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Angelo Duro “faro artistico” della destra al cinema? Risponde il regista di “Io sono la fine del mondo” Nunziante: “Vi dico qual è il problema”. E cita (senza citarlo) Vannacci per attaccare la sinistra

  • di Domenico Agrizzi Domenico Agrizzi

21 gennaio 2025

Angelo Duro “faro artistico” della destra al cinema? Risponde il regista di “Io sono la fine del mondo” Nunziante: “Vi dico qual è il problema”. E cita (senza citarlo) Vannacci per attaccare la sinistra
Tutto è politica, anche Io sono la fine del mondo di Gennaro Nunziante con Angelo Duro. Il film è primo al box office italiano, con quasi 6 milioni incassati. Stefano Cappellini di Repubblica lo ha definito il “faro artistico” della destra e “il piede di porco dell’egemonia culturale”. Ma è davvero così? Gennaro Nunziante ne ha parlato a Marco Giusti di Repubblica: “Il problema è la semplificazione di tutto”. E cita (senza citarlo) Roberto Vannacci e la sua elezione come l’esempio di cosa la sinistra sia stata in grado di creare: “Ma li paga per ricevere tutta questa attenzione?”. E chiude sui giovani: “I comici che vediamo al cinema hanno 70 anni. Possibile non si riesca ad avere comici più giovani?”. Le nuove generazioni, però, sono migliori di quanto si creda

di Domenico Agrizzi Domenico Agrizzi

Angelo Duro, protagonista di Io sono la fine del mondo, diretto da Gennaro Nunziante è stato definito da Stefano Cappellini di Repubblica “il faro artistico” della destra, “il piede di porco dell'egemonia culturale”. Questo perché lo stand up comedian di certo non rispetta i nuovi standard stabiliti dal cosiddetto politicamente corretto. Di questo si può discutere. La certezza, però, sono i numeri: quasi 6 milioni incassati in poco più di due settimane di proiezione. È il primo titolo al box office italiano del weekend appena concluso, davanti a L’abbaglio di Roberto Andò con Toni Servillo e Ficarra e Picone e Diamanti di Ferzan Ozpetek, che ormai ha superato i 14 milioni di euro complessivi al botteghino. La campagna promozionale di Io sono la fine del mondo va controcorrente: zero attività stampa, con Angelo Duro che ha presentato il film in alcune sale. Certo, il suo seguito social è importante, e questo può aver influito positivamente. Resta comunque un successo. Ma tornando alla questione politica. Il regista Gennaro Nunziante, noto per i film con Checco Zalone e Pio e Amedeo, ha parlato a Marco Giusti di Dagospia. “Il pubblico è intelligente, capisce tutto, molto più di quello che si pensi”, ha detto, e definisce la pellicola come “un classico romanzo di formazione”, in cui il protagonista “nasce storto per diventare dritto”. Cita un altro film che mette al centro l’evoluzione del personaggio principale. Si tratta de Il cattivo tenente di Abel Ferrara: “Non lo vedessero altrimenti daranno del nazista a Keitel”, ironizza Nunziante.

Il regista di "Io sono la fine del mondo" Gennaro Nunziante
Il regista di "Io sono la fine del mondo" Gennaro Nunziante
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In Io sono la fine del mondo Angelo torna a casa dai genitori anziani, colpevoli (loro e non il protagonista) di aver formato un figlio così cinico: “Io vi vengo a restituire quello che mi avete dato”. Il sorriso finale, però, dimostra che la rabbia può essere superata. Nell’intervista con Giusti cita Giorgio Gaber (“Nelle case non c’è niente di buono appena una porta si chiude dietro a un uomo”) e Marcel Duchamp (“L’uomo da quando è diventato domestico è tornato primitivo”). Il problema di fondo, causa della miopia nella considerazione del suo film, è dovuta, secondo Nunziante, all’estrema “semplificazione di tutti e di tutto”. E non risparmia dalle critiche neanche la sinistra, colpevole di aver reso un “ex militare (ovviamente Roberto Vannacci, ndr) un euro deputato e chissà cosa ne farà in futuro continuando a parlare di lui. Ma li paga per ricevere tutta questa attenzione?”. Se “Negli anni Settanta c’era una sorveglianza politica, un’attenzione, che non ti faceva dire puttanate”, oggi questa manca. Tutti possono dire e scrivere di ogni argomento. E Nunziante si auspica un ritorno dei giovani nella commedia: “Nel nostro cinema urge un ricambio generazionale. I comici che vediamo al cinema sono tutti adulti, 60-70 anni. Possibile non si riesca ad avere comici più giovani? Appena fanno un film li uccidono. Abbiamo l’obbligo morale di dargli una mano, aprire a nuovi linguaggi altrimenti tutto cristallizza per diventare cultura geriatrica”. Una generazione di “ragazzi arrabbiati”, che hanno bisogno di tempo – come tutti i registi - per girare un film dignitoso: “Non puoi massacrarli facendogli girare un film in quattro settimane. Devi dargli sostanza, un film da otto settimane, girato come si deve che può stare sul mercato con dignità, altrimenti il rischio che corri è di farlo sembrare un prolungamento del loro sito web”. Eppure, il regista si dice fiducioso, dato che “Le generazioni nuove sono migliori di come si pensa. Non gli vendi più la bufala di destra e sinistra, ti ridono in faccia. Però le devi saper guardare, osservare, capire, e soprattutto fargli spazio, lasciarli passare”.

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