È estate. Per la precisione è fine luglio, e questa non è l’estate, è l’estate più calda degli ultimi centocinquant’anni, cioè da che qualcuno si è premurato di tenere a mente quanto facesse caldo d’estate. Ce lo dice la Nasa o chi per lei, sempre che la Nasa sia femminile, leggevo proprio ieri che la parola tequila è maschile, quindi per fare quelli colti toccherebbe dire il tequila, niente è come sembra. Comunque, è la fine di luglio dell’estate più calda degli ultimi centocinquant’anni, sono le quattordici e quindici e mi trovo in un locale di Città studi, il quartiere che prospera a Milano intorno al Politecnico. Anche io, tecnicamente vivo da queste parti, ma Città Studi, scopro oggi, è un concetto ampio tanto quanto il peccato, quindi in realtà sono a una distanza da casa mia che, vivessi in provincia, comporterebbe un dialetto completamente diverso. Sul perché io sia lontano da casa alle quattordici e quindici di un giorno di fine luglio dell’estate più calda degli ultimi centocinquant’anni si potrebbe scrivere una serie Netflix, anche perché ultimamente le fanno su tutto. Si potrebbe, in effetti, tirare in ballo come il mio mestiere, sempre che abbia un nome e un codice decodificabile per gli altri, quello che è il mio mestiere, sia quantomeno interessante, seppur mi porti a essere lontano da casa alle quattordici e quindici di un giorno di fine luglio dell’estate più calda degli ultimi centocinquant’anni, poi smetto di ripeterlo, giuro, perché mi fa passare, il mio mestiere, dal parlare con suor Colette del convento di Santa Colette di Assisi, lo facevo qui, unica suora di un convento di clausura che possa tenere i rapporti con l’esterno, a parlare con una modella di Of, che di rapporti con l’esterno, almeno virtuali, immagino ne abbia, il tutto nel giro di pochi giorni. Anche come sono arrivato qui potrebbe dar spunto per una serie di Netflix, perché quando l’altro giorno mi ha chiamato l’ufficio stampa che segue la modella di Of che sto per incontrare, ha avuto un approccio ovviamente singolare, come di chi deve provare a convincere qualcuno a fare qualcosa che immagina non rientri esattamente tra le cose che vorrebbe fare. Non che io abbia preclusioni di massima nei confronti delle modella di Of, non sono uno che usufruisce di questi servizi, ma sono comunque una persona curiosa, e tendenzialmente so cos’è Of, quindi evidentemente non ho preclusioni morali o ideologiche a riguardo, quanto piuttosto perché sono qui, sapendo quando, perché la modella di Of in questione ha fatto un singolo, una canzone ascrivibile al genere urban, e mi è stato proposto di incontrarla in quanto cantante, non in quanto modella di Of (non so se si dica così, ma da qui in poi sì, si dirà così, almeno in questo pezzo). Volessi ora io dire che sono qui perché la cantante in questione ha fatto un singolo, questo direi che non necessita di didascalie o disegnini, direi una menzogna, e questo l’ufficio stampa che me l’ha proposto ben lo sapeva nel propormelo, perché figuriamoci se andrei mai a intervistare, io che di interviste scritte non ne faccio mai, una cantante al suo esordio con un singolo, ma la cantante è una modella di Of quindi la curiosità ovviamente verte tutta su questo, pur con delle cautele. Perché andare a intervistare qualcuno, una modella di Of, che nei fatti al momento sta facendo altro, la cantante, comporta che si debba giocoforza parlare più del fatto che è una cantante, senza ovviamente evitare qualche cenno al fatto che fa anche altro, ma senza soffermarcisi su troppo. Un lavoro di equilibri, che l’ufficio stampa mi ha trasmesso già in sede di telefonata, dicendo che è una modella di Of, quindi una che fa contenuti per adulti, ma non troppo per adulti. Non l’ha detta esattamente così, ma il succo era quello, come dire, sì, sta lì, ma meno di altre, come a dirmi, nel caso io fossi un moralizzatore, che c’è meno da moralizzare che altrove, e qui immagino si utilizzino i medesimi canoni che si usano riguardo alle estati più calde degli ultimi centocinquant’anni, ci sarà qualcuno che si è premurato di codificare un canone, così da poter avere un coefficiente valido per esprimere un giudizio parascientifico.
