È passato qualche anno da quando, per la prima volta, ho sentito parlare di Alberto Naska. Un noto giornalista del settore automotive, di lui, mi aveva detto: “È uno che vuole pagarsi le corse con i video su YouTube, ma gli ho spiegato che non ce la farà mai”. Come diceva quello? Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono, poi vinci? Ecco, senza scomodare il Mahatma Gandhi (no, quella frase non è di Steve Jobs), possiamo dire che la storia di Naska sembra rappresentare alla perfezione questa successione di eventi.
Partito dal niente, Alberto Fontana detto Naska, 31 anni, è oggi, senza ombra di dubbio, il più influente tra i creatori di contenuti italiani, legati al mondo dei motori. 648.000 iscritti al suo primo canale YouTube, 149.000 alla versione in inglese, 123.000 a quello riservato al gaming, 8.100 al neonato canale dedicato ai suoi on-board, a cui si aggiungono 323.000 follower su Instagram, 280.000 su Facebook, 47.000 su TikTok, 95.000 iscritti al suo canale Twitch. Roba da broadcaster generalista, roba da far gola a tanti sponsor, a quanti - in particolare - abbiano potuto verificare la capacità di Alberto di “convertire”, come si dice in gergo, le visualizzazioni, in clic sui loro e-commerce. E così, dopo essere stato ignorato prima e preso in giro, poi, Naska si trova oggi nel bel mezzo della fase tre di questo suo percorso.
A un certo punto, lo dici, sì: andatevene tutti a fare in culo, io vado a fare qualcos’altro
Ora è tempo di combattere. Le prime avvisaglie di ciò con cui avrebbe avuto a che fare risalgono all’estate scorsa: un gruppo di piloti professionisti dà vita a una diretta Instagram il cui unico scopo è quello di mettere in cattiva luce il suo percorso nel mondo delle competizioni motociclistiche. L’accusa? Riuscire a correre non già per meriti sportivi (quelli che loro, invece, avrebbero), ma soltanto grazie agli sponsor (omettendo chiaramente di specificare come mai, anche nel caso in cui fosse vero, questi stessi sponsor avrebbero preferito dare i soldi a lui, invece che a loro). Rabbia, insomma, tantissima rabbia. Quella stessa rabbia che osserviamo quotidianamente nei commenti, sui social, e che è sinonimo di frustrazione. Sono gli hater che oltrepassano lo schermo, i commentatori anonimi che portano lo scontro a un livello superiore, mostrandosi anche nella vita reale. Una condizione che Alberto si è ritrovato, suo malgrado, a dover gestire in tutta la sua violenza, anche in occasione dell’ultima gara del campionato Legends, tenutasi sul Circuito di Castelletto di Branduzzo.

Alberto, la settimana scorsa è uscito il video della gara di Castelletto. Secondo in Tendenze su YouTube, una quantità spropositata di commenti. È stata una gara un po’ particolare. Un concorrente si è comportato in maniera scorretta con te. Vuoi raccontare cos’è successo?
Purtroppo avete beccato il weekend peggiore che potesse capitare. È successo che un pilota, di cui non voglio fare il nome, per tre volte, in maniera palesemente volontaria, mi ha buttato fuori pista.
Molti sulle tribune esultavano, per le manovre di questo pilota. È una questione di invidia?
Sai, uno non può mettere l’etichetta invidia su un gesto del genere, però a me viene da pensarlo.
Non pensi mai di mandare tutti a fare in culo?
(ride, ndr) A un certo punto, lo dici, sì: andatevene tutti a fare in culo, io vado a fare qualcos’altro. Poi, però, rifletto e penso che il lavoro che faccio implica anche delle responsabilità. Quando hai 630.000 persone che ti seguono non puoi fare il cazzo che ti pare.
Eh ma non sei stufo di questa responsabilità?
No, no, anzi! È uno dei motivi che mi spinge ad andare avanti. Il fatto che quel concorrente mi abbia buttato fuori, mi dà l’occasione per fare qualcosa di buono per tutti: spiegare perché quel comportamento è sbagliato.

