Comincia così il processo per l’omicidio di Vittorio Boiocchi colpito da cinque colpi di pistola sotto casa sua, in via Fratelli Zanzottera, il 29 ottobre 2022. In Corte d’Assise, Tribunale di Milano, ci sono poche persone. In prima fila sono sedute le tre figlie, tra cui Roberta, che ora è incinta, e la moglie dell’ultrà, Giovanna Pisu. Gli imputati sono tutti collegati dal carcere: Andrea Beretta, il mandante; Gianfranco e Marco Ferdico, gli organizzatori; Pietro Andrea Simoncini e Daniel D’Alessandro “Bellebuono”, gli esecutori. La prima udienza comincia in ritardo, la gente entra ed esce dall’aula, ci sono anche delle studentesse venute ad assistere. Prima dell’inizio la vedova Boiocchi si avvicina al pm Paolo Storari e gli stringe la mano sorridendo. Storari ha l’aria stanca, ma l’atmosfera in generale è distesa: tutti sanno che è solo un inizio, che la vera partita si giocherà nelle prossime udienze. Non sono molti i giornalisti presenti, ma quelli che ci sono scambiano qualche parola sottovoce soprattutto con gli avvocati Jacopo Cappetta e Mirko Perlino. Beretta è diventato collaboratore di giustizia, ha parlato del piano ordito ai danni del vecchio capo ultrà; gli altri, chi più chi meno, hanno cominciato ad aprirsi con i pm Paolo Storari e Stefano Ammendola. Bellebuono invece no, lui continua a non parlare. In aula l’avvocato Mirko Perlino legge l’offerta formulata per il risarcimento: 150 mila euro a nome di tre ultras, Pietro Andrea Simoncini e Gianfranco e Marco Ferdico. La famiglia dello Zio, rappresentata dal legale Marco Ventura, ritiene la “cifra incongrua” e dunque rifiuta. Inizialmente la somma doveva essere di 200mila euro oltre alla richiesta di non presentarsi come parti civili. L’avvocato Perlino fa sapere che c’è già un assegno da 50mila euro intestato alla vedova di Vittorio e che gli altri 100mila saranno versati tassativamente entro il 30 gennaio 2026. Un’offerta iniziale il cui rifiuto era prevedibile. Il 9 aprile si procederà con l’esame degli imputati, mentre il 25 e 27 maggio ci sarà la requisitoria. I tempi saranno rapidi, quindi. Saranno ammesse le riprese televisive, ma non potranno essere inquadrati né i testimoni né i pubblici ministeri. Storari e Ammendola hanno comunicato che chiameranno a testimoniare solo un agente della polizia giudiziaria.
Arrivano anche Franco Caravita, uno dei grandi vecchi della curva nerazzurra, e Francesco De Nigris, detto Chiccone, l’uomo che ha accompagnato Boiocchi a casa prima dell’inizio di Inter-Sampdoria di quel 29 ottobre. Lo lascia in via Fratelli Zanzottera e riparte. Pochi istanti dopo i due killer raggiungono lo Zio e aprono il fuoco, ma Chicchone non vede niente, non sa niente, e infatti non è mai stato indagato. Caravita e De Nigris si siedono dietro alla famiglia di Vittorio, restano fino alla fine, poi si mettono defilati a parlare con Storari, lo seguono nei corridoi del Tribunale quando il pm si ritira: chiedono spiegazioni sulle blacklist, dicono che loro non c’entrano nulla con queste storie, che i “malandrini” (così li aveva chiamati Caravita il giorno della protesta fuori dalla sede dell’Inter) sono già tutti dentro. Il pm, però, non sembra intenzionato a fare passi indietro: si va avanti col pugno duro e gli uomini della curva subiranno le conseguenze di ciò che è accaduto. Beretta si vede a malapena nel monitor, Ferdico è a braccia incrociate con una felpa grigia Nike e lo sguardo fermo. Loro due, insieme ad Antonio Bellocco, avevano preso il potere in curva Nord negli ultimi tre anni. L’ipotesi, confermata dalle parole di Berro, è che l’omicidio di Boiocchi fosse propedeutico al controllo di tutti i business legati al mondo ultrà nerazzurro. La salita di Bellocco, invece, sempre secondo Beretta, serviva a mettere un freno alle possibili pretese di altre fazioni. Caravita dice che l’omicidio dello Zio non è servito a nulla, e il caos esploso nei successivi tre anni gli dà ragione, almeno in parte. Il 4 settembre e l’assassinio di Totò chiudono definitivamente il vecchio corso di curva Nord. In carcere per il processo Doppia Curva c’è anche Maurino Nepi, amico di lunga data di Beretta, colui che propose i Ferdico come “risolutori” del “problema” Boiocchi. Nepi si starebbe comportando in maniera strana: semina zizzania, rinnega i vecchi amici, ma i 15mila euro da Beretta se li è comunque presi. Un atteggiamento poco collaborativo che ha portato Mirko Perlino a rimettere il mandato come suo difensore.
Le domande sono sempre le stesse: perché Bellebuono non parla? Qualcuno gli ha promesso qualcosa? Pare che nella prossima udienza possa leggere un memoriale, in cui forse spiegherà meglio la sua posizione e magari manderà dei messaggi ai suoi ex amici. Anche perché si sente tradito: lui ha sempre dato tutto per la curva, ma i suoi compagni lo trattavano come uno che non contava niente, schiavo della sua dipendenza da cocaina. E poi si è messo nei guai per difendere Beretta, rischiando di inimicarsi la famiglia Bellocco. I parenti di Antonio lo chiamano “Danielino”, segno della fiducia che riponevano in lui. Altra questione: Ferdico ha sempre sostenuto che il rapporto tra lui e Totò era sincero, ma allora che fine hanno fatto quei 100mila euro in droga che sarebbero spariti poco tempo prima dell’omicidio? Ad aprile con ogni probabilità saranno presenti in aula Pietro Andrea Simoncini e Marco e Gianfranco Ferdico; più difficile, invece, che venga anche Bellebuono. Beretta si collegherà ancora una volta dal carcere.