Babygirl con Nicole Kidman, Maria con Angelina Jolie, poi Diva Futura e Queer: nell’intervista al critico Marco Giusti si è parlato di tutti questi film. E, ovviamente, dei loro interpreti principali e dei registi. Giusti ha anche sottolineato come, in certi casi, i critici non siano sempre in grado di cogliere il senso di un film: tra i fraintendimenti, per esempio, quello su un altro film di Luca Guadagnino, Challengers, per alcuni un “film gay”. Ma non per il critico di Dagospia: “È un film sul controllo che il personaggio di Zendaya esercita sugli altri due ragazzi”. Aggiunge che Queer è “un film meraviglioso” addirittura superiore. Mentre su Diva Futura e Supersex evidenzia come l'originalità non risiede nel fatto che si sia semplicemente riscoperta quell’idea di sessualità. L'elemento curioso è che “quelle storie siano finite in mani di donne (Giulia Steigerwalt per la regia di Diva Futura, Francesca Manieri per la sceneggiatura di Supersex, ndr)”. Parte della chiacchierata, però, è dedicata anche al cinema italiano nel suo rapporto con l’estero, i casi di Paolo Sorrentino e Guadagnino, del “kolossal” M. Il figlio del secolo e di come i produttori finiscano per danneggiare, talvolta, i propri stessi film: “Vale la pena farli fare all’intelligenza artificiale”. E ci dà un parere su Pietro Castellitto, sia come attore che come regista.
Marco Giusti, cosa ne pensi di Babygirl? Paolo Mereghetti ne ha parlato come di un film un po’ moralista, mentre tu l’hai definito per certi versi comico.
Quando uno scrive lo fa in maniera rapidissima, quindi a volte capita pure di sbagliare, spesso non hai nemmeno quadro esatto di cos'è esattamente il film. Di solito conviene affidarsi alla propria pancia, quindi se un film è divertente, se un film ti porta su altre strade rispetto a quelle a cui avevi pensato, allora meglio così, perché la pellicola smette di essere ovvia. Babygirl parte come un dramma e diventa una commedia, però è voluto.
Era facile fare il confronto con la Maria Callas di Angelina Jolie.
Il film con Nicole Kidman era stato trattato molto bene dalla stampa inglese e americana, mentre Maria no. Già questo, come dire, mi fa sentire in buona compagnia, ho beccato almeno il gusto generale. Certo, non sempre funziona questa cosa in stile di Rotten Tomato, però in generale funziona. Poi Babygirl è pieno di riferimenti quasi parodistici.
Tipo?
Per l’esempio l’inizio di Eyes Wide Shut, in cui c’è lei con le chiappe di fuori. Nella storia si tratta anche del tema dell’intelligenza artificiale. Insomma, non è un film così banale o così sballato. Ma sia i critici che i produttori spesso sbagliano film, come è accaduto nel caso di Challengers di Luca Guadagnino.
Cosa era successo?
Io l'ho visto a Roma con tutti i vecchi produttori romani e la reazione è stata: “Ah, è un film gay”. Mi dispiace ma no, era una prospettiva sbagliata.
E quali sono le ragioni di queste cattive interpretazioni?
Quelli sono temi che un vecchio pubblico non conosce. Sicuramente riconoscono le ossessioni di Nanni Moretti, ma dopo 60 anni che ne parla... Challengers è un film sul controllo che il personaggio di Zendaya esercita sugli altri due ragazzi e proprio per questo non è un’opera gay. Semmai è un film sul controllo e su come riuscire a mettere in scena la relazione tra due amici maschi all’interno di un triangolo amoroso. Però, ripeto, credo sia dovuto a una differenza generazionale.
Ci sono altri aspetti in cui questo appare evidente?
Una ragazza giovane sa esattamente quando in un film c'è un comportamento scorretto di chi ha realizzato quella scena.
Ora ci sono anche gli intimacy coordinator a regolare certi meccanismi.
Però loro agiscono più che altro sulla sceneggiatura. Se hai un’inquadratura piuttosto che un'altra, uno sguardo piuttosto che un altro, quella cosa cambia molto. Però noi vecchi critici siamo nati e siamo cresciuti in un cinema fatto da maschi, scritto da maschi per un pubblico di maschi. Il pubblico della commedia all'italiana era fatto da maschi ed era visto da maschi. Infatti, i problemi di corna erano rappresentati solo dal punto di vista maschile. Nel film della Kidman il desiderio e l’orgasmo sono femminili, a un certo punto dice ad Antonio Banderas che non le ha dato un orgasmo da 19 anni. Quanti di noi vecchi critici abbiamo dato orgasmi?
Sarebbe una statistica interessante da rilevare. Di Monica Bellucci e della sua interpretazione molti ne hanno parlato male. Tu cosa pensi?
Povera Monica Bellucci! Allora, non è Anna Magnani chiaramente, però nel film di Tim Burton ha un ruolo ben costruito da un regista bravo. Trovo una cosa profondamente ingiusta attaccare Monica Bellucci in questo caso. Però è talmente bella che ha sempre dato noia.