Sai che questa risposta provocherà ancora più odio nei tuoi confronti? Uno che la sente dice: “minchia, oh, chi cazzo è? Il Dalai Lama?”
Attenzione, è una parte del mio carattere su cui ho lavorato. Anche io ho tirato testate contro il muro, mi sono incazzato, ho pensato veramente di mollare tutto, ho mandato tutti affanculo, per poi ritornare sui mei passi.
Che reazione suscitavano in te i primi commenti negativi?
Mi incazzavo come una bestia, rispondevo… poi, sai, ho visto che rispondere non ha senso e da lì ho smesso, perché è come parlare con il muro.
Anche il mondo del giornalismo di settore non ti ha accolto benissimo, all’inizio della tua carriera, nel mondo delle moto.
Sai cos’è? All’inizio, non mi era mai passato per l’anticamera del cervello che la mia presenza a un evento come, ad esempio, la presentazione della Panigale V4, a Valencia, potesse significare che qualcun altro era rimasto a casa. Io non avevo neanche capito cosa stessi facendo di sbagliato, anzi io volevo essere loro amico e imparare da loro!
Secondo me c’è stata una enorme diffidenza, in particolare nei tuoi confronti, per due motivi. Primo: una parte della gente ti percepisce come finto. Sei sempre positivo, educato, non ti incazzi, razionale. Sembri costruito!
Sì ma il problema è a monte: non c’è niente di sbagliato nel lavorare sulla propria persona, nel cercare di migliorarsi, nel “costruirsi”. È quello che tutti facciamo sin dall’asilo.
L’altro motivo è che molti si sono sentiti attaccati. Inconsciamente c’era la preoccupazione che quelli come te, con il tempo, gli avrebbero “rubato” il lavoro (cosa che, in parte, in effetti, sta succedendo).
Diciamo una cosa: se io sono stato invitato a Valencia, alla presentazione mondiale della V4, non è perché ne sapessi più di loro di moto, ma perché probabilmente - e non lo dico io, lo dicono i numeri - sono forse un po’ più bravo a raccontare le mie emozioni attraverso i video. Se i giornalisti mi avessero chiesto un consiglio su come farne uno, esattamente come io ne ho chiesti a loro su come guidare quella moto, probabilmente alle presentazioni ci sarebbero ancora 30 giornalisti e zero youtuber.

L’infanzia difficile, la psicologa, il bullismo
Com’è nato l’“impero” Naska?
Da piccolo ho scoperto di avere una passione sconfinata per il motorsport. Una cosa che non condividevo con nessuno, in famiglia o tra i miei amici. Nessuno me l’aveva mai “installata”. E quindi, a un certo punto, mi sono detto: “io devo correre, devo fare il pilota”.
Com’è stata la tua infanzia?
Non semplice. Sono cresciuto a Torino, famiglia di 6 persone. Mio fratello più grande ha 15 anni più di me. Il secondo 12 e mia sorella 11.
Quindi quando tu eri bambino, loro erano già super adulti.
Sì, mio papà non c’era già più in casa, perché i miei si erano separati, e i miei fratelli, nell’arco di 2 anni, se ne sono andati tutti. Quindi io, dai 10 anni in poi, ho vissuto solo con mia madre, che si è sempre fatta in quattro per mantenermi. I soldi erano davvero pochi, è stato un periodo molto difficile.
Come hai vissuto quel periodo? Per esempio, io ho un ricordo pessimo delle medie.
Esatto, una merda. È un periodo che ho analizzato tanto con la mia psicologa.
Se i giornalisti mi chiedessero consigli su come fare i video, al pari di come io chiedo loro come si guidano le moto, alle presentazioni ci sarebbero ancora 30 giornalisti e zero youtuber
Da quanto tempo la frequenti?
L’ho frequentata per circa 6 mesi, all’inizio di quest’anno.
Ma era la prima volta?
No, no, spesso ci sono andato. La prima volta da bambino.
Perché eri problematico? Piantavi casini?