Ora, non so voi, ma io in genere quando incontro un artista per una intervista, nel caso specifico un’artista, stiamo parlando di una donna, non mi preparo le domande. Farlo, star lì a scrivermi da qualche parte cosa andrò a chiedere, mi annoia, e soprattutto mi lascia pensare di aver già fatto quel che poi dovrei fare, rendendo anche solo l’atto di uscire di casa qualcosa di eccessivo, inutile. Mi studio un po’ il caso, quindi artista e opere, e poi vado a braccio. A volte, questo è in parte i lavori degli uffici stampa, e credo di non aver parlato mai di uffici stampa tanto come stavolta, ci sono cose che viene chiesto di evitare, quasi sempre non discorsi inerenti alla musica, quindi l’unica attenzione rimane quella di schivare certi temi, ma per il resto procedo a braccio, credo anche con buoni risultati (in realtà credo siano ottimi, ma star qui a flexare con sto caldo mi sembra altrettanto spossante che andare a fare jogging al Parco Lambro). Nel caso di una esordiente, che però ha un suo pregresso in altro settore, l’unica cosa che posso fare è farmi un’idea di massima di chi andrò a incontrare, conscio che l’intervista sarà evidentemente un po’ più complicata, in assenza di troppi argomenti, ma anche consapevole che in tutti i casi tra me e l’intervistata sono io quello col nome più pesante, quindi quello che ha meno da temere nel confronto. Intendiamoci, non che io pensi che Tami Tsunami sappia della mia esistenza sul pianeta Terra, magari sì, ma non è affatto detto, ma suppongo che prima del mio ingresso nella saletta dove la intervisterò l’ufficio stampa la brifferà, mettendola al riparo dai rischi del trovarsi di fronte quello “cattivo”. Studiarsi una modella di Of, non volendo andare su Of, sito che prevede un esborso economico, prevede quindi lo stare per un po’ sui social, prevalentemente guardando. Anzi, solo guardando, perché i social in questione, anzi, il social, è Instagram. Solo che, il giorno in cui l’ufficio stampa mi ha proposto l’intervista, sul suo Instagram c’erano diverse foto e reel, quasi sempre in bikini, a volte senza ma giocando sul “vedo non vedo”, che su Instagram significa “non vedo ma credo di vedere”, mentre oggi, in questa giornata di fine luglio di cui già sapete tutto, di foto ce ne sono solo tre, perché Tami Tsunami ha optato per quella scelta da cantante di azzerare i propri post, lasciando solo cose che afferiscano alla sua nuova carriera di cantante. Anzi, un post con tre foto e due reel, immagino che i suoi centosessantamila followers non saranno rimasti entusiasti della cosa, essendo suoi followers da prima del suo esordio, quindi immagino più per il suo altro lavoro che per questo. C’è sempre X, un tempo noto come Twitter, che per altro è il solo social che non prevede censure, e infatti lì la faccenda è diversa. Anche lì l’ultimo tweet, io sono novecentesco e continuo a chiamarli così, fa riferimento all’uscita di Dura, il singolo, ma per il resto ci sono foto e video che, pudicamente, o più o meno pudicamente, fanno riferimento al suo lavoro di modella di Of. Il secondo video, che inizia con un primo piano del suo culo, porta la didascalia “ATTENZIONE: se hai caldo, non guardare questo video! Rischio autocombustione elevato!”, il terzo invita chi guarda a andare da lei, che in minibikini sta annaffiando un prato all’inglese, per combattere il caldo bagnandosi insieme. Insomma, direi che ci siamo capiti. Non credo sia il modo migliore per prepararsi per un’intervista, e so che sto giocando la carta del moralizzatore, pur non esprimendo chiaramente nessun tipo di giudizio. Sta lì, tra le righe, appena mascherato da una lieve coltre di ironia, ironia che, alla faccia di quanto diceva David Foster Wallace, continua a pararci il culo, per dirla con parole che potrebbero stare in un prossimo Tweet di Tami Tsunami (ci risiamo, lo so). E dire che io sono quello che da sempre sostiene che l’arte non debba mai rispondere ai codici della morale, perché l’arte deve essere di suo amorale e giudicarla come si fa, o si tende a fare, con le azioni delle persone nel loro vivere quotidiano è sbagliato. Ho anche