“Mi mancherà, sono devastato dalla sua morte. La sua più grande gioia era rendere felici gli altri ed è stato un onore stargli accanto”, ha scritto Harry Styles a proposito di Liam Payne, morto il 16 ottobre a Buenos Aires in seguito alla caduta dal balcone dell’albergo Casa Sur. E fin da subito si sono intrecciate teorie, ipotesi, supposizioni: gesto volontario oppure no? Qualcuno ha addirittura cercato di trovare un filo che tenesse insieme la morte dell’ex One Direction e il caso di Sean Diddy Combs. Sembra che in un’intervista del 2017 Liam volesse parlare del suo primo incontro con il producer ora in carcere. E pare che in studio abbiano provato in ogni modo a fermarlo. Una coincidenza, si chiedono i sostenitori di un presunto complotto, che Payne sia morto proprio ora? Al di là delle teorie, però, rimane un aspetto da tenere in considerazione. Fin da quando aveva 16 anni il cantante ha dovuto reggere il peso di essere una star, di dover soddisfare i fan, sostenendo le enormi pressioni dell’industria discografica. Proprio su quest’ultimo aspetto vale la pena soffermarsi. L’ex concorrente di X Factor Uk, Katie Waissel, ha lanciato un appello su X: “La tragica perdita del mio caro amico Liam Payne evidenzia la necessità di un cambiamento nell'industria musicale”. In particolare, l’accusa è rivolta alla SyCo Entertainment, colpevole, secondo Waissel, di non essersi occupata a sufficienza del suo talent: “Gli artisti non sono merci e il loro benessere deve essere considerato prioritario. Abbiamo bisogno di nuove leggi per proteggere la sicurezza e la salute mentale di tutti gli operatori del settore. Basta con il profitto sulla pelle delle persone. Facciamo in modo che la storia di Liam dia il via alla riforma di cui abbiamo disperatamente bisogno”. Ma c’è un personaggio che incarnerebbe i lati negativi di questo mondo.
In una recente intervista a Steven Bartlett, Simon Cowell, creatore di X Factor e ideatore degli One Direction, aveva detto che il più grande rimpianto della sua carriera è quello di non aver acquistato il nome della band. Nessun riferimento alla tutela della salute mentale dei ragazzi, la consapevolezza di aver messo pressione a dei giovani che si ritrovarono a vendere 50 milioni di dischi, ad affrontare l’insistenza di agenti e le contraddizioni dello show business. Dietro al successo che appare in prima pagina si nasconde ben altro. Ha aggiunto Katie Waissel in un altro post: “Il vero rimpianto (di Cowell, ndr) dovrebbe essere l'incapacità di dare priorità al benessere emotivo e fisico degli artisti che si affidano a queste istituzioni. I contratti, che si tratti di programmi televisivi o di contratti discografici, comportano un obbligo di tutela legale e morale che deve essere rispettato”. Liam Payne, che sembra fosse in uno stato mentale alterato il giorno della morte, aveva già parlato della sua storia di dipendenze nel 2021: “Ho fatto uso di alcune pillole per affrontare l’inaspettata popolarità”. Era riuscito poi a disintossicarsi? Il dubbio, dato l’accaduto, rimane. Ma non è il solo degli One Direction a essersi rifugiato nelle sostanze. In un’intervista a Vanity Fair, Harry Styles dichiarò che le pressioni subite ai tempi della band erano enormi e che le droghe hanno avuto per lui un ruolo decisivo nel suo percorso artistico. Questo, però, talvolta aveva delle conseguenze: “Una volta mi sono fatto di funghi e mi sono morso la punta della lingua. Ho cercato di registrare con tutto quel sangue che mi sgorgava dalla bocca”. Louis Tomlinson ha ammesso di aver sofferto di depressione e di ansia da prestazione. Un senso di inferiorità scaturito osservando i successi dell’amico Harry: “Mentirei se dicessi che all'inizio non mi ha infastidito il suo successo. Solo perché non sapevo dove mettermi, e in realtà il mio unico punto di riferimento erano gli altri membri della band”. Nel 2015, invece, a far discutere fu l’addio di Zayn Malik. Molti fecero notare come questo licenziamento fosse dovuto allo stile di vita sregolato della star, ma fu lui stesso, dopo molto tempo, a chiarire i motivi della separazione: “C’erano un sacco di questioni in corso in quel periodo. Alcune persone andavano per la loro strada, era ovvio che stesse succedendo qualcosa. Quindi, ad essere onesto, uscendo dal gruppo ho solo anticipato lo sfascio che è cominciato poco dopo”. La fine della band era già all’orizzonte quindi. C’entrano le dipendenze e le degenerazioni della salute mentali dei suoi membri?
È spuntato un altro dettaglio che complica la vicenda della morte di Liam Payne. Pochi giorni prima, infatti, sembra che la sua etichetta, la Universal Music, lo avesse scaricato. Ancora nei giorni precedenti alla morte, poi, la sua ex fidanzata, Maya Henry, aveva mosso gli avvocati per una lettera di diffida per stalking. A suo dire Liam non aveva accettato la rottura: “Da quando ci siamo lasciati, mi fa esplodere il telefono. Inoltre, le chiamate provengono sempre da numeri di telefono diversi, quindi non so mai da dove arriveranno. È inquietante che quest’uomo mi faccia ancora queste cose”, aveva detto Henry in un video postato su TikTok. Un passato fatto di dipendenze e abusi, la pressione di un’industria, la fine della collaborazione con la casa discografica e una relazione dai caratteri tossici. In attesa di capire cosa è successo davvero a Liam Payne il 16 ottobre, scavare nel suo passato è un esercizio necessario. Perché al di là dei complotti e dei milioni di dischi (e di dollari) c’è la mente di un uomo. E la fragilità non si sconfigge con il successo.