La modalità del messaggio ormai è indistinguibile dal suo contenuto. Per lo stesso motivo, però, anche la sostanza viene corrotta da un errore di comunicazione. Sembra essere il caso delle presunte frasi pronunciate da papa Francesco a proposito dell’eccesso di “frociaggine” all’interno del clero. Solo pochi mesi fa, invece, alcune dichiarazioni di Bergoglio sull’apertura a chiunque della “sua” chiesa avevano fatto ben sperare i sostenitori, ma l’ultimo scivolone rischia di rovinare tutto. Sono arrivate comunque le scuse ufficiali dal Vaticano: “Il Papa non ha mai inteso offendere o esprimersi in termini omofobi, ed estende le sue scuse a coloro che si sono sentiti offesi dall’uso di un termine, riportato da altri”. Non è detto, però, che questo “chiarimento” possa bastare. Ma il Papa non è l’unico ad aver usato parolacce nell’ultimo periodo. Anzi, un linguaggio da borgata sembra essere il favorito anche di certi politici. Il governatore della Campania Vincenzo De Luca, infatti, aveva chiamato “stronza” Giorgia Meloni. La premier ha colto l’occasione, in queste ore, di ricordare il fatto. Di fronte a tutti, a Caivano: “Piacere sono quella stronza della Meloni, come sta?”. Insomma, senza rancore. Uno scontro, però, c’è stato anche in Senato. La ministra Elisabetta Casellati, infatti, avrebbe mandato a quel paese (con gesto annesso) Enrico Borghi di Italia Viva. La risposta del senatore: “Cosa dovrei fare io secondo lei? Dove dovrei andare, secondo lei, signora ministra? Casellati non può permettersi di rivolgere quel gesto a un qualsivoglia componente di questa assemblea, si vergogni”. Dissing, offese, “piacere, la stronza”: è la politica o una battaglia di freestyle? Inutile, poi, lamentarsi delle frecciatine tra Fedez e Chiara Ferragni. A questo punto, però, anche Marracash potrebbe entrare a gamba tesa. Anche in politica.
Sull’intreccio tra parolacce e comunicazione politica si è soffermato Fabrizio Roncone sul Corriere della sera, che pare da un aneddoto riguardante Silvio Berlusconi: “Questo racconto comincia dentro gli appunti di una vita politica fa. Era l’aprile del 2006, vigilia del voto. Silvio Berlusconi, presidente del Consiglio, parla alla platea di Confcommercio: ‘Ho troppa stima per l’intelligenza degli italiani... per credere che ci possano essere in giro tanti coglioni che votano per il proprio disinteresse’. I coglioni erano tutti coloro che si apprestavano a votare per il centrosinistra. Risate, applausi. Che simpaticone. Vecchio filibustiere”. Segue, nell’articolo di Roncone, una lista di dimenticabili sedute parlamentari in cui è volato (verbalmente) di tutto. La storia, però, ci ha regalato anche degli sfottò d’autore: “È un racconto lunghissimo. Tra questi volgari insulti così attuali, questa quotidiana trivialità̀, anche certe chicchissime invettive d’epoca. D’Annunzio si diverte a schiaffeggiare Nitti con un lumachesco ‘cagoia’. De Gasperi attacca Togliatti definendolo ‘Agnello dal piede caprino’. Togliatti gli avversari li chiama ‘Pidocchi’. Sull’Unità Fortebraccio fa giornalisticamente a pezzi gli avversari definendoli ‘lorsignori’”. Sempre di offese e parolacce ha parlato anche Flavia Perina su La Stampa: “Nel Secolo Vecchio non avremmo mai immaginato un’Italia dove il Papa si esprime come Lino Banfi-Fri Fri e la presidente del Consiglio come Tomas Milian-Er Monnezza”. Uno scenario “straniante”, che nella ricostruzione di Perina è il prolungamento di altre scelte, estetiche e comunicative, dei leader politici degli ultimi anni: “Silvio Berlusconi con la bandana, Matteo Renzi con il giubbotto da Fonzie, il Vaffa stereofonico di Beppe Grillo, quelli col cappio in aula, quelli con la mortadella dopo il voto di sfiducia, Umberto Bossi in canottiera che mostra il dito medio ai contestatori, la filosofia da bar sui poveri che mangiano meglio dei ricchi o sugli studenti da convertire con l’umiliazione”. Ed ecco che non sorprende papa Francesco, il romanesco della Premier, le esagerazioni e le botte con il gomito al vicino: tutto un grande scherzo. Anche l’ultimo limite, però, sembra superato: “Negli ultimi due giorni anche il fragile recinto che resisteva al vento del grottesco, del politicamente scorretto, insomma alla strategia dell’Anvedi, risulta travolto”. Una volgarità (quasi) gratuita, spacciata per “sintonia con il popolo sovrano”.