Gianluca Gazzoli inaugura la nuova stagione del Basement con Sofia Goggia, la sciatrice italiana “più vincente di sempre nella discesa libera”. Il curriculum parla da solo: un oro olimpico, un argento e 4 Coppe del Mondo. Una campionessa enorme, passata per il calvario dell’orribile infortunio che l’aveva colpita nel febbraio del 2024, quando durante un allenamento si era frantumata tibia e malleolo. Un trauma importante anche a livello psicologico, dal quale ne è uscita grazie, come racconta a Gazzoli, a una forte determinazione ma anche per merito dei consigli di un altro campione, anche se del mondo del calcio: Roberto Baggio. Poi, ha anche parlato di amore, del suo rapporto con Lindsey Vonn e molto altro. Il primo punto: Snowboard o sci? “Secondo me è più una diatriba tra i turisti, proprio per l’utilizzo delle piste e lo sciatore turista. Perché lo snowboarder gli rovina un po’ la pista, si fermano sotto i dossi quando invece sotto i dossi non bisogna fermarsi. Poi, noi sciatori abbiamo due sci, due piedi, quindi una visione periferica tutta orizzontale. Lo snowboarder fa uno sport di spalle, quindi è una visione girata di 90°. E diciamo che gli scontri tra snowboarder e sciatori sono parecchi”. Ma Goggia va a sciare con gli amici? “Da settembre fino a fine marzo siamo sempre in giro e non riusciamo a far nulla. Forse quando magari la partenza dell’anno successivo è il 3 gennaio e non l’1, allora una sciata a Foppolo, dove ho mosso i primi passi sugli sci, me la vado a fare. Dalle 8.00 alle 10.00 di mattina, quando ancora non c’è nessuno. Però le giornate che ho condiviso con i miei amici sono state veramente poche. Penso di averne fatte due in tutta la mia vita”. Il rapporto con Lindsey Vonn? “Con lei ho un ottimo rapporto. Siamo amiche, ci sentiamo anche al di fuori dell’inverno, ogni tanto ci mandiamo dei messaggi a cui rispondiamo sempre reciprocamente con un sorriso, perché ci vogliamo bene come persone e ci stimiamo e ci rispettiamo molto l’una con l’altra. Che non è scontato, a questi livelli. Però alla fine sappiamo entrambe che la competizione, almeno per quelle che sono le regole del nostro rapporto, inizia al cancelletto di partenza e finisce con la linea del traguardo. Poi, se possiamo andare a condividere una pizza, come è successo questo inverno, una cena o un caffè, lo facciamo”.
Come rialzarsi dopo un infortunio? “Io ho rotto il mio primo crociato a 14 anni, quindi con gli infortuni ho sempre avuto un po’ a che fare. Avrei preferito non farmi male, chiaramente, ma forse il fatto di essermi rotta così giovane mi ha fatto entrare in contatto con una dimensione dove, in un modo o nell’altro, sapevo dentro di me che ne sarei dovuta uscire. Negli anni ho avuto un approccio agli infortuni diverso da tanti altri atleti che lo patiscono molto a livello mentale. Io invece mi sono sempre detta: è solo una prova in più da superare. Tranne quello dell’anno scorso, che è stato emotivamente pesantissimo: ho pensato di non farcela. Stavo facendo gigante in allenamento, la stagione stava andando bene, stavo entrando in forma in tutte le discipline, avevo fatto anche il mio miglior risultato in gigante dopo tanti anni. In un allenamento, una curva verso destra all’inizio di un muro: inforco, sbaglio di pochi centimetri con lo sci interno, il piede si incastra nella base del palo e inizio a rotolare nel muro. Ma io non mi ero ancora fermata che già sapevo di non avere più il piede. Ho avuto subito la sensazione di aver rotto tutto, non avevo più sensibilità. Non mi ero ancora fermata, il piede non mi