sostenuto, pure di recente, che neanche gli artisti, di conseguenza, vanno giudicati secondo la morale, nel senso che la morale giudica le persone, ma non le opere, quindi si può dire che Tizio è una mer*a, umanamente, continuando a considerarlo un grande artista e le sue opere grandi opere d’arte frutto del genio di una merda. Sono anche quello che per anni si è sbattuto, scrivendoci libri, testi teatrali, articoli, facendoci anche un TedX, sull’importanza del ritorno del corpo delle donna, della sessualizzazione della donna nelle canzoni femminili, così da contrapporre una visione affatto patriarcale, si spera, agli stereotipi partoriti da uomini a riguardo, quindi in teoria non mi si dovrebbe approcciare mettendo troppo le mani avanti riguardo la possibilità di intervistare una cantante che abbia anche un Of. Il punto è, credo, temo, che qui siamo in presenza di una modella di Of che ha fatto una canzone, da lei scritta, ci ha tenuto a sottolineare l’ufficio stampa, quindi le cautele sono dovute a un traslare di piani concettuali che vede la canzone come punto di arrivo, non di partenza. Parlando di corpi, per intenderci, siamo messi beni, è sulla musica che si potrebbe aprire un dibattito. Questo suppongo il retropensiero nel propormela con così tante cautele. Lei, visto che fin qui, quasi mille parole spese finora, non l’ho nominata, si chiama Tami Tsunami, e suppongo che questo sia un nome d’arte. Quello che usa su Of, immagino, e che ora ha scelto per il suo esordio discografico. La canzone vede anche la presenza di un featuring, siamo nell’estate del 2024, la più calda eccetera eccetera, fare una canzone senza un featuring sarebbe come aprire un Of e metterci dentro i disegni fatti all’asilo dai propri figli. Il singolo, giuro, si intitola Dura, tanto per non giocare sull’ambiguità.
Questo mio moraleggiare fingendomi in realtà divertito, risulterà immagino fastidioso, non tanto per questioni riguardanti il macrocampo del diritto all’autodeterminazione femminile o all’autonomia corporea, e ci mancherebbe pure altro, ma più per una questione di quello strano mix tra spocchia e incoerenza, evoco una maggiore presenza di corpi nelle canzoni e poi giudico una cantante per l’uso che immagino faccia del proprio corpo. Nei fatti, non che senta la necessità di giustificarmi, le parole che state leggendo le ho scritte io e so perfettamente che effetto faranno su chi le leggerà, voi, ma io, prima di andare a sbirciare sui social per capire qualcosa di più di Tami Tsunami, Dura, il suo primo singolo, l’ho sentito, quindi qualcosa da cui partire per questo viaggio in valigia già ce l’avevo. Piccola deviazione, prima di entrare nella saletta dove incontrerò Tami Tsunami, anni fa, quando ancora scrivevo per i cartacei, ho intervistato una cantante che ancora in Italia non era molto famosa, ma che sapevo essere parecchio famosa all’estero. Per cartaceo, lo dico per i più giovani, intendo un magazine fatto di fogli di carta, di quelli che un tempo si compravano in quegli strani casottini che si trovavano per le vie e le piazze e che rispondevano al nome di edicola. Il cartaceo per cui scrivevo era il Diario della Settimana, una cosa figa, colta, di sinistra. La cantante era Cristina Scabbia, leader della band metal dei Lacuna Coil. La cosa di lei che più mi aveva colpito, son fatto male, lo so, è che di lei si parlava molto, in quella versione ancora naif della rete, per i suoi piedi. Se ne parlava dicendo che erano i piedi più belli del rock, qualcuno azzardava anche del mondo. C’erano pagine e pagine dei forum metal che non parlavano d’altro, ai tempi esistevano ancora i forum, e in certe pagine c’erano delle classifiche, giuro, che la vedevano sempre in testa. In effetti, non che io fossi un esperto, a vederli, quasi sempre con smalto scuro, erano notevoli. Il mio chiedere un’intervista, e chiedere un’intervista per una rivista colta come il Diario, ovviamente, partiva da lì, dai suoi piedi, e sapevo perfettamente che intorno a essi avrebbe ruotato. Per farla breve, questa è una deviazione sul discorso principale, e dopo oltre duemila parole ancora non ho stretto la mano di Tami Tsunami, non