Come sta andando questa Mostra del cinema di Venezia 2024? Quali sono i film che, per ora, hanno convinto? E quelli invece che hanno deluso? Ne abbiamo parlato in un’intervista con il critico Paolo Mereghetti, che ha stroncato Babygirl, il film con Nicole Kidman (e in cui recitano anche Pierfrancesco Favino e Alba Rohrwacher), a causa del “moralismo” che, a suo dire, traspare dalla pellicola. “Ti lascia l’impressione di non aver affrontato quegli argomenti (la sessualità femminile, tema del consenso, ndr) in maniera credibile”. Il cinema italiano sta cercando di aprirsi anche all’estero: ma i nostri interpreti come sono percepiti? “C’è Monica Bellucci”, che pur essendo inferiore come attrice rispetto ad altri, “ha costruito un percorso di riconoscibilità importante all’estero”. Poi le questioni relative alle case di produzione italiane (“Quante ce ne sono davvero di forti?”), la scrittura per il cinema e il mondo rappresentato in Diva Futura.
Paolo Mereghetti, per ora questo è il festival che si aspettava o c'è qualcosa che l'ha stupita?
Siamo appena all'inizio ma no, è il festival che mi aspettavo, con alcuni film interessanti, mentre altri, come Babygirl, su cui c'era molta attenzione e che si rivelano invece dei film pensati più per conquistare qualche titolo che per piacere veramente.
Cosa non le è piaciuta?
Mi sembra che abbia trattato i temi del sesso, del consenso, in una maniera un po' moralista. Affronta dei temi assolutamente reali, a cominciare dalla libertà della fantasia sessuale, di una sessualità femminile per così dire non tradizionale, però poi tutto viene risolto in un modo abbastanza scontato, ricomposto nell'unità della famiglia, nel ruolo del lavoro, e quindi ti lascia l’impressione di non aver affrontato quegli argomenti in maniera credibile.
Supersex e Diva Futura sono efficaci, invece?
Diva futura bisogna ancora vederlo, quindi non posso esprimermi. Mi ricordo che negli anni Settanta, quando si scoprì il cinema erotico come un genere su cui valeva la pena di riflettere, ci si chiedeva come raccontare i desideri sessuali, il corpo, anche sull’onda di un entusiasmo un po’ giovanile. Non lo so se raccontare la storia di Diva Futura sia il modo giusto, perché poi bisogna effettivamente vedere come viene fatto. Sicuramente per l'Italia quel periodo e quei personaggi, penso a Riccardo Schicchi, Cicciolina, Moana o Eva Henger, hanno rappresentato qualcosa di molto importante. Che poi questa, tra virgolette, liberazione sia stata anche positiva non lo so, ho qualche dubbio. Però sicuramente sono serviti a muovere un po' le acque.
Questo è anche l'anno del ritorno delle dive, Angelina Jolie e Nicole Kidman su tutte: Marcello Mastroianni si sentiva un po' costretto in quella definizione, mentre oggi sembra quasi che tutti vogliano diventarlo. Il cinema è ancora quel luogo in cui nascono i divi?
Bisogna capire cosa si intende per mondo del cinema: ai tempi di Mastroianni era costituito dai film e dal rapporto che avevano col pubblico, mentre adesso si sono inseriti i mezzi di comunicazione di massa. Una volta quando si parlava degli amori delle star si pensava che fossero solo pettegolezzi. Adesso invece i telegiornali o i giornali nazionali importanti aprono sui personaggi, sulle star, appunto, più che sui loro film. Evidentemente è cambiato il modo di sfruttare queste personalità e i festival si sono adeguati, come tutti.
E questo come cambia le cose?
Se sono quasi più importanti i protagonisti degli stessi film che fanno, allora anche le grandi manifestazioni devono pensare a loro. Tutti hanno iniziato i commenti sulla Mostra di Venezia dicendo che quest'anno sarebbero tornate le star, non i grandi film. Poi, certo, speriamo che tornino i grandi film, ovviamente. Ormai è cambiato il panorama mediatico internazionale. È vero che Mastroianni si sentiva a disagio, però parliamo di cinquanta anni fa, adesso siamo nel mondo dell'immagine. Il corpo di un divo, il suo sorriso, vengono prima del suo lavoro.
Questo si può collegare al fatto che, per esempio, vengono chiamati youtuber o personaggi del mondo dei social per delle parti nei film: il cinema ha bisogno di creare eventi, e per questo si poggia anche su questo genere di figure.
Mi ricollego a quello che ho detto prima: è cambiato il modo con cui il cinema si rapporta con il pubblico, con il suo percorso verso la sala cinematografica o la piattaforma streaming. Una volta c'era tempo per aspettare, soprattutto con il passaparola del pubblico, che un film crescesse. Qualcuno volò sul nido del cuculo, rimase in prima visione a Milano per sei mesi. Adesso bisogna fare tutto in una settimana. Il primo weekend è fondamentale per il futuro di un film. E quindi in questo modo, per questa logica, l'evento o qualsiasi cosa possa attirare immediatamente l'attenzione diventa ancora più importante, per cui è fondamentale la campagna precedente e servono i fuochi d'artificio quando il film arriva nelle sale. E, tra questi fuochi d'artificio, quelli che colpiscono di più sono le presenze degli attori, più che dei registi.
