Ogni romanzo di Tullio Avoledo è un evento. Atteso, celebrato, gustato. È indispensabile fare questa premessa: questione di onestà intellettuale. Quando si parla dei romanzi dello scrittore friulano, non riesco a essere obiettivo. Ciò che nel corso di oltre vent’anni è stato prodotto dalla sua capacità visionaria è entrato a far parte del mio immaginario. È anche per questo che, per una volta, compio lo strappo alla regola di non scrivere usando la prima persona singolare. Tanto più che Tullio, nel corso del tempo, è diventato un amico. Sicché, se avessi usato il canonico “noi”, avrei rischiato di essere preso per i fondelli da lui. “Ma che è, plurale maiestatis?”. Il meccanismo di attesa-celebrazione-gratificazione non poteva non ripetersi con l’ultimo romanzo, arrivato da poche settimane in libreria. Il suo titolo è Come si uccide un gentiluomo (Neri Pozza, collana “I Neri”), e nel sottotitolo annuncia un programma: La prima indagine dell’avvocato Contrada. Dunque, si tratta del romanzo che inaugura una serie. E il centro di questa serie è un avvocato milanese, Vittorio Contrada, che, allevato professionalmente ed eticamente da un padre-squalo, sceglie di dare una svolta rivoluzionaria alla carriera e alla vita personale dedicandosi alla causa ecologista. La prende talmente sul serio da far convertire all’elettrico una vecchia Jaguar, che appartiene alla collezione del padre. Assieme alla collega, Gloria Almariva, Vittorio sceglie di patrocinare cause di alto valore ambientalista, e soltanto pro bono. Una di queste cause lo mette al centro di un intrigo di portata globale, quello intorno a cui si dipana la trama del romanzo. Cioè, la parte che dovete andarvi a leggere, se proprio ci tenete a sapere. L’avvocato Contrada giunge a questa svolta etico-professionale anche per l’esigenza di governare i fantasmi d’un passato che prima o poi fermenta e torna in superfice. Ponendo alla prova il cinismo che Vittorio usa come una corazza per l’adattamento al quotidiano fluire delle cose. Ci mette anche una dose di sana cialtroneria, che abilmente usa come un ferro del mestiere. Tipo: presentarsi una mattina in udienza all’ultimo momento utile, affrontare l’avvocato di controparte che aderisce perfettamente alla silhouette del principe-carogna del foro, improvvisare una strategia oratoria sgarrupata che più sgarrupata non si può. Talmente sgarrupata che infine riesce a fargliela avere vinta. È o non è performance, una prestazione da avvocato in aula? In questo primo romanzo della serie inaugurata da Tullio Avoledo si ha una prima definizione dei personaggi che la popoleranno. Su tutti, oltre al protagonista, c’è la menzionata collega: Gloria Almariva. I due, oltre alla professione e ai valori etici, condividono uno straordinario talento da tombeur de femmes. Capita addirittura che si invaghiscano della stessa donna, invariabilmente bellissima e molto più giovane di entrambi. E a quel punto, chi la vince questa competizione?

“Ho quella maledetta abitudine di affezionarmi ai personaggi. Vittorio e Gloria sono tutti e due belli e seducenti a modo loro”. Tullio Avoledo risponde alle domande collegato da casa. È un sabato mattina d’inizio marzo, il momento è propizio per realizzare qualcosa a metà strada fra l’intervista e la chiacchierata. Ovviamente, come sempre succede in questi casi, le cose più interessanti (e meno commendevoli) ce le siamo dette a registrazione spenta. Se volete sapere di cosa si trattasse, scrivetemi in privato che vi mando l’Iban. “Gloria è un personaggio pieno di contraddizioni – riprende Avoledo –, ha dei lati bui nel suo passato. Riguardo al modo in cui si regge il suo rapporto professionale e personale con Vittorio, mi interessava ricostruire la dinamica che c'è in certi film della Hollywood degli anni d'oro. Ad esempio, tutti i film della serie dell'Uomo Ombra col duo Powell-Loy. Ma anche Spencer Tracy e Catherine Hepburn. C'è una dinamica di scambio di battute e poi è proprio la differenza di genere che crea, secondo me, una possibilità di battute infinite, di una partita quasi a tennis, di insulti, di rimandi. E poi mi andava che fosse una competizione per la stessa donna. Questo lo trovo stimolante perché chi ce la farà?”.

