A24 in purezza: è The Smashing Machine di Benny Safdie, primo lungometraggio in solitaria senza il fratello Josh, presentato alla Mostra del cinema di Venezia. Il film è tratto dalla storia vera di Mark Kerr, pioniere delle Mma, quando la Ufc era ancora agli inizi. La sua carriera, infatti, si sviluppa soprattutto in Giappone, in un’altra federazione. Interpretato da “The Rock” Dwayne Johnson, Kerr è un ex wrestler imbattuto che si reinventa nelle arti marziali miste. Al suo fianco ci sono l’amico e allenatore Mark Coleman (Ryan Bader) e la moglie Dawn (Emily Blunt): due contrappesi nella vita del protagonista, il primo moderato, la seconda più inquieta. Kerr sembra invincibile. Ma questa è una Mostra in cui anche la scorza più dura rivela qualche crepa. E infatti perde contro un atleta ucraino interpretato da Oleksandr Usyk, campione di tutto nella boxe reale. La sconfitta, devastante, contribuisce ad aggravare la dipendenza da oppiacei del fighter. Segue una pausa dal ring e un percorso di riabilitazione. Qui comincia la vera storia di The Smashing Machine.
Come per Il maestro, anche qui sarebbe troppo facile parlare dello sport come metafora della vita. È la sconfitta a innescare la caduta di Kerr/The Rock. Le premesse c’erano già, ma prima di finire al tappeto il lottatore non aveva mai considerato le conseguenze di un fallimento. Per lui, semplicemente, non esisteva. La grana del 16mm è persino più grezza di quella di Uncut Gems (in quel caso alla regia c’erano entrambi i fratelli) e, come nel film con Adam Sandler, anche qui lo sport diventa un pretesto per raccontare altro. Lì a legare fiction e realtà c’era Kevin Garnett, qui Usyk. È come se i Safdie volessero mantenere sempre un filo con il mondo extra-cinematografico, portando un elemento documentaristico dentro la narrazione. Il rapporto che si crea tra due lottatori, spiega Kerr, è talmente viscerale da valere un orgasmo. Dalle Mma all’umano, fino alle conseguenze dell’essere una stella: l’egocentrismo del protagonista non lascia indifferenti le persone che lo circondano. In questo senso Dawn diventa fondamentale nella seconda parte del film, soprattutto grazie al talento di Emily Blunt. In Sala Grande ci sono stati quindici minuti di applausi per Benny Safdie e il cast. The Rock ce la mette tutta: pur non essendo un trasformista – il make-up non basta a fargli dimenticare il “suo” personaggio – raggiunge forse qui il suo massimo livello attoriale, difficile da replicare. E altrettanto difficile sarà vederlo di nuovo alla Mostra. The Smashing Machine, comunque, al Lido punta al Leone.

