Immaginate essere alla Mostra del cinema di Venezia e di recitare nel film di apertura. Il regista è un premio Oscar, Paolo Sorrentino, sul set con te c’è stato uno dei più grandi attori italiani, Toni Servillo. Il tappeto rosso te lo sei guadaganto con talento e fatica. Passa la sera della prima visione pubblica de La Grazia, applausi a scena aperta, recensioni, critiche ed elogi. Prima della première, però, Repubblica titolava: “Anna Ferzetti conquista Venezia, con Sorrentino e senza Favino”. Nelle prime righe del Corriere della sera, invece, leggiamo: “Il riscatto della compagna di Favino, 42 anni, ex ragazza ribelle (suo padre era il grande attore Gabriele), ora non è più la metà di e la figlia di”. Insomma, praticamente (almeno in superficie) ciò che conta non è la sua prova attoriale, la riuscita del suo personaggio. Ciò che ha valore è il fatto di essere riuscita a prendersi la luce, uscendo dal cono d’ombra fatto dalla montagna Pierfrancesco Favino, suo compagno. Ora, l’intendo di quelle parole sarà sicuramente nobile, niente processi alle intenzioni; ma non è anche quello un residuo maschilista, l’idea che una donna e un’attrice trovi il suo “senso” a Venezia solo in quanto non associata a Favino? E la luce che ha guadagnato è forse una non-ombra di suo padre?

Quella di Anna Ferzetti poteva essere solo una storia di riscatto, mica da artista. Ne La Grazia di Sorrentino è Dorotea, la figlia del presidente della Repubblica (il regista ci ha tenuto a ribadire – più volte – che non è una rappresentazione di Sergio Mattarella) interpretato da Servillo. Al Lido il tappetto è del rosso più acceso, ma di ruoli in film importanti Ferzetti ne aveva già avuti, specie con Ferzan Özpetek alla regia (Le fate ignoranti, Diamanti). Di recente è apparsa anche ne Il Nibbio, con Claudio Santamaria protagonista, incentrato sulla vita di Nicola Calipari. Davvero per lei c’era bisogno di un “riscatto a Venezia”? E soprattutto: quello di Repubblica e Corriere è il modo corretto di parlarne? Forse quelle espressioni, “niente più figlia di o compagna di”, andrebbero prese sul serio.