Non credo di fare un eccessivo spoiler se dico che, alla fine della prima partita di questo lungo campionato, stiamo uno a zero per Gloria. Ma andiamo oltre e riprendiamo il tema della serie appena inaugurata. Come nasce l’idea, nell’officina creativa dello scrittore Tullio Avoledo?
L'idea di fare una serie mi è venuta pensando al fatto che questi due personaggi hanno a che fare con tematiche di crimini, di eco-crimini, quindi di crimini contro l'ecologia in senso largo. E di questi ce ne sono tantissimi. Ho molti amici giornalisti – io stesso ho fatto il giornalista – che indagano su queste cose, che scrivono per riviste internazionali o per riviste di un certo spessore. Loro più volte mi hanno dato degli spunti. C'è una massa di materiale che non si esaurisce in un libro solo.
Siamo colmi, fino alla saturazione, di serie i cui protagonisti sono commissari, investigatori, detective et similia. Tu invece hai scelto un avvocato. Come mai?
Ho fatto l'avvocato di banca per 33 anni e quindi ho visto cose che gli avvocati delle nuove generazioni non possono neanche immaginare. Una fauna incredibile. Dal punto di vista narrativo conosco solo scrittore che l'ha saputo descrivere bene: Diego De Silva. Nella storia di questo primo libro l'ambiente forense è descritto ancora in modo soltanto sommario. La prima indagine dell’avvocato Contrada è più una storia on the road. Ma nei prossimi libri della serie ci saranno più aule giudiziarie. Non a caso, in questo primo libro, ho dedicato alcune pagine a quello che per me è l'esempio della giustizia italiana: un enorme palazzo come quello di Milano. Stile fascista, con le scritte in latino eccetera. E poi, dentro, le stanzette per le udienze sono minuscole. Sono come se la giustizia fosse una questione di rappresentazione, di pompa, e non di concretezza. Io l'ho vissuto e penso che sia un ambiente che va studiato. Poi la fauna umana è incredibile.
Scegli di fare del tuo avvocato un professionista che si dedica alle cause ecologiste. Mi pare già di udire la critica: “Ecco Avoledo che fa il woke”. Ora, a parte che comincio a non capire più cosa sia questo woke, e che ne vedo quasi più a destra che a sinistra, ma tu questo problema te le sei posto?
No, in realtà e lo si vedrà nei romanzi che faranno seguito, i personaggi sono tutt’altro che woke. E io non lo sono assolutamente, anche perché è un'ideologia che rischia di avvicinarsi a una religione. Io sono agnostico per convinzione profonda e non per scelta di campo, e quindi voglio che ci sia uno sguardo critico nei confronti di questa cultura. Ad esempio, riguardo all'elettrificazione a tutti i costi; che andava bene nella Russia di Lenin ma un po' meno nel nostro mondo. L'altro giorno ho sentito parlare con entusiasmo, nel corso di un telegiornale, degli impianti che consentono di coltivare broccoletti e spinaci nel deserto della dell'Arabia. In un mio libro precedente, Non è mai notte quando muori, io affrontavo proprio questo tema. Cioè, quanto costa togliere il sale a un litro d'acqua? Costa tantissimo perché produce quella cosiddetta salamoia tossica che è fatta da metalli pesanti, veleno puro che poi viene smaltito in paesi africani. Assorbire il costo ecologico della decisione di tirar su broccoli nel deserto dell'Arabia. Fra l’altro, ho già ricevuto critiche per l’idea di fare elettrificare una Jaguar.
Ci stavamo arrivando.