Lei poi è uno dei nomi conosciutissimi fuori dall’Italia. E di apertura l’estero del cinema si parla molto in questo periodo.
A livello produttivo qualcosa si muove, anche Maria è mezzo italiano, diciamo così. Poi l’attesa è per M. Il figlio del secolo. Una serie kolossal tratta da un libro anch'esso kolossal e girata da un regista americano. Però anche questo caso è emblematico: hai dovuto chiamare un regista straniero per un lavoro del genere. In Italia, poi, c’è l’abitudine, per le serie, di affidare a più registi i vari episodi. E spesso, credo, non escono delle cose fatte bene.
L’Italia ha comunque film forti in concorso: Campo di battaglia di Gianni Amelio e Queer, che abbiamo già citato.
Sì, quello di Guadagnino è fatto interamente a Cinecittà, anche se non ha attori italiani, ma tutti, dal montatore allo scenografo, sono professionisti italiani. È un film meraviglioso, quello sì che è internazionale.
È giusto dire, come sostenuto dal direttore Alberto Barbera in un'intervista, che il cinema italiano deve partire da storie che siano scritte meglio?
Noi abbiamo prima di tutto un problema di nomi di sceneggiatori. Sono pochi gli sceneggiatori bravi, in grado di costruire un film o una serie di alto livello. Ricordo Stefano Bises, che ha fatto un ottimo lavoro per M., e Francesca Manieri, già tra i nomi coinvolti in We are who we are, sempre di Guadagnino, e Supersex, magari una serie un po' meno riuscita ma che ha comunque un’identità molto forte. Io ho lavorato con Massimo Gaudioso che è bravissimo. Il problema, però, è che questi lavori vengono anche rielaborati.
Cosa intendi?
Capita, non sempre ovviamente, che il produttore dica: “Bisogna cominciare con una scena crime oppure una romantica”. A quel punto il film è già finito, tanto vale farlo fare all’intelligenza artificiale. È complicata la cosa, non si può guardare da un'unica punto di vista. Non credo sia però un caso che i due autori di respiro internazionale, Guadagnino e Paolo Sorrentino, si producano da soli.
Pietro Castellitto può imporsi come autore?
Ma un autore lui sicuramente già lo è, però il secondo film è andato talmente male che sarà complicato il proseguo. Il primo era molto carino. Inoltre, era su un tema forte, come la nuova destra, il rapporto con la classe borghese. Era un film pre Giorgia Meloni, mentre Enea è un film post.
E come attore ti piace?
Come attore è fantastico, in Diva Futura fa un Riccardo Schicchi eccezionale. Come regista vediamo, il secondo film è sempre il più difficile. Stiamo a vedere con il terzo.
Perché questa attenzione nei confronti di quegli anni in cui nacquero Diva Futura, delle star del cinema hard, del sesso?
Non credo sia questo il punto. La cosa più interessante è che noi abbiamo avuto un cinema estremamente scorretto nei confronti delle donne fino a pochi anni fa, perché c'erano i generi, i ruoli minimi per le donne, la commedia italiana, il cinema d'autore che era comunque scorretto, pensiamo per esempio a Michelangelo Antonioni. Il punto più alto e più folle fu quando tutto questo sprofondò nel cinema erotico, prima soft e poi hard. Allora, nella rilettura di quello che abbiamo vissuto negli anni Settanta e Ottanta, è curioso il fatto che siano proprio le donne a prendere in mano queste storie di sesso. Però sono film femminili, cioè vogliono rileggere in una chiave diversa un mondo estremamente maschile. Ripeto: non lo considero una specie di ritorno di quel tipo di sesso. È piuttosto una rilettura di quell’immaginario dove i maschi erano gli unici spettatori.
Tu hai conosciuto Riccardo Schicci, giusto?
Sì, lo conoscevo molto bene. Quando è morto mi chiamarono per scriverci un film. E io pensai subito che fosse un’idea stupenda, a condizione però che ci fosse la Warner Bros a produrre. Diva Futura è prodotto da Matteo Rovere, però Warner Bros. lo presenta, quindi ci avevo visto giusto. Di sesso però non c'è niente. Le prime commedie con Moana e Ilona Staller facevano morire dalle risate, c’erano ancora i doppiatori romani veri. Quel lato lì però nel film qui a Venezia non esiste. C’è questa cosa quasi di sitcom familiare sul cinema hard e sulle star di quel periodo riviste da una donna. È un'altra cosa.
Tu hai scritto anche di Kill the Jockey, di Luis Ortega: anche quello, sempre tornando al discorso che facevamo per Challengers, potrebbe non essere apprezzato da una certa generazione di critici.
Sì, un pubblico giovane, più fluido come testa, lo capirebbe sicuramente meglio. Però c’è un altro film che mette meglio in evidenza un contrasto generazionale.
Quale?
Quello di Giovanni Tortorici, Diciannove. È un tema che un tempo era molto forte, pensiamo a I pugni in tasca di Marco Bellocchio, quello della rivolta contro i genitori. Questo è forse l'unico film che parla di una simile relazione.