faceva male, non lo sentivo più, ma ho avuto una fitta al cuore, un dolore fisico enorme. In quel momento c’erano il preparatore, l’allenatore, lo skiman che stavano scendendo in pista, e io non sapevo come dirglielo. Ma quando mi sono fermata c’è stato un momento di silenzio e ho detto: “Ragazzi, il sogno quest’anno finisce qui”. Loro: “Ma no, figurati, magari ti sei solo stirata i legamenti della caviglia…”. Ma io dissi: “Signori, qua mi sono rotta tibia e perone”. Alla fine il perone non era rotto, ma avevo il pilone tibiale - l’ultima parte della tibia - frantumato, esattamente come quando prendi un pacchettino di cracker schiacciato dai libri di scuola: lo tiri fuori ed è in mille pezzi. Io questo infortunio l’ho patito tantissimo”. La parte sull’infortunio è necessariamente la più lunga, nel corso dell’intervista a Sofia Goggia. “Io ho una consapevolezza molto alta del mio corpo. Infatti poi sono riuscita, non so come, a tirar fuori il piede dallo scarpone. Non avevo più il profilo di una tibia perpendicolare al piede, ma avevo una C, tutto così. È stata la prima volta che l’ho patita pesantemente dentro di me. Mi portarono in elicottero, mi operarono subito a Milano e l’operazione andò meglio del previsto, perché dall’attacco non sapevano bene come ricostruirlo. Poi uscirono le solite frasi di circostanza dell’addetto stampa: “Tornerò anche questa volta”. Io lì ho avuto uno scatto d’odio, perché dentro di me dicevo: “Questa volta non torno più”. Ho passato due mesi a chiedermi perché, a farmi mille domande.
È una cosa di cui ho discusso anche con Roberto Baggio. Sono andata a casa sua, perché non riuscivo a uscirne mentalmente e spiritualmente. Lui è stato gentile, mi ha ospitata. Io ero a tre, quattro mesi dall’infortunio. Gli dissi: “Guarda Roberto, io sono convinta che tutti gli infortuni siano figli di un conflitto emotivo. Dentro di noi ci sono emozioni che ti fanno un blef e poi esplodono fisicamente”. Io in quei mesi ero in totale blackout e fino a cinque mesi dopo pensavo che la mia carriera fosse finita. Non sapevo più cosa sperare, dentro sentivo che non avevo più il fuoco. Ero mentalmente spenta, anche se dal primo giorno ho fatto tutto il necessario per guarire e potermi dare la possibilità non solo di sciare, ma di vivere una vita normale, camminare, correre bene”. E Roberto Baggio cosa le ha detto? “Mi disse: “Non pensavo fossi così avanti”. Nel senso: non pensavo avessi questa consapevolezza. Quello è stato un incontro che mi ha dato tantissimo, di cui forse è la prima volta che parlo. Ci ho messo tanto a metabolizzarlo, ma mi ha dato molto. Sono cresciuta con l’eco della leggenda di Baggio, conoscevo la sua storia di infortuni. Ho pensato: devo andare da qualcuno che mi possa capire davvero. Con lui ho trovato una persona che quella cosa l’aveva vissuta e che aveva trovato pace dentro di sé, anche grazie al buddismo. Infatti mi portò nella stanza dove prega ogni mattina, con sua moglie. È stato super carino. Io ero andata da lui per fargli delle domande, ma in realtà cercavo una risposta che non sapevo neanche formulare. A un certo punto mi prese il braccio, mi guardò con quegli occhi verdi glaciali e mi disse: “Decidi tu per te stessa, il resto sono solo grandi seghe”. Bam. Io che ero traballante, lì ho fatto lo switch. Ho vissuto con una leggerezza diversa. È stato il click più difficile della mia vita, ma mi sono sentita libera, sollevata, in pace con me stessa. Prima invece facevo fatica a convivere con me stessa, mi rimproveravo di essere ancora una volta in quella situazione”.