Viviamo tempi paradossali. Io guido una diesel Euro 6 che consuma pochissimo, tra l'altro inquina pochissimo, e non vedo perché, per entrare in zona C a Milano, devo pagare un ticket quando entrano dei suv enormi che hanno un motorino da 3-6 kW che è puramente estetica. Inquinano molto più della mia. Sono sempre stato contro le politiche europee di elettrificazione a tutti i costi perché l'elettricità la produciamo con centrali a carbone o centrali a gas. Il woke andrebbe esercitato sui bersagli giusti.
Ma torniamo all’idea della Jaguar elettrica che ha fatto incacchiare qualcuno. Come viene fuori questa trovata?
Viene fatto davvero. Ci sono dei laboratori meccanici specializzati. Resta praticamente l'involucro, la vecchia carcassa dell'auto d'epoca e all'interno c'è questo nuovo cuore, ci sono le batterie. Non è facile da fare, ma alcune officine specializzate lo fanno, anche una delle mie parti. In realtà Vittorio è un amante del vintage, se vogliamo dirla, nel romanzo che sto scrivendo adesso gli faccio indossare un tabarro, un tabarro dello zio, lo stesso zio che gli ha lasciato in eredità l’appartamento nel centro di Milano. Vittorio scoprirà che con quello zio ha molte cose in comune. Lo sto scoprendo anch'io scrivendo: tante cose da raccontare sulla Milano da bere. Vittorio è appassionato di musica, ma ritiene che la musica fino agli anni Ottanta sia pura. Tutto quello che viene dopo, gli pare imitazione o variazioni sul tema. Ha queste manie qui per cui la Jaguar gli piace, ma credo che lo faccia in realtà per fare un dispetto a suo padre, perché è l'auto a cui suo padre teneva di più e quindi elettrificarla è come castrare Ribot, come castrare un purosangue. Lui in realtà, Vittorio, è meno buono di quanto sembri.

Nel romanzo c’è un riferimento al passaggio della pandemia. Che per tutti noi è un’esperienza da cui è scaturito un abisso. Ciascuno di noi lo ha colmato a modo suo. Ma nella storia che s’intreccia dentro il romanzo si parla d’altro: in quei mesi possono essere successe cose che nessuno ha visto, e da qui nasce l’intrigo al centro della trama.
È stato un periodo in cui, probabilmente, sotto il nostro naso sono avvenute delle cose strane. Io ho sempre presente quella missione militare russa sponsorizzata dal governo del nostro presidente del Consiglio di allora. Ogni tanto ho un brivido retrospettivo pensando a quello che è successo in Italia, a chi ci ha guidati in quei momenti tremendi, ma non è che il resto del mondo fosse messo meglio. L'idea che sia un virus nato in qualche laboratorio l'ho sempre avuta. È stato un periodo in cui abbiamo subito delle cose limite, ai confini della realtà, episodi da Black Mirror. Io ho ancora negli occhi, e soprattutto ancora in mente, quel povero runner, come lo seguivano, lo filmavano e sembrava la caccia. Una di quelle cacce ai ricercati che le tv americane fanno vedere in diretta. Abbiamo vissuto delle cose incredibili e le abbiamo metabolizzate. Abbiamo imparato a fare la coda, una cosa che da noi non avveniva da 70 anni, a fare la coda per comprare il pane o il lievito, entrare uno per uno, irreggimentati. Mancava il pungolo elettrico o lo storditore, però per il resto abbiamo vissuto un periodo strano, molto strano. Poi il mondo poi ha ripreso a essere come prima e questo per me è stata una delusione. Pensavo che saremmo cambiati. Non migliorati, perché la razza umana non migliora. È il vino che migliora, semmai, con gli anni, e non tutto nemmeno. Però mi aspettavo qualcosa di più dall'umanità, invece abbiamo peggiorato le cose. Insomma, adesso l'importante è fatturare, produrre, riprendere, ma riprendere cosa?
Nei tuoi libri c’è molta Milano. Ma anche il tuo Friuli, come nel romanzo appena pubblicato.