Nella promozione di un’opera questo è evidente.
Anche in Italia i film di qualità fanno un tour nelle sale per attirare il pubblico soprattutto con il nome di chi è protagonista.
Lei parla di cinema da tanti anni, ma non si è un po’ appiattita la critica ultimamente?
Diciamo un po' di appiattimento c'è, anche perché se la maggior parte dei discorsi sui film vengono fatti prima che escano diventa complicato. Io continuo a pensare che la critica abbia un'importanza e un significato e penso che il nostro compito sia quello di aiutare lo spettatore a capire meglio il film che ha davanti, per aiutarlo anche a capire se è un’opera di valore oppure no. Io ho dato una stella e mezza al film Babygirl, quindi mi sembra di essere stato abbastanza cattivo, perché secondo me quel film non merita altro. Io penso che ci sia ancora la possibilità per una critica seria e che abbia, non dico autorevolezza, ma credibilità rispetto a chi ne fruisce.
Uno dei film più attesi era Maria di Pablo Larrain, in cui ci sono anche Pierfrancesco Favino e Alba Rohrwacher. Marco Giusti ha detto che è un peccato che due attori così importanti siano relegati al ruolo di camerieri.
Sono d'accordo sul fatto che Favino potrebbe avere un ruolo importante, ma è vero anche che quando ha fatto dei film all'estero non sempre i risultati sono stati ottimi. Il problema non è tanto la bravura ma la riconoscibilità di un attore all'estero, e Favino non lo so fino a che punto è riconosciuto come star anche negli Stati Uniti. Noi abbiamo Monica Bellucci, che forse come attrice vale meno di Favino, ma che ha costruito un percorso di riconoscimento importante all'estero. Lei però lo ha fatto rimanendo fuori dall’Italia, stando in Francia. Nel nostro Paese uno dei problemi dell'industria cinematografica è la difficoltà nella costruzione di star che abbiano una credibilità in altri paesi. Se il cinema italiano non viene esportato come si deve, allora chi lo interpreta fa fatica a essere riconosciuto.
Ci sono dei tentativi in questo senso?
Da parte degli autori ci sono sicuramente Paolo Sorrentino e Luca Guadagnino, due registi che hanno ottenuto una grande riconoscibilità estera, però sono due casi abbastanza isolati e poi i loro film, soprattutto quelli di Sorrentino, sono film importanti per il suo nome, non tanto per quello degli attori che porta, sempre per tornare al discorso di prima. Alcune cose, però, stanno cominciando a essere fatte. Maria, per esempio, è un film che ha delle coproduzioni italiane importanti. L'incrocio tra un regista straniero come Joe Wright e una produzione italiana come quella di M. Il figlio del secolo, con Luca Marinelli nella parte di Benito Mussolini, è un primo passo. Però non basta un film, ce ne vogliono centinaia. Bisogna dare tempo al tempo.
Il direttore Alberto Barbera ha detto di recente che le storie al cinema devono essere scritte meglio: lei vede un po' carente questo aspetto
È un discorso complicato quello della scrittura, molti film italiani credo partano da buoni spunti ma poi fanno fatica a svilupparli. Concentrarsi sulla scrittura potrebbe anche funzionare, ma penso che non si debbano dimenticare anche le altre cose. Sono tanti gli elementi portano il successo.
Invece è d'accordo quando Barbera sottolinea il bisogno di grandi e forti case di produzione?
Certo, è verissimo che ci vogliono delle produzioni forti, perché è da lì che nasce il progetto di un film. Il problema è un altro: quante sono le produzioni forti in questo Paese? La maggior parte delle case di produzione nostrane sono state comprate da società estere che forse mettono avanti i loro interessi rispetto a quelli del cinema italiano. Nel momento in cui il tuo padrone è una grande catena televisiva mondiale, forse i film che vengono richiesti funzionano, ma solo rimanendo in linea con lo spirito dei film e delle serie che loro stessi hanno prodotto. È complicato pensare che da questi presupposti possa nascere un cinema nazionale forte.
Leone Film Group, dove adesso è anche entrato Leonardo Maria Del Vecchio, è una di quelle che si può rivolgere anche all’estero?
Sì, Leone però è nata come una casa di distribuzione. Adesso comincia pian piano a fare qualcosa. Certo, quello è un esempio, però ce ne sono pochissimi. Bisognerebbe anche favorire una forte produzione italiana indipendente, e questo è un problema complicato.
Abbiamo intervistato Federico Zampaglione, che ha deciso di rimanere indipendente con The Well. Lui però ha già un nome: un giovane regista come può fare?
Quello che di solito preoccupa i giovani registi è soprattutto riuscire a fare il loro film e quindi per arrivare a farlo sono disposti ad accettare dei compromessi. È normale che ciò accada. Il discorso torna ancora al coraggio e all'indipendenza del produttore, che deve essere capace, lungimirante.