Sì e no, è difficile da spiegare. Diciamo che questa cosa l’ho capita quest’anno, proprio con lei. Ha dato una spiegazione nuova, a un sacco di miei problemi: mi ha definito “plus dotato”. Significa che riesci particolarmente bene in una serie di cose - io, ad esempio, ero molto bravo nello studio, capivo tutto - e però puoi avere degli altri problemi. Io ho sempre avuto grandi difficoltà relazionali. Sono stato anche vittima di bullismo!
E come è finito questo periodo?
Mi sono guardato intorno e ho pensato: “Perché a me sì e a lui no”? Mi sono messo a osservare chi aveva successo con gli altri e ho cercato di comportarmi allo stesso modo.
Emulazione.
Imparare! Come dire… modellare! Vedi qualcosa che funziona, fai un modello per capire cosa lo fa funzionare e lo applichi su te stesso. Tanti sui forum, quando gli mollavo 2 secondi al giro con una moto inferiore, dicevano: “Facile con la moto che va più forte!”. Stronzate. Chi lo pensa non migliorerà mai. Quando io trovo un pilota che mi da 5 secondi al giro, penso: “Bene, dove frena? Come sta in moto? Dove apre il gas, che traiettoria fa? Non lo fa perché ha la moto più forte della mia, lo fa perché è più bravo di me, quindi io posso imparare”. Questo è il sistema che bisogna applicare a tutto nella vita.

I campionati on-line, le estati a lavorare, fare come Mark Zuckerberg
Tu sei laureato in ingegneria informatica. Come hai scelto questa facoltà?
Inizialmente volevo fare ingegneria dell’autoveicolo a Torino. Poi, però, ho capito che, per il mio futuro, sarebbe stato meglio fare qualcosa che mi rendesse il più flessibile e indipendente possibile. L’informatica ti permette di creare qualunque cosa, in qualunque parte del mondo, molto più che di ogni altro tipo di ingegneria. È stata la scelta migliore che potessi fare.
Come hai coltivato l’ambizione di fare il pilota, parallelamente?
A 16 anni ho cercato su Google “come si diventa pilota”. Sono finito sul sito dell’ACI Sport e gli ho telefonato. Sai, pensavo fosse come una squadra di calcio che chiami e dici: “Mi fate un provino?”. Quindi telefono e dico: “Sì, salve, buongiorno vorrei diventare un pilota, dove si fanno i provini?”. Dopo qualche secondo di silenzio hanno riattaccato.
Sembra la scena di un film di Pozzetto.
Ho scoperto la dura realtà e cioè che per fare il pilota servono un sacco di soldi! Ma non è che servono soldi tipo “mi compri la racchetta che devo giocare a tennis?”. Cioè, no, servono soldi tipo: “mamma vendi la casa che non abbiamo” quindi… no.
Cosa è successo a quel punto?
Mio cugino stava buttando via un volante per i videogiochi. Io non avevo i soldi per comprarmene uno nuovo e me lo sono fatto dare. L’ho attaccato a casa al mio computer con il tubo catodico e scheda video del 1800 e ho iniziato a giocare, con la minima risoluzione possibile, ai videogiochi che trovavo online, fino a quando non ho conosciuto il mio amico Cesare.
Tanti sui forum, quando gli davo 2 secondi al giro con una moto inferiore, dicevano: “Facile con la moto che va più forte!”. Stronzate
Chi è?
Un ex pilota che organizzava un campionato on-line. Lui mi ha detto “sai fare video?”. E io: “assolutamente no, non so neanche da che parte iniziare”. Risposta: “Bene allora tu farai i video del campionato. Se accetti ti regalo un computer che potrai usare per montarli e per partecipare alle gare insieme a noi”. Montavo questi video e li commentavo come facevano in tv.
Come è andato il campionato?
Il primo anno ho vinto una gara, ma non ero ancora al livello degli altri. Così, l’estate successiva, mi sono detto: “ho tutta la vita per fare le vacanze: passo tutto agosto in casa, di giorno mi alleno sul simulatore e la sera vado a lavorare. Coi soldi mi compro un volante nuovo”. Quindi sono andato a fare il cameriere. La sera lavoravo e di giorno mi allenavo al simulatore. Ho saltato tutte le vacanze e ho fatto 2 mesi sul simulatore.
