Proseguono le indagini sulla famiglia Agostini, i Lacerenza del Trentino. Come nel caso Gintoneria, anche per loro è arrivato il turno delle intercettazioni, pubblicate dal Corriere, ed esattamente com'era stato per Davidone, le registrazioni delle telefonate sono sempre la parte più bella. “Con lui faccio mischiato, mischiato, hai capito?” I due personaggi della telefonata, a quanto risulta dalle carte, sono Michele Matera, probabile intermediario, e il 69enne Claudio Agostini. Mischiata vuol dire tagliata, ovvero non pura. Si parla di cocaina, e di sostanze per allungarla in modo da aumentare il profitto. “Ho visto che gli piace la Tachipirina, non metto più la Manitoba, metto la Tachipirina… l’ho venduta all’albanese... ha fatto una riga e mi ha detto che era buona”, si legge. Truffato, contento e sfebbrato. Ma contento soprattutto il venditore: “Ne spendo 480 e ne prendo 1.250”. Quasi tre volte tanto. Ma la parte più interessante riguarda le metafore usate al telefono per non far capire che si parlava di bamba.

L'arte del dissimulare. Agostini avrebbe chiacchierato con Matera sbrigliando la fantasia. Una volta avrebbero giocato all'impresa edile: “Prepara le piastrelle così le tagliamo”. Poi, da piastrellisti a chef, e la droga diventava “caffè”, oppure “cioccolata”. Ma i riferimenti non erano soltanto concreti, in alcune occasioni il dialogo prendeva connotazioni metafisiche, o comunque surreali: la bamba veniva anche chiamata “eros”. Ancora, il ritorno alla realtà: “un sacchetto d’immondizia”. Agostini, però, sarebbe stato talmente rilassato nel maneggiare l'immondizia che a un certo punto si sarebbe lasciato andare: “Avere in macchina la bamba mi sta facendo venire voglia di venderla”. Assoluta trasparenza, come il king Davidone alla Zanzara. A preoccuparsi, secondo le intercettazioni, non erano i carabinieri, ma i figli. Alessio e Gabriele, che avrebbero provato a fargli capire che forse si stava esagerando: “I carabinieri sanno tutto... tutte le tue bustine le trovano in bagno”, avrebbero detto al padre, per ammonirlo.
Secondo gli investigatori, il business avrebbe girato come un orologio svizzero: circa 440mila euro in un anno, di cui ben 380mila sarebbero finiti direttamente ad Agostini. E quei soldi, stando sempre all’accusa, non sarebbero stati spesi in Rolex e tavoli vip ma reinvestiti. In immobili, in attività, in operazioni che avrebbero fatto crescere il “piccolo impero” di famiglia. Il fiore all’occhiello? Il Grand Hotel Imperial di Levico. Un edificio storico, proprietà della Patrimonio del Trentino spa, cioè il braccio immobiliare della Provincia, su cui la famiglia Agostini avrebbe messo gli occhi, le mani e forse anche qualche speranza, e di cui si parlava a inizio maggio su tutti i giornali perché non trovava acquirenti. Alessio, in una telefonata, avrebbe detto che con l’ex presidente Andrea Villotti c’era un rapporto stretto: “Mi stima come un fratello”, o ancora: “Michelone è dalla mia parte” riferendosi a Michele Maistri, direttore generale della società pubblica, oggi indagato. Il giudice Gianmarco Giua, che ha firmato le ordinanze, ha usato un’espressione che sa di poesia burocratica, o di modulo calcistico alla Oronzo Canà: pubblica amministrazione a “geometria variabile”. Un modo elegante per dire che, con i contatti giusti, si può perfino dire che un triangolo ha cinque lati.

