardia e cazzeggio, rivendicazioni e vestiti poco adatti al clima interno. Vigono alcune regole, scritte nella storia e non su carta, una specie di diritto consuetudinario; un “codice d’onore” che ha portato al pugno in faccia a Filippo Turetta, detenuto a Verona. “Il crimine contro i più deboli non si perdona”, dietro le sbarre non c’è scampo. È il numero 24 dei dispacci.
Cosa raccontano le lettere di Alemanno? Quello che già sappiamo. Un buco nella democrazia di questo Paese da mettere sotto al tavolo. Ogni tanto qualcuno ci inciampa e si riparte con qualche proposta, Nordio ha detto che i “provvedimenti per ridurre il sovraffollamento sono inutili, perché nel giro di qualche anno il numero dei detenuti ritorna ad essere lo stesso”. Nessuna mossa immediata. Forse il pensiero a lungo termine è più comodo? A ogni numero di diario si avverte una maggiore stanchezza, il freddo peggiora le cose ma d’estate le pareti roventi non sono meglio; le dimenticanze della politica un peso sulle spalle per ogni detenuto. Di qualche visita “sincera” (così fu, per Alemanno, quella del ministro Matteo Salvini) si può al massimo sorridere.