La vita al villaggio olimpico? Stranamente isolata. “Uno dice: ah, villaggio olimpico, bellissimo, conosci persone. Io non ho mai interagito con nessuno al villaggio olimpico. L’unica persona estera con cui ho interagito è stato un bobbista canadese a Pechino, perché in palestra mi serviva il bilanciere”. Il rapporto con la stampa e i social? “Secondo me è importante vivere senza guardare quelle cose lì. Non puoi vivere pensando di fare una gara e leggere i giornali il giorno dopo, che tu sia andato bene o male. Magari ti mandano l’articolo, però è chiaro: se vinci sei sempre osannato, se vai male sei abbastanza massacrato in questo Paese, soprattutto. L’importante è vivere in equilibrio, sia nei momenti di gioia che in quelle gare dove ti senti arrabbiato con te stesso perché non sei riuscito a esprimerti. Ci vuole equilibrio” Ma i social? “Allora, io ormai ho solo Instagram, su Facebook metto qualcosa. Ogni tanto, è chiaro, quando apri la tua pagina una sbirciata ai commenti la dai. Non il giorno prima della gara, però ogni tanto guardo. Negli anni tante agenzie mi hanno chiesto di aiutarmi nella gestione dei social, per programmare i contenuti. Capisco che siano un mezzo comunicativo estremamente importante: ormai la gente apprende le notizie più dai social che dai giornali, che li leggono solo persone di una fascia d’età più adulta rispetto a me. Però sui social circolano mille fake news e spesso da un titolo si pensa di capire un articolo che magari parla di tutt’altro. C’è un dono della sintesi che non viene più usato come dono. Io sono sempre stata restia ad affidarmi a un’agenzia, perché i social li uso per condividere le mie emozioni del momento. Se un contenuto non esce dalla mia testa, non arriverò mai. Forse è anche per questo che qualcuno mi ha detto: “Tu sui social sei un po’ divisiva”. Ma questa sono io. Bisogna mantenersi autentici”. Il rapporto con Federica Brignone? “Allora, lei posso dirti che ha avuto un infortunio peggiore del mio per tanti aspetti. È arrivato in un momento della stagione più bella che aveva fatto da sempre, perché è stata una stagione incredibile. E poi un giorno qualunque ti fai male in quella maniera e ribalti completamente la situazione. Mentalmente penso che sia stato, e sia tuttora, difficilissimo. Ha tolto le stampelle a tre mesi. Io non so come riesca lei ad approcciare mentalmente questo infortunio, perché per 34 anni non aveva mai avuto infortuni seri. Una batosta del genere, che arriva nella miglior parte della carriera, con l’anno olimpico alle porte, penso non sia facile. Io l’ho chiamata subito, poi avevo un lavoro a Torino e ne ho approfittato per andare a trovarla. Le auguro solo il meglio”.
Che rapporto ha Sofia Goggia con l’amore? “Stare accanto ad atlete come noi non è semplice. Ho compagne già sposate, altre con il ragazzo che magari ha la possibilità di seguirle. Io non ho mai voluto tanto la mia famiglia alle gare, perché per me il momento della gara è il compimento di tutto il lavoro fatto. Siamo ragazze che stiamo in giro tantissimi giorni all’anno, sempre in hotel, sempre insieme come un carrozzone. Ci sono tante dinamiche, soprattutto in un gruppo femminile, che ogni tanto emergono, causate dalle tensioni e dallo stress di ogni gara, dal doverci spostare velocemente da un posto all’altro senza soluzione di continuità. Non è facile stare accanto ad atlete come noi”. E il gossip? “È una dimensione che non mi piace per nulla, perché ciò che è la mia vita al di fuori di ciò che faccio sugli sci riguarda me, le mie scelte, le mie decisioni. La trovo un’invasione di spazi, un’invasione personale. C’è sempre questa smania di capire gli atleti che tipo di relazioni hanno, con chi, con quale persona. Io la trovo una cosa che deve essere tenuta il più riservata possibile, proprio per non dare adito a nessuno di attaccarsi a una plausibile relazione come causa di qualcosa”.