Ti è stato d’aiuto?
L’anno dopo, ero sempre tra i primi. Non ho vinto il campionato per 2 punti, ma ho vinto il premio in palio perché il primo era fuori classifica, essendo un pilota professionista: un test su una Formula Renault 2000, a Franciacorta.
Figata! Com’è andato? Hai girato forte?
Nonostante sapessi che se avessi rotto anche soltanto un braccetto da 200 euro, avrei finito di vivere (figurati se avessi sfondato la macchina, che costava 20k usata), ho girato a due secondi dal loro pilota titolare. Il team manager mi ha detto: “Guarda, sei andato bene, possiamo pensare di chiederti solo 50.000 euro per fare la prossima stagione”.

E lì cos’è successo?
Ho capito che non era impossibile, ma che dovevo inventarmi qualcosa di alternativo. Quindi ho continuato ad allenarmi con il simulatore e ho detto: “investiamo tutto nello studio”. Vedo Zuckerberg che è diventato miliardario e penso: “perché non posso farlo anche io?”. È un ragionamento tanto banale quanto forte, no? Perché è logico che non è che possa inventare il nuovo Facebook, però almeno inizi a fare qualcosa. E più cose fai, più inizi a smuovere le acque, più in là arrivi.
Hai fatto i soldi come Zuckerberg?
No, però un giorno ero a casa e un mio conoscente mi scrive su Facebook: “Oh mi voti per questo concorso? Voglio diventare pilota”. E io dico: “WHAT? Fermi tutti, cos’hai detto? Col cazzo che ti voto. Mi iscrivo anche io!”. Era un concorso organizzato da Abarth, si chiamava “Make it your race”. Per partecipare, era necessario produrre un video che motivasse la giuria a sceglierti.
Tutto è confluito in quella esperienza: montare video, parlare in camera, il simulatore.
Esatto. Pensa che il mio video era così bello che l’hanno messo come esempio sul loro sito per gli altri candidati e alla fine mi hanno preso. Non solo, sono arrivato in finale, uno dei 6 tra 30.000 candidati. E ho pure vinto! In premio mi hanno dato una vera 500 Abarth.
Mitico.
L’ho messa in vendita e mi sono trovato dal non avere nulla, ad avere 15.000 euro sul conto corrente. Ho mollato l’università, me ne sono andato di casa da una settimana all’altra e ho deciso di investire tutto nel progetto di un social network per appassionati di motori. Ho iniziato a bussare a tutte le porte, a chiedere se potessi vendere video e i miei servizi ai piloti, e ho aperto la mia attività che si chiama Racebooking.
Ci vorrebbe una licenza per commentare sui social. Un ranking dato dalle altre persone. Se sei uno stronzo gli altri lo devono sapere, no?
YouTube quando è arrivato?
In realtà tutto è iniziato da Facebook, nel senso che io gestivo la pagina di Racebooking in cui pubblicavo le foto di queste gare amatoriali. A un certo punto ho cominciato a fare anche dei video e la gente si gasava un sacco. La pagina iniziava a crescere, c’era fermento. Un giorno ho visto la manovra di un pilota che stava per cadere e ha recuperato la moto in una maniera incredibile. Ho preso la telecamera, l’ho girata verso di me e l’ho raccontata in prima persona. L’ho pubblicata su Facebook e quel video ha fatto 200.000 visualizzazioni.
Il botto!
Un giorno mi è arrivata una proposta di lavoro: un’agenzia voleva un video per un suo cliente. Mi invitavano a fare un viaggio e non è che mi dicevano “Ti paghiamo il viaggio”, mi chiedevano proprio quanto volessi. Non ci potevo credere.
Esistevano già gli youtuber all’epoca?