voglio tergiversare oltre, anche se a dirla tutta l’idea che le oltre duemila parole spese fin qui siano un tergiversare è ovviamente un falso storico, perché è evidente che io abbia inteso sin da subito raccontarvi dell’incontro con Tami Tsunami, ora sto per mostrare un trucco con le carte, cioè di una cantante al suo esordio fin qui personaggio pubblico dedito al mostrarsi in pubblico, un pubblico pagante su Of, è evidente che io abbia inteso sin da subito raccontarvi dell’incontro con Tami Tsunami, una cantante al suo esordio fin qui personaggio pubblico dedito al mostrarsi in pubblico, un pubblico pagante su Of senza mai farla vedere, quindi rovesciando un canone, rendendo occulto alla vista chi occulto non è, al fine di concentrare semmai l’attenzione su altri sensi, l’udito, anche se, non lo nego, certa ironia diffusa, non sono convintissimo se efficacemente, è lì per lasciar pensare che alla fine fine concentrare troppo l’udito non serva, non ne valga la pena, non fosse stata una modella di Of dubito che sarei mai uscito di casa intorno alle tredici e quarantacinque di un giorno di fine luglio dell’estate più calda degli ultimi centocinquant’anni, avevo promesso che non lo avrei più scritto ma stavolta era necessario. Comunque, per farla breve, dicevo, dopo essermi ripetuto per tutto il tragitto da quella che ai tempi era la casa dove abitavo e gli uffici della SpinGo, l’etichetta dei Lacuna Coil di allora, che non avrei mai dovuto guardarle i piedi, per non distrarmi, o peggio per non rimanere pietrificato come Perseo di fronte ai capelli serpentosi di Medusa, questa è una citazione classica che si trova qui al solo fine di innalzare ai vostri occhi un minimo la mia statura culturale, trucchetto di bassa lega, lo so, sono entrato negli uffici della SpinGo, ho stretto la mano di questa ragazza, parliamo di una ventina di anni fa, poco meno, e ho poi passato la rimanente mezzora a fissarle i piedi, cinti da sandali con legacci alla romana neri, neri come lo smalto che pitturava le dita dei medesimi piedi, adorabili (questo è invece un tentativo di scherzare sul mio essere stato un pessimo giornalista, ma io non sono proprio un giornalista, ma al tempo stesso un ottimo gonzo, oltre che un autoironico scrittore). Tornando a noi, e nello specifico al momento in cui sto in effetti per incontrare Tami Tsunami, il cui fisico statuario mi è ben chiaro avendo io sbirciato non tanto il suo Instagram, concentrato sull’uscita di Dura, quanto piuttosto il suo X, che non lascia adito a dubbi o spazio a fantasticherie, è evidente che i miei ipotetici timori, ho appena raccontato di quando andando a incontrare Cristina Scabbia dei Lacuna Coil io mi sia ripetuto allo sfinimento di non guardarle i piedi e abbia poi passato tutto il tempo a fissarle i piedi, mica l’avrò raccontato a caso, no?, non possono certo essere quelli di fissarle tutto il tempo il culo, è quella la prima cosa che balza agli occhi navigando sul suo X, o al limite le tette, anche se ho più volte scritto che in una ipotetica quanto bizzarra gara tra tette e culo io starei sempre e comunque dalla parte del culo, seppur la cosa, confesso, mi spiazzerebbe, e io amo essere spiazzato, veder cioè sgretolarsi davanti ai miei occhi le mie ferree certezze, specie se si tratta di un culo, scherzo, i miei timori, dicevo, sono ben altri. Perché, e questo sarà ovviamente argomento di cui sono stato messo a conoscenza dall’ufficio stampa di Tami Tsunami anche prima che mi dicesse il suo nome, Tami Tsunami, appunto, Dura, il suo primo singolo, ospita il featuring di un noto rapper, e questo noto rapper, Guè, un tempo Guè Pequeno, vai a capire perché alla fine la seconda parte del nome è sparita, è molto noto per le sue canzoni, ma anche per aver a più riprese mostrato il pisel*o sui social. Pisel*o che, e questo è davvero il timore che faticherò a tenere a bada durante l’intervista, lo so, giustificherebbe eccome la presenza dell’aggettivo Pequeno a fianco al suo nome. Il fatto che i due si siano infatti conosciuti perché lui, Guè, le ha scritto per la sua attività di modella di Of, è altresì noto che Guè spenda migliaia di euro