Ho due figli che vivono a Milano per studio e per lavoro. Quindi è una città che devo per forza conoscere. Però è una città che presenta grandi contrasti. Per me le città sono sempre state divoratrici di esistenze e di valori, quindi non le amo. Mi sono trovato d'accordo col vecchio Muammar Gheddafi solo sul fatto dell'odio per le città e dell'esaltazione del deserto. Però mi andava che ci fosse un contrasto tra questo mondo caotico, frenetico, dove è normale ordinare un Glovo e far correre un povero pakistano o indiano per chilometri e chilometri, di corsa nel traffico nello smog per portarti la pizza o il sushi a casa. Mi andava di mettere il contrasto molto forte con una realtà edenica e idillica come quella del Friuli che descrivo, che esiste, non ho inventato. Non è uno Shangri-La o un mondo alternativo da un'altra parte di un portale fantasy, no. È proprio un mondo che esiste ancora e che è minacciato da pericoli ignobili. Io dico sempre che il Friuli ha in mano dei tesori, ma non riesce a innamorarsene. Quando penso che una pineta come quella di Lignano viene considerata dagli stessi abitanti di Lignano Sabbiadoro un qualcosa da bonificare, da estirpare, perché? Perché è sporca. Ma la natura è sporca, la natura non è ordinata, la natura non segue le linee rette, non prevede il giudizio. La natura è una cosa seria. Non sempre è piacevole, però è anche un polmone, è quello da cui veniamo. A molti vorrei far toccare la realtà. Tipo, gli passerei la pelle delle mani sulla corteccia di un pino marittimo, gli farei sentire l'odore della terra, magari gliela farei assaggiare. Perché stiamo cominciando a diventare esseri che vivono più nel virtuale che non nel reale, questo è. Era quello, è quello che succede anche il protagonista del mio libro. Arrivano lì, da questa Milano, da musica, auto elettriche, eccetera, e si trovano in un mondo dove ci si infanga le scarpe, dove la tua auto non va perché non sale in collina, dove chi ti guida, questa bellissima ragazza, ti dice quanto è meraviglioso fare la pipì nel bosco, sulle foglie. Cioè, Vittorio e Gloria scoprono un mondo che in realtà tutti dovremmo scoprire e amare. E di cui dovremmo avere anche paura, ogni tanto.
Dalle pagine del libro viene fuori un tema già cruciale in termini geopolitici: i conflitti per accaparrarsi la risorsa acqua.
Sono un friulano anomalo perché, oltre a bere altre cose, bevo anche tanta acqua e mi piace la qualità dell'acqua. Ho imparato, credo, da un gesto che è stato fatto da Nico Naldini, che era uno scrittore, poeta, cugino di Pierpaolo Pasolini, morto qualche anno fa, che non a caso poi ha voluto che le sue ceneri venissero disperse nel Tagliamento. Io l'ho visto a una cena bere un bicchier d'acqua come non avevo mai visto farlo a nessuno. L'ha preso nelle mani a coppa, l'ha portata alla bocca e l'ha sorseggiata con una lentezza che era quasi un gesto religioso, un gesto sacrale. Perché, mi ha detto, io vivo la gran parte del tempo in Tunisia e lì l'acqua potabile non è una cosa così garantita. Noi vediamo da tempo delle guerre in Africa, in Asia e anche in Sud America per il controllo dell'acqua. In Russia hanno distrutto i mari interni che erano di acqua potabile. Noi nel Friuli abbiamo fatto lo stesso e l'abbiamo fatto con le derivazioni per centraline elettriche. Non l'abbiamo fatto noi friulani. Quasi tutte le società che sfruttano l'acqua dei nostri fiumi hanno sede a Milano, a Verona, comunque fuori regione. C'è stato, qualche giorno fa, un mio amico di Facebook che mi manda un filmato e mi fa vedere il But, uno dei principali fiumi friulani, completamente a secco. Un disastro ecologico perché tutti i pesci sono morti. Un fiume seccato.
Come te lo spieghi?
