Dai cortometraggi sono passati tutti i grandi: da Paolo Sorrentino a Francis Ford Coppola o Martin Scorsese. Il produttore Andrea Zoso (Youth di Sorrentino, Il racconto dei racconti di Matteo Garrone) ci ha detto che i corti sono come i reparti “ricerca e sviluppo delle aziende”. Servono a scoprire nuovi talenti, nuovi sguardi. Come per i lungometraggi, però, ci sono alcune questione aperte. I rapporti con le grandi manifestazioni (anche oltre la Mostra del cinema di Venezia) sono fondamentali.

Andrea Zoso, qual è la questione da cui partire quando si parla di tax credit e cortometraggi?
Il primo problema, secondo me drammatico, sono i tempi. Cioè non sono rispettate le tempistiche del decreto, in cui si parla di 60 giorni, ma la verità è che passano molti mesi. Il Ministero si giustifica dicendo che c’è poco organico. Se davvero è così perché indicare una finestra temporale così ristretta?
I produttori non hanno modo di accelerare i tempi?
No, perché non può essere fatta prima di quei giorni stabiliti. E nel frattempo i produttori devono pagare la troupe, le spese ordinarie e quindi l’opera devono finanziarsela da soli. Infatti il tax crediti arriva sempre alla fine, non a copertura iniziale, e quando arriva puoi solo cederlo alla banca che ti ha prestato i soldi. Anche perché chiedere i finanziamenti non è una passeggiata, servono dei professionisti per redigere una richiesta di credito e questi vanno pagati.
I controlli in tutto questo iter come sono?
Ben vengano i controlli, ma non possono essere infiniti. Sembrano fatti apposta per demotivare le produzioni. Il problema, alla fine, sono i costi finali, serve verificare che non vengano gonfiati. Con l’aggiornamento delle regole le revisioni sono diventate meno flessibili. Va detto che quando era in vigore la legge Franceschini lo erano fin troppo. Serve una via di mezzo probabilmente, perché adesso è diventato veramente complicato lavorare.
C’è poi la questione del pagamento richiesto per la presentazione della domanda.
Devo dire che per i cortometraggi si paga poco, ma per i film o per le serie di un certo livello parliamo di cifre elevate, anche 10mila euro. Ovviamente è un costo che non può rientrare nel tax credit, ma è, per così dire, a fondo perduto. Per questo molti produttori chiedono velocità: pago un servizio che costa molti soldi, quindi in cambio pretendo efficienza. Altro punto è la preparazione dei professionisti che svolgono i controlli. Capita che arrivino delle domande e delle richieste che fatico a comprendere.
Insomma, le norme che dovevano evitare le anomalie funzionano a metà?
Per evitare distorsioni, abusi ed eccessi servivano delle regole più stringenti, questo è sicuro. Allo stesso tempo servono tempistiche certe per lavorare con un minimo di certezza. Anche perché ogni ritardo pesa drammaticamente sul produttore. Andare da una banca, convincerla a prestarti dei soldi e poi reinvestirli subito non è così automatico. È una cosa già di per sé complessa, ma che con quelle tempistiche diventa ancora più difficile da gestire.

Tanti produttori indipendenti lamentano il fatto che, prima ancora di aver ricevuto il tax credit, devono garantire la copertura di gran parte delle spese del film.
È vero, però c’è una ragione per questo. Facciamo un esempio: per un film che vale un milione di euro chiedo 400mila euro. Se una volta che comincio a lavorarci non trovo gli altri 600mila come faccio? Poi mettiamo che io non abbia nulla di coperto, prendo i 400mila e che fine fanno? Se non riesco a finire il film diventa un problema. Poi, chiaramente, ci sono altri fondi per cui fare richiesta, cioè i contributi selettivi che vengono distribuiti in base alle decisioni della commissione ministeriale. Per gli indipendenti in realtà il problema più grosso ritengo sia la distribuzione.
Spiegaci meglio.
Fanno fatica ad accedere ai grossi canali. Si dice, semplificando molto, che lavorano sempre gli stessi. Ma è così per un motivo e cioè che è più facile lavorare con le persone che conosci. Chi ha già fatto film di successo chiaramente avrà più facilità. Un regista che invece è andato male allora invece richiede più prudenza. Le nuove regole sicuramente hanno reso loro la vita più difficile, perché prima con il tax credit potevi partire con il lavoro. Ora devi trovare prima altri soldi.
Per i cortometraggi invece la distribuzione che tipo di problematiche comporta?
Ce ne sono di due tipologie, una delle quali riguarda i festival. Le regole non sono sbagliate, ma il dramma è l’applicazione dei dettagli. Certo, stiamo parlando di soldi dei contribuenti, è normale che si faccia attenzione. Se devo finanziare un corto allora questo deve essere fruibile a quante più persone possibile. Dunque è giusto che si tenga conto del numero di festival che ti hanno selezionato e del loro prestigio. L’alternativa è l’uscita in sala, ma è molto complicata come strada.
In quel caso come funziona?
Bisogna provare a chiedere a qualche sala che magari proietta il cortometraggio prima di un film con un tema analogo, aumentando il prezzo del biglietto di poco. Non lo fa quasi nessuno a dire il vero, ma è un’alternativa. Per i lungometraggi il discorso è ancora più complicato, specie per le opere prime e seconde. In quei casi i contributi selettivi diventano importantissimi. Le richieste in termini di numero di proiezioni in sala sono pesanti e allo stesso tempo necessarie per l’ottenimento dei contributi. Ma specie per le opere prime e seconde non è per niente scontato trovare un distributore che porti il film in sala con quei numeri. Siamo passati da un estremo all'altro.
Cioè?
I film con budget inferiore al milione e mezzo hanno l’asticella delle 240 proiezioni in tre mesi, che sono davvero tante. In Italia poi c'è troppo prodotto, quindi non trovi materialmente lo slot. E in quel caso bisogna andare dalla sala e cercare di fare un’offerta interessante.
La densità di proiezioni e uscite nel corso dell’anno poi non è sempre la stessa.
È vero, infatti per le uscite estive il tax credit per i distributori è più alto. Ma ad agosto moltissime sale sono chiuse. Idem a luglio. Non si può nemmeno pensare di aumentare troppo le proiezioni in quei mesi. Anche perché i grandi blockbuster escono in continuazione e restano pochissime sale disponibili.

In definitiva, qual è l’obiettivo del ministero della Cultura?
Ci sono troppi film, e troppi film che il pubblico non gradisce, bisogna darci un taglio. Questo è l'obiettivo. Ripeto, non è sbagliato dal punto di vista teorico, però è anche vero che con certe regole per un indipendente diventa veramente complicato cominciare.
In questo scenario che ruolo hanno i cortometraggi?
Sono fondamentali per far nascere nuovi registi. Perché ovviamente tutti ci sono passati, da Sorrentino a Coppola. È come il reparto di ricerca e sviluppo in un’azienda. I corti servono a mettere alla prova i nuovi talenti.
Con manifestazioni così grandi come Venezia che tipo di rapporto c'è?
Andare a Venezia è come andare in un’università prestigiosa. Però da punto di vista commerciale credo sia meglio fare più festival minori piuttosto che farne uno solo così grande. Meglio parlare sette volte in tono minore che una volta in tono maggiore.
L’obiettivo è la visibilità, innescare il meccanismo del passaparola.
Quello è il concetto di base. Il cortometraggio non si fa per guadagnare, o almeno io non conosco nessuno che ci guadagna.