al mese, lo ha dichiarato lui in più di una occasione, per stare su Of a divertirsi, e lei, Tami Tsunami, come lui residente a Lugano, ne abbia approfittato per farle sentire questa sua prima canzone e chiedergli un feat, questa la paura, potrebbe infatti essere passata dall’invio di certe foto o di certi reel, pratica praticata da Guè con molta generosità e forse poca attenzione, dal momento che a volte confonde il dm, messaggio privato, con la stories (il “faccio selfie mossi come Guè Pequeno” che forse ricorderete essere parte del testo della megahit Andiamo a comandare, di Rovazzi, faceva appunto riferimento a questo). Provateci voi a intervistare una ragazza molto avvenente, lo so, parlo come mia nonna, nata alla fine dell’Ottocento, di lavoro modella di Of, evitando con tutti voi stessi di fare riferimento al pisello piccolo di Guè, appunto, Pequeno. Una cosa sfiancante, ancor più di trovare cose intelligenti da chiederle, cose che non suonino come “Hai fatto un singolo che esce nell’estate più satura di singoli della storia della musica leggera italiana, perché?”
E in effetti questa è la prima domanda che le ho fatto. Una volta che ci siamo presentati, io stupito dal fatto che, a discapito dello stacco di coscia che incornicia il culo nelle foto su Instgram, anzi, incorniciava, ora le foto sono state tutte rimosse, Tami Tsunami è piccolina di altezza, Pequena, e abbiamo preso posto nella saletta che ha ospitato la nostra chiacchierata. Chiacchierata molto interessante, va detto, perché Tami Tsunami risulta molto garbata e anche molto professionale nel rispondere, e non vedo perché mai non avrebbe dovuto esserlo, e del tutto cosciente che il suo lavoro principale è il vero motivo per cui io e buona parte di quanti oggi passeranno di qui per intervistarla sono venuti. Certo, almeno nel mio caso, per questo e per il fatto di aver tirato fuori una canzone urban che è credibile, più che dignitosa, assolutamente ben fatta, perché altrimenti avrei bollato questo passaggio di Tami Tsunami nel mondo della canzone al pari, che so?, di quando in passato hanno fatto canzoni Marisa Laurito o Gigi Sabani, o Wanna Marchi, tanto per fare qualche nome. Invece no, Tami Tsunami ha fatto un buon lavoro, con la produzione di Riccardo Scirè, cui la stessa Tami Tsunami mi dirà di aver dato reference precise, di canzoni urban funk, buon lavoro cui il suo essere una content creator per adulti, attiva su Por*hub, questo l’ho scoperto solo dopo che sono uscito da quella saletta, quando ho letto il comunicato presente nella mail che nel mentre presentava in anteprima la copertina del singolo, copertina che mostra in primo piano il suo cu*o, appena coperto da dei minuscoli shorts di jeans, una chiappa semicoperta dalla manona tatuata di Guè, copertina che lei stessa definirà “audace”, non sono solo io a parlare come mia nonna, oggi, evidentemente, mia nonna nata nell’Ottocento e morta ormai quasi quarant’anni fa. Durante i tre quarti d’ora passati in quella saletta abbiamo parlato ovviamente di come sia avvenuto l’incontro con Guè, partito da una intervista da lui fatta nella quale la indicava come sua content creator preferita, intervista cui è seguito un contatto su Instagram, anzi, una serie di messaggi su Instagram, e qui la tentazione di fare la domanda del selfie mosso è stata fortissima, confesso, e di lì a chiedere di fare un feat è stato un attimo, “Alla peggio mi avrebbe detto di no,” ha chiosato. Poi abbiamo parlato di aspettative, lei che ha iniziato a rappare da giovanissima, salvo poi mettere l’arte da parte per andare a lavorare per aiutare la famiglia, nata e cresciuta nella periferia milanese intorno all’ortomercato, la musica rimasta fino a ieri poco più che una passione. Abbiamo ovviamente fatto riferimento a come, ai tempi, quindi immagino che Tami Tsunami non abbia vent’anni, fare rap pensando di camparci stando in periferia era impossibile, oggi il successo dei trapper di zona San Siro, ma anche di Baggio o di Calvairate dimostrano il contrario. Abbiamo parlato ovviamente di corpi, partendo dalla nota censura subita da Paola e Chiara al momento dell’uscita col loro Greatest Hits