Perché c'è qualcuno che a monte, girando una valvola, chiude. Spegne un fiume. Diciamo che in questo momento tutta l'acqua della mia regione è controllabile da centrali che non necessariamente hanno sede qui. Abbiamo dei sindaci che d'estate devono pregare le compagnie elettriche di dar loro un po' d'acqua per dar da bere agli abitanti, altrimenti tocca rifornirli con l'autocisterna. E hanno fiumi e ruscelli che per migliaia e milioni di anni hanno avuto il loro corso naturale. Questa è una cosa terrificante. Ci sono delle guerre future e di una ha parlato molto diffusamente un mio amico giornalista, Marzio Mian, nel suo libro Guerra bianca. Lì spiega come lo scioglimento dei ghiacciai polari apre nuove rotte commerciali. E quindi quando Trump fa la sparata di dire “compriamo la Groenlandia” o “prendiamoci la Groenlandia”, la cosa prende senso. Il controllo di quelle zone dell'Islanda e della Groenlandia, di cui nessuno fino a pochi anni fa avrebbe pensato di farsene nulla, è diventato strategico. E l'acqua è una risorsa strategica purtroppo. Noi abbiamo dei laghi creati da queste derivazioni per centrali elettriche che sono apparentemente bellissimi. Sono laghi da cartolina, però sono morti. Non c'è fauna, non c'è niente. E questo è il futuro che qualcuno vorrebbe, contro cui io mi batto in tutti i modi possibili.

Ahimè, dobbiamo arrivare alle dolenti note. Dato che siamo connessi su Facebook, so che da un po’ di tempo ti diverti a commissionare trame e testi impossibili all’intelligenza artificiale. Poi li pubblichi nella tua bacheca social. Robe al di là del bene e del male. Temo che questa cosa ti stia un po’ prendendo la mano.
(Ride, ndr) Ma sai, allora, io sono sempre stato appassionato di informatica. In generale, quella per la tecnologia è stata una passione di famiglia. Mio papà si svegliava la mattina e decideva di installare i primi pannelli solari che avevano un rendimento minimo. Mio padre si entusiasmava per le innovazioni tecnologiche e me l'ha trasmesso. Il mio primo lavoro pagato regolarmente è stato in una ditta che produceva computer, proprio li costruiva qui in Friuli, l'Asem. E quindi io sono stato tra i primi ad avere gratis dall'azienda perché li testavo e li utilizzavo i primi 286 e 386. Giocavamo già a quell'epoca online, con una lentezza spaventosa, a Red Storm Rising, un gioco di guerra, in collegamento con la California. Non sono innamorato dell'intelligenza artificiale, però in un periodo di stupidità naturale, cioè quella degli esseri umani, io vedo che l'intelligenza artificiale, se guidata bene, fa delle cose meravigliose. Riuscire a produrre, allora, è sempre più difficile perché ci sono delle censure incredibili che poi spariscono quando utilizzate. Per esempio la versione a pagamento. Lì puoi fare quello che vuoi. Se paghi, puoi fare. Più paghi, più libero sei. E questo è un aspetto che mi induce a cercare da quel delinquente che sono, in fondo, di dirottare l'intelligenza artificiale e farle fare le cose che voglio fare io, ma gratis. E non c'è niente di più bello di fregare un computer usando l'arma della parola per uno scrittore. Però è anche molto utile nel senso che, per la cosa che sto scrivendo, avevo bisogno di una canzone degli anni Ottanta che fosse credibile e che parlasse dei paninari.
E com’è andata?