Era il 2017, esistevano da almeno 10 anni. Vedi, a volte abbiamo la soluzione ai problemi sotto al naso e non la vediamo neanche. YouTube esisteva da anni e io ci caricavo sopra le cronache di Racebooking, ma non mi era mai venuto in mente che se avessi girato la telecamera avrei potuto creare un canale da centinaia di migliaia di utenti.
Non ti bastava quello che guadagnavi con Racebooking?
Con Racebooking mi portavo a casa 2.000 euro al mese lordi, che può essere anche vagamente un buono stipendio, ma non per lavorare sette giorni su sette, in quella maniera. Quello stile di vita non era più sostenibile. Ho mandato via un preventivo che non era particolarmente caro, ma che corrispondeva di certo a molto di più di quanto non fossi solito guadagnare fino a quel momento, e il cliente ha accettato.

Alberto Naska oggi
Chi è oggi Alberto Naska?
Togliamo di mezzo la parola influencer, che non vuol dire niente. Anche il Papa influenza la gente. A me piace raccontare storie, per emozionare la gente. Credo di essere un artista.
Come cambierà Alberto Naska nei prossimi mesi?
Mi sto strutturando. Sto iniziando ad essere un po’ meno artista e un po’ più imprenditore. Ma ci vuole tempo.
Quindi non un cambiamento dal punto di vista dei contenuti ma una minore esposizione?
Non necessariamente minore. Però ho bisogno di avere più tempo per fare dell’altro. Da un lato voglio continuare la mia crescita come pilota, arriveranno contenuti più alti, arriverò a fare un campionato europeo, un campionato del mondo…
Che campionato europeo vorresti fare?
Delle Legends fanno un campionato mondiale. Di sicuro uno degli obiettivi è arrivare lì. Rispetto al campionato europeo non ti posso dire nulla, perché ci stiamo ancora lavorando.
Conflitto d’interessi nelle mie prove? Un utente può fidarsi di quello che dico al 100%
Ma non credi che la gente si sia stufata di questo tipo di contenuti, sui tuoi canali?
Non vorrei fare un esempio così grosso ma… perché la gente avrebbe dovuto continuare a seguire, per dire, Valentino Rossi, dopo che aveva già vinto due mondiali? Eppure tutti hanno continuato a farlo.
La differenza secondo me sta nel fatto che YouTube, Instagram, i social in genere, sono luoghi in cui succedono cose ormai slegate dalla realtà. Sono rappresentazioni di qualcosa che tu da utente osservi per intrattenerti. E ormai, noi tutti, siamo abituati a una continua serie di input, di stimoli. Abbiamo sempre bisogno di qualcosa di nuovo.
Io racconto la realtà: ci sono i sacrifici, quanto mi costa una stagione, come faccio a trovare gli sponsor. È super reale e, forse, le persone si identificano in me perché vedono uno che non aveva mai avuto una possibilità e che, a poco a poco, sta riuscendo a fare quello che desiderava. Ok, in campionati low cost, però ci sta riuscendo.
Quando ti ho conosciuto come personaggio, all’inizio me la prendevo con te perché guardavo i tuoi video e pensavo: “Cazzo, mi ha fregato di nuovo: ho guardato il suo video e non mi ha detto NIENTE”.
Il fatto che quando giri il manubrio a destra, ad esempio, la moto va a sinistra è una cosa che gli smanettoni sanno, i giornalisti sanno, i piloti sanno, ma che non sa chi ha appena preso la patente. Ecco perché ho fatto un video per raccontarlo. Tanti mi hanno detto: “Bravo, hai scoperto, l’acqua calda”. Eh bravo tu che lo sai, ma lascia che guardino i video quelli che non lo sanno.
Esiste, nel tuo lavoro, un tema “conflitto di interessi”? Quanto un utente può fidarsi delle tue recensioni o delle tue prove di un prodotto?
Al 100%. La fiducia è alla base di tutto quello che creo. Per dimostrarlo, tutti i prodotti che pubblicizzo li uso: l’abbigliamento tecnico lo uso, le telecamere le uso, eccetera.