del 2006 del dvd contenente il video di Kamasutra, due sorelle seminude che giocano con l’immaginario sadomaso ha mandato ai tempi ai pazzi il Moige, passando per le Olgettine, il documentario Il corpo delle donne della Zanardo, il movimento Se non ora quando e poi, finalmente, una nuova consapevolezza tutta femminile, sorta di woman empowerment che è anche passato, sempre di cu*i si parla, da Elodie, e devo dire che in questa parte dell’intervista ho parlato molto più io di lei, in fondo quello di parlare di certe dinamiche è il mio lavoro, tanto quanto il suo è quello di fare contenuti per adulti destinati al web. Ecco, abbiamo parlato anche di quello, ovviamente, non avendo io affatto nascosto che se ero lì era proprio per la curiosità di una content creator per adulti, un tempo la avremmo chiamata in altro modo, forse, che ha di punto in bianco deciso di darsi alla musica, complice un pezzo da novanta del nostro rap noto per essere un grande fruitore di contenuti per adulti destinati al web prodotti dalle content creator per adulti, nel caso specifico Guè che ha dichiarato urbi et orbi di avere proprio Tami Tsunami in cima alla lista delle sue content creator per adulti preferite. Ho dichiarato, altresì, non certo per moralismo, di non essere un fruitore di Of, ma al tempo stesso di essere a conoscenza del fatto che negli USA ci sono personaggi pop che usano Of per condividere con la propria fanbase contenuti non erotici, fatto da noi praticamente inesistente, forse ora ci sta provando Fedez, per una questione di codici, Of è stato presentato come un sito con abbonamento per contenuti per adulti, e chi ci lavora lo fa dentro quegli spazi lì, altrimenti sta altrove. Lei, Tami Tsunami mi ha detto di aver cominciato a lavorare come content creator per adulti per una forma di narcisismo, ma anche per il fatto di essersi sempre trovata a proprio agio col suo corpo, ignara che mentre aspettavo che rientrasse dal pranzo insieme al suo ufficio stampa, seduto in una piccola saletta di aspetto sovrastante un open space dell’agenzia che ci ha ospitato per l’intervista, qualcuno stava ironizzando a voce alta esattamente su una affermazione del genere di non so che star americana, qualcosa che suonava come “ho deciso di posare nuda perché mi trovo bene col mio corpo,” risate degli astanti, “beh, anche noi ci troviamo bene nel tuo corpo”, altre risate, situazione decisamente cringe. Avrei voluto chiedere, ma fa caldo, e in fondo sono pur sempre nato in una società fortemente cattolica, come ci si sente nel sapere che chi si interfaccia con te, durante l’intervista più volte ha detto che i commenti e i messaggi privati che riceve sui social dai suoi followers sono sempre molto rispettosi e positivi, avrei quindi voluto chiederle come ci si sente nel sapere che chi si interfaccia con lei come content creator, rispettoso e positivo, ha molto probabilmente il pisel*o in mano esattamente alla maniera di Guè nelle famose stories e nei famosi selfie mossi, non per malizia, ma per mera curiosità giornalistica, un po’ come mi sento io sapendo che spesso chi mi legge, parlo di pezzi come di libri, lo fa seduto sul cesso, i pantaloni arrotolati alle caviglie, mentre sta cagando, ma il caldo ha avuto il sopravvento, e tre quarti d’ora per parlare di un singolo mi sono parsi decisamente tanti, come tante sono le oltre quattromila parole che ho speso fin qui, molte di più di quante ne abbia spese per suor Colette, lì a Assisi. Ora Dura è fuori ovunque, per usare una brutta espressione tanto in voga nell’attuale e bruttissima discografia, io sono a casa, boccheggiante come un pesce cui nessuno si premuri di cambiare l’acqua (messaggio in codice per mia suocera, che d’estate ha l’incarico di occuparsi di Brina, il nostro pesce rosso, e di Sparky, la nostra tartaruga d’acqua dolce). Penso che giorni fa ero in un convento di clausura a parlare con una clarissa, oggi ho passato del tempo a parlare con una content creator per adulti che ritiene audace mostrare il culo nella copertina di un singolo. Per dirla con le parole della nostra newsletter, coniate dal nostro direttore Moreno Pisto, è tutto bellissimo.