Ho chiesto a Chat Gpt, gli ho dato tutte le coordinate possibili, me l'ha fatta, poi sono andato a fare il reverse engineering, sono andato a prendere la canzone, a vedere se tutti i riferimenti erano corretti per l'epoca, e lo erano. Questo mi piace, non quello di dire all’intelligenza artificiale: “Senti, che devo scrivere qua? Cioè, cos'è che venderà di più tra sei mesi? Il romanzo, la protagonista deve essere nera, bianca?”. Io preferisco farne un uso più fantasioso. È come avere un servo. Non è particolarmente intelligente, ma se gli dici bene cosa deve fare, te lo fa. Ed è anche creativo, ti sorprende a volte. Ho chiesto di farmi una canzone di Bruce Springsteen che condanni l'elezione di Trump e di Musk. Me l’ha fatto, ed era bellissima. Quindi siamo in piena ucronia. Per uno che ama la fantascienza come me ci sto vivendo. Però questo ha una piena corrispondenza con Trump che dice: “Ma l'ho scritto davvero io?”. Ci troviamo a essere governati da questa specie di avatar senza memoria. Cioè, che possono dire una cosa al giorno. Lo stare pactis, il rispettare gli accordi, ad esempio, è un principio che vale dall'età della pietra. Adesso è saltato completamente. Non ti puoi fidare più di nessuno. E questo è qualcosa di terribile. Se penso alla grandezza, adesso attualmente c'è questa, io passo metà del mio tempo su internet a bannare gente ormai, faccio le pulizie di primavera in anticipo, perché ad esempio c'è questa idea che dobbiamo evitare la terza guerra mondiale, quindi dobbiamo arrenderci, anzi non noi, gli ucraini devono arrendersi. E io penso a quando Churchill ricevette l'inviato del presidente Roosevelt e lo fece viaggiare per l’Inghilterra, gli fece vedere i bombardamenti, i danni, gli fece vedere che era un paese ormai ginocchio, allo stremo. Però gli fece anche cogliere quei segnali di resistenza, di nobiltà che fecero capire all'inviato di Roosevelt che era di fronte a un popolo orgoglioso che non si sarebbe mai arreso. E mi commuovo ancora a ricordare quale fu la risposta.
Cioè?
Quando Churchill alla cena il giorno prima che l'inviato di Roosevelt se ne tornasse in America gli chiese: “Allora cosa mi dice?”. L'americano citò il libro di Rut della Bibbia, dove Rut dice – Rut è una straniera, non ha niente a che vedere con la tribù del futuro marito, ma dice – “Io ti sposerò, la tua casa sarà la mia. E la mia vita sarà legata alla tua. Dovunque tu sarai io sarò e qualunque cosa ti accada nella vita io sarò al tuo fianco”. E quella sera piansero tutti a quella tavola. E piango io ogni volta che lo leggo, perché sento una nobiltà e una fierezza e un rispetto del coraggio e dell'orgoglio che non sento più nella vita di tutti i giorni, e soprattutto non la sento nei telegiornali, ma nemmeno nei commenti di quelli che dicono di essere miei amici su Facebook. Amici ciao. Io ho la mia visione della vita. Con il libro I cani nella pioggia ho rotto i rapporti completamente con i miei editori russi, con il mio pubblico russo, ma sentivo che era una questione di dignità e di verità. Quindi non vedo perché dovrei cedere alla realpolitik, ammesso che sia una scelta saggia quella di dire 'cediamo' quei territori, perché i prossimi poi saranno le repubbliche baltiche. Credo sia il momento di trovare un po' d'orgoglio e rileggere magari la Bibbia o quelle che erano le lettere dei partigiani dalla cella in cui aspettavano di essere giustificati; quelli non hanno detto “beh, in fin dei conti i tedeschi non sono poi così cattivi, amano la musica, amano la cultura”. È un momento in cui bisogna prendere decisioni e bisogna essere coerenti con sé stessi a qualunque costo.
Ma allora, per chiudere, devo proprio farti la domanda alla Marzullo: in questa epoca di intelligenze artificiali e post-verità, quale può essere il rapporto fra la letteratura e la verità?
Ah, bella domanda. Lars von Trier, che è un regista magari pesantino, ha detto però una cosa importante. Io l'ho fatto santo in un libro assieme a Philip Dick di una chiesa futura perché ha detto che per vedere la realtà bisogna defocalizzare. Tu non troverai mai la realtà guardando le cose “attraverso”. Certamente, guardando uno schermo televisivo, leggendo un giornale, puoi cogliere però dei segnali sottotraccia che ti danno un'idea; puoi guardare di sguincio la realtà e vedere cosa succede, vedere come ti risponde un commesso al supermercato quando sei del colore sbagliato, vedere cosa succede in autostrada. Ci sono dei segnali che si colgono. C'è una realtà reale e c'è una realtà immaginaria condivisa. Io nei miei libri cerco di anticipare la realtà e ogni tanto ci riesco. Anticipo le cose perché credo di aver colto in tutto e in parte i meccanismi della realtà.
