La parabola finanziaria e imprenditoriale dell’ingegnere Carlo De Benedetti è nota a tutti. Un percorso che lo ha reso uno degli uomini più ricchi del nostro Paese. Ma ci sono anche i passi falsi. Antonello Piroso su La Verità ha ripercorso proprio le “Waterloo” dell’Ingegnere. Inizia con il ritratto che ne fece, nel 1989, Giampaolo Pansa per il libro Il malloppo: “Carlo De Benedetti? Capisce le cose prima degli altri. E anche un dottor Jekyll, in privato amabilissimo, e mister Hyde, perché negli affari spunta il mostro: guai a chi osa intralciargli il passo”. Fu Francesco Micheli a ingaggiare Pansa per il ritratto, ed è lo stesso finanziere che spinse De Benedetti a investire nel Banco Ambrosiano, come l’ingegnere confessa ad Aldo Cazzullo nell’intervista per i suoi 90 anni. Una longevità assicurata dall’essere in pace con se stessi. “E, naturalmente, l’amore”. Per Piroso, però, a De Benedetti manca “l'aura riconosciuta a Gianni Agnelli, a Silvio Berlusconi e perfino al più defilato dal palcoscenico mediatico Marco Tronchetti Provera”. Tronchetti che venne accusato dall’ingegnere di aver promosso la “distruzione della Telecom”. Con la stessa malizia ancora Tronchetti definì De Benedetti un personaggio “molto discusso”. Risultato? Querela. Ma poi nulla di fatto. Tra i nemici celebri c’è Cesare Romiti: “A Torino tutti sapevano che ha fatto di tutto per distruggermi”, disse l’ingegnere. Tra le accuse anche quella di aver contribuito al fallimento del Banco Ambrosiano. Paolo Madron, ricorda Piroso, aveva scritto così nel libro Storia segreta del capitalismo italiano: “L'Ingegnere entrò e usci (dalla banca) nel giro di appena due mesi, ricavando una plusvalenza di 40 miliardi”. “Un blitz”, insomma. Poi i “100 giorni alla Fiat” (e i 60mila “allontanati”) e la profezia su Mario Draghi nel 2020, che De Benedetti non credeva sarebbe diventato presidente del Consiglio, cosa che invece avvenne. Su Sgb, principale gruppo finanziario belga in cui volle entrare, è però l’ingegnere a fare (parzialmente) mea culpa: “Sono stato un genio nell'ideazione, un coglione nella realizzazione”. Il grande nemico resta Silvio Berlusconi, “L’Alberto Sordi della politica”, che gli fregò Mondadori nella “guerra di Segrate” (finità con un risarcimento ai danni del Cavaliere di 540 milioni), ma con cui nel 2005 l’Ingegnere provò a lanciare un fondo di private equity, trovando le resistenze di molti “repubblicones” (così li definisce Piroso).
Non nuove le opposizioni dei giornalisti di Repubblica a De Benedetti, con Eugenio Scalfari che lo chiamava “Satanasso”. E la risposta dell’imprenditore: “Un ingrato”. “Le mazzette pagate da Olivetti?”, prosegue Piroso. De Benedetti al Corriere si giustificò così: “A Milano con Antonio Di Pietro dichiaro che mi assumo ogni responsabilità per quanto di illegale avessero compiuto i dirigenti dell'azienda. Evito così l'arresto”. Anche Adriano Galliani sarebbe dovuto finire in carcere, ma fu poi graziato dalla gip Augusta Iannini, legata amichevolmente al gruppo Fininvest. Almeno nella ricostruzione di De Benedetti, poi negata dalla stessa Iannini. Ciò non toglie, dice sempre Antonello Piroso, che l’Ingegnere fu prosciolto dalle accuse di corruzione (con una tangente da 10 miliardi), per favorire la vendita telescriventi al ministro delle Poste, solo dopo molti anni. Ma De Bendetti aveva anche avversari “interni”: Giovanni Valentini, per esempio, tra i fondatori di Repubblica, non fu mai troppo leggero con Cdb. Ma è proprio grazie a Valentini che l’Ingegnere ottenne un incontro con Pinuccio Tatarella, ministro delle Poste, affinché quest’ultimo riconoscesse la validità dell’assegnazione delle licenze Omnitel. Un affare che fruttò, dopo che la licenza venne venduta al gruppo Mannesmann, 14.500 miliardi di lire. “Si sdebitò, Cdb?”, chiede Piroso a Valentini: “Dopo il pranzo mandò dei fiori a mia moglie con un biglietto in cui c'era scritto ‘Grazie’: lo con serviamo come una reliquia di San Nicola”.