Certo, però, ti faccio un esempio: tu sei un ambassador di Yamaha. È chiaro che se io guardo la prova della Yamaha MT-09, penso che quel video è il frutto dell’accordo con Yamaha. Se quella moto andasse male, lo diresti?
Non la pubblicizzerei, direi: “Signori non la pubblicizzo perché…”.
A proposito di moto, tornerai a usarne una in gara, dopo l’infortunio?
Lo sapremo alla fine di quest’anno. Innanzitutto devo capire se mi farà ancora male, a distanza di un anno. E poi devo capire quali occasioni si presenteranno per eventuali gare in auto. Se dovessi partecipare a un campionato europeo di alto livello, con sponsor grossi, non potrò rischiare di rompermi una clavicola durante una gara in moto.

La novità: Naska è fidanzato (e lei era con noi durante l’intervista)
Posso svelare una cosa ai nostri lettori? Qui con noi, in questo istante, c’è anche la tua fidanzata Thefy. Come vi siete conosciuti?
Era appena atterrata a Malpensa e mi è comparsa su Tinder. Ho visto che aveva il contatto Instagram e allora ho detto: “E facciamo valere sta spunta blu!”. Ho risposto a una sua storia e le ho scritto: “Ti porto a cena io stasera e lei mi ha risposto: ‘ok va bene’”.
Ma tu glielo hai detto in che condizioni eri? Non avevi anche il busto in quel periodo?
Thefy - Mi ha inviato una foto mentre volava dalla moto!
Alberto - Le ho inviato una foto e le ho detto “mi è successo questo”.
E tu, quando l’hai visto, cos’hai pensato?
Thefy - Lui stava seduto in macchina, io parlo tantissimo, ho visto che aveva la stampella, ma non gli ho chiesto cosa fosse successo.
Alberto - Io sorridevo. Per fortuna il busto non arrivava al collo. Lei ha parlato tutta la sera, ma io non ho capito nulla, perché non parlavo lo spagnolo. Facevo sì con la testa, le guardavo le tette e sorridevo. Per quel poco che capivo mi divertiva, perché lei è proprio una fabbrica continua di cazzate, come me.
Thefy - Io ho pensato: ho incontrato una persona idiota come me! (ridono, ndr)
Però all’inizio non volevi che si sapesse di lei, sui tuoi canali.
Thefy - Ero io che non volevo. Avevo un po’ di paura di questa sua dimensione pubblica. Avevo paura che per qualche motivo la gente mi avrebbe insultata e questo mi faceva paura. Però poi è successo il contrario, perché le ragazzine sono tutte carine, tutti carini.

La politica, le ciclabili, i no-vax e il diritto di commentare
Per chi vota Alberto Naska?
Non lo so, io dalla politica ci sto sempre molto lontano. È un mondo che ha delle dinamiche, talmente complesse, talmente estenuanti, talmente impenetrabili che ci sto veramente alla larga.
Peccato, volevo chiederti il tuo parere sulle piste ciclabili a Milano.
Guarda, quello che è certo è che in Corso Buenos Aires non si può andare avanti così. Mettetele nelle vie parallele, trovate una soluzione, ma così non funziona. Ma questa non è neanche politica, è razionalità.
Cosa ne pensi dei no-vax? Sono persone che votano, come noi.
A volte penso che bisognerebbe concedere il diritto solo a chi abbia superato un esame di politica. Perché se no ti ritrovi ad avere a che fare con persone che mettono crocette a caso su cose che nemmeno conoscono.
Esattamente quello che succede nei commenti a qualsiasi video di un qualsiasi creatore di contenuti su Youtube e Instagram.
Bisognerebbe darla solo ad alcuni la licenza di commentare. Bisognerebbe fare in modo che l’attività di ogni utente sia storicamente documentata. Se tu sei un hater, diffondi dolore e odio, e vai a un colloquio di lavoro, il tuo datore di lavoro deve sapere che passi le serate a rovinare il mondo. Tipo Black Mirror: hai un ranking dato dalle altre persone. Se sei uno stronzo gli altri lo devono sapere, no?