Sul red carpet della Mostra del cinema di Venezia 2024 c’è anche la politica, come spesso accade. Lino Musella e Laura Morante hanno scelto di portare dei simboli pro-Palestina sul tappeto del Palazzo del cinema. Al Lido c’è anche la guerra, quindi. E ci sono anche i film che ne parlano. Su tutti, Campo di battaglia, di Gianni Amelio con Gabriel Montesi e Alessandro Borghi. Quest’ultimo, in conferenza stampa ha parlato così: “Mettere la bandiera della Palestina su Instagram non fa finire la guerra”. Impossibile non vedere nella guerra rappresentata nel film (la Prima grande guerra) un pretesto per parlare di oggi, e dunque di ciò che sta accadendo anche a Gaza. È naturale che ciò accada, ed è giusto così: Gianni Amelio è un grande regista e sa che le storie del passato, al cinema, diventano un chiave di lettura per il nostro presente. “Un post sui social non serve”, la sintesi del messaggio di Alessandro Borghi. Ma se fosse stato un altro attore a pronunciare quelle parole, magari meno amato, meno famoso e meno talentuoso (e meno bello), non si sarebbe scatenata una reazione? Non sarebbe stato, forse, accusato di “benaltrismo”, o di non aver ben compreso il suo ruolo di “personaggio pubblico”? Non sarà che l’interprete di Supersex ha raggiunto un livello di popolarità tale da renderlo immune dalle critiche? Chiariamo subito: Borghi durante un’altra intervista ha detto che si augura lo stop al genocidio e che, quando ha sentito Kamal Harris sostenere Israele “mi sono cadute le braccia per terra”. Ciò che prenderemo qui in considerazione è il modo con cui l’attore ha comunicato questo suo messaggio. Il protagonista di Campo di battaglia è da anni uno degli attori più apprezzati dal pubblico italiano (forse solo Pierfrancesco Favino può competere): prima con Suburra e la sua performance come Aureliano Adami, poi Sulla mia pelle, in cui ha incarnato in maniera eccellente Stefano Cucchi. Infine, la storia di Rocco Siffredi in Supersex. In tutti questi casi, Borghi vestiva i panni di personaggi che, in maniera diversa, si sono opposti al sistema: il criminale, il detenuto ingiustamente ucciso, l’attore hard che ha scandalizzato l’Italia. E, com’è noto, chi prende le parti degli ultimi, schierandosi contro alle forze che dominano gli individui, incontra spesso (non sempre, non si possono fare equazioni) l’affetto del grande pubblico. Un affetto così grande che, chissà, potrebbe aver risparmiato Borghi dalla richiesta di “presa di distanza” da Rocco Siffredi, in seguito alla denuncia di molestie da parte di una giornalista? Di nuovo: un altro sarebbe stato davvero graziato per non aver chiarito la sua posizione?
Per fare chiarezza: non stiamo dicendo che Alessandro Borghi avrebbe dovuto essere attaccato, per associazione, dopo il caso Siffredi, né che avrebbe dovuto, prima ancora che i fatti fossero chiari, schierarsi a favore o contro l’attore di Ortona. Allo stesso modo, è molto probabile che, come sottolineato dallo steso Borghi durante la conferenza di Campo di battaglia, molti facciano un post o mettano una storia solo per “lavarsi la coscienza”, ponendosi come dispensatori di verità, unici interpreti dei fatti del mondo. Quello che qui stiamo analizzando è la mancata messa in moto di un macchinario che, quando vengono fatte dichiarazioni simili da personaggi meno apprezzatti, non tarda ad accendersi. “Un post sui social non serve”, forse è vero. Ma la questione è aperta e difficile: “meglio che se ne parli”, dicono i sostenitori della necessità della presa di posizione di figure popolari. Meglio un messaggio, per quanto piccolo, dell’indifferenza: qualcosa potrebbe comunque muoversi. D’altra parte, invece, c’è chi evidenzia la possibilità che quella determinata scelta di campo possa essere un modo come un altro di accontentare il proprio seguito. Spingendo all’estremo questo secondo ragionamento: dire “Free Palestine” potrebbe essere una scelta interessata. In sostanza, nel pensiero maligno di qualcuno: “Non è che lo ha fatto per visibilità, e dunque per soldi?” È impossibile valutare la purezza delle intenzioni degli individui unicamente dai loro comportamenti esterni. Non conosciamo personalmente Borghi, quindi non ci esprimiamo sul suo interesse o meno per la questione palestinese, tenendo presente comunque le parole dette in favore di una tregua, dell’interruzione del genocidio. È però vero che, nonostante le critiche all’attivismo spicciolo via social, il protagonista di Campo di battaglia non sviluppa ulteriormente la sua riflessione: d’accordo, il post su Instagram no, ma che cosa occorre fare? Per Alessandro Borghi, che è un artista, la risposta risiede nella sua stessa disciplina: è nella recitazione che passa il suo messaggio, non tramite i social. Gianni Amelio, il regista, ha detto: “Il mio è un film sulla guerra senza immagini di guerra. Quelle vere ormai ci sembrano irreali perché le vediamo troppo”. Aveva anche chiarito, poco prima, che il film “parte dal presupposto che le guerre fanno male alla povera gente, colpiscono sempre gli innocenti”. Ora, l’equiparazione totale di ogni conflitto è anch’esso un tema discutibile. Notevole, invece, lo sforzo estetico: come si può fare un film sulla guerra senza le immagini? Quasi un paradosso.
Un cortocircuito simile era il nucleo centrale di un altro film uscito nel 2024: La zona d’interesse. Nel discorso di premiazione nella notte degli Oscar, il regista Jonathan Glazer aveva parlato della disumanizzazione non solo dell’attacco di Hamas, ma anche del massacro del popolo palestinese che ne è seguito. Ed ecco che è diventato ancora più chiaro il significato del muro di Auschwitz dietro al quale la macchina da presa non osa mai spingersi: dietro c’è l’orrore, la morte, il genocidio, Gaza. E pur senza farcelo vedere, Glazer riesce a farcelo percepire. Alla luce del discorso all’Academy, quindi, il senso del film La zona d’interesse trova una sua completezza, il pensiero del regista una sua coerenza. Completezza e coerenza: due componenti che non sono semplici accessori di un messaggio, bensì elementi fondamentali per garantirne l’efficacia. Quello di Alessandro Borghi, però, non ci sembra del tutto coerente (in senso logico, per così dire, non morale): “Io mi espongo: se mi fate la domanda vi rispondo”, ha detto. Questa però è una contraddizione. Ci si espone per convinzione, per fare la prima mossa, per mettere in atto un cambiamento, non quando si viene interpellati. Borghi è un grande artista, ha talento, carisma, sa scegliere i propri ruoli. Di certo, vale la pena analizzare le parole di un attore così importante. Pur essendo un’icona possiamo parlarne criticamente. E questo è il modo migliore per prendere sul serio lui e la